CULTURA

Verrocchio, il maestro di Leonardo

Verrocchio, il maestro di Leonardo. È il titolo della mostra inaugurata il 9 marzo a Palazzo Strozzi a Firenze. È parte delle celebrazioni per il cinquecentesimo anniversario della morte del grande artista e scienziato nato a Vinci. La mostra è dedicata ad Andrea di Michele di Francesco di Cione, detto il Verrocchio e il titolo spiega bene perché. La bottega di Andrea è stata la palestra dove si è allenato il genio venuto da Vinci e il Verrocchio è stato davvero il maestro di Leonardo.

Basterebbe solo questo – essere stato il maestro dell’artista e scienziato nato a Vinci, dell’emblema stesso del Rinascimento fiorentino e dunque italiano e dunque europeo – per consegnare il Verrocchio alla storia e meritargli una mostra in occasione delle celebrazioni per Leonardo. 

Ma,Andrea Verrocchio non è stato solo il maestro di Leonardo. È stato molto di più, se possibile. Alla sua bottega, infatti, è riconducibile tutto il meglio dell’arte fiorentina nel periodo in cui la città toscana è all’apice della sua creatività. È il periodo in cui l’arte a Firenze raggiunge addirittura la perfezione assoluta: parola di Giorgio Vasari. 

La perfezione assoluta, secondo il primo storico dell’arte della storia, è raggiunta da tre artisti che operano contemporaneamente a Firenze, senza che nessuno dei tre vi sia nato: Leonardo, che viene come abbiamo detto da Vinci, dove è nato nel 1452; Michelangelo Buonarroti, nato a Caprese (Arezzo) quasi un quarto di secolo dopo, nel 1475; e il più giovane di tutti, Raffaello Sanzio, che non è neppure toscano, perché è nato a Urbino, nel 1483.

Non è solo Giorgio Vasari – vissuto a Firenze nel XVI secolo dove ha fondato la più antica accademia d’arte d’Europa, l’Accademia delle Arti del Disegno frequentata sia da Michelangelo Buonarroti che dopo, da Galileo Galilei – a considerare quei tre i principali attori sulla scena artistica e, quindi, culturale di ogni tempo e luogo. La perfezione assoluta, addirittura. Come poi tre geni di tal fatta possano far esplodere la loro creatività nel medesimo periodo e nella medesima (e tutto sommato piccola) città, è un mistero non facile da svelare. Ma che chi ci vuol provare non può fare a meno di passare dalla bottega del Verrocchio.

Per quanto Leonardo, Michelangelo e Raffaello siano geni straordinari, non sono isolati. Firenze nel Quattrocento e poi ancora nel Cinquecento è piena di grandi artisti. È certo però che quei tre sono una spanna più in alto di tutti gli altri. Ed è a loro che Giorgio Vasari attribuisce la fondazione della “maniera moderna”, la terza e più evoluta fase dell’arte che si è sviluppata in Toscana e in Europa dopo i tempi (considerati) bui dell’Alto Medioevo. 

La “prima maniera”, spiega lo storico dell’arte fiorentino, è quella realizzata tra il XIII e il XIV secolo da Cimabue e soprattutto da Giotto. È di importanza decisiva: perché rompe definitivamente con l’arte degli antichi. 

La “seconda maniera” è quella di Brunelleschi, Donatello e Masaccio: i tre artisti che all’inizio del XV secolo danno un ordine geometrico alla pittura e alla scultura e all’architettura, conferendo loro un’inedita capacità di rappresentare la realtà. È passando dalle loro botteghe, tra l’altro, che la scienza ritorna in Europa. 

I terzi di cui intende discutere Vasari sono ovviamente Leonardo, Raffaello e Michelangelo. Sono loro che raggiungono la “somma perfezzione”. E la perfezione per definizione non può essere superata. Dopo di loro, nessuno. Nessuno alla loro altezza, almeno.

Ma prima di loro la terra della creatività a Firenze è stata ben arata. E così i semi di quei tre titani possono germogliare e svilupparsi. 

La “terza maniera” viene inaugurata negli anni in cui a Firenze governa ormai, signore non più solo de factoma anche di diritto, Lorenzo de’ Medici detto Il Magnifico. Lorenzo è un abile politico ed è molto interessato alla filosofia: segue da vicino i lavori dell’Accademia platonica di Marsilio Ficino. Ma non è meno attento alle arti. È lui che attiva in città quella che André Chastel definisce la “grande officina” dell’arte italiana. Ed è con lui che risplendono le grandi botteghe con una concentrazione di artisti senza pari. 

C’è, per esempio, la bottega di Filippo Lippi, presso la quale nel 1460 entra a lavorare Sandro Botticelli. E c’è, soprattutto, la bottega di Andrea Verrocchio, presso la quale sono apprendisti non solo Leonardo da Vinci, ma anche Pietro il Perugino e Domenico il Ghirlandaio. Questi ultimi due diventeranno ben presto a loro volta maestri, tra i più fortunati. Il primo, il Perugino, avrà come allievo Raffaello Sanzio. Il secondo, il Ghirlandaio, avrà come allievo Michelangelo Buonarroti. È dalla “cerchia” del Verrocchio, dunque, che emergono i tre titani capaci di raggiungere la “somma perfezzione”. Leonardo, Michelangelo, Raffaello: una simile concentrazione di genio artistico non si è mai vista, probabilmente, in nessun altro luogo e in nessun altro tempo. A Firenze emerge tutta in una sola bottega (o, almeno, in una sola filiera di botteghe). 

Non sappiamo esattamente quando Leonardo giunge alla bottega del Verrocchio, Secondo Giorgio Vasari già nel 1462. Secondo una ricostruzione più attendibile, dopo la morte di nonno Antonio. Dunque, tra il 1468 e il 1469, quando ha sedici o diciassette anni e sta uscendo dall’adolescenza. 

Trova un maestro che gode di grande fama e di ottimi rapporti con i signori di Firenze, i Medici, ma tutto sommato ancora giovane. Andrea Verrocchio è infatti nato a Firenze nel 1435, l’anno in cui Leon Battista Alberti ha scritto il De Pictura. In realtà l’anno di nascita non è certo: chi dice il 1434 chi il 1437. In ogni caso, quando il ragazzo che viene da Vinci entra nella sua bottega, Andrea Verrocchio ha poco più di trent’anni. E una vita pregressa non proprio fortunata, in cui Leonardo si può in qualche modo riconoscere.

Andrea è il quinto degli otto figli messi al mondo da Gemma e da Michele di Cione, che da abile piastrellista ha cambiato mestiere ed è diventato esattore delle tasse. Dell’infanzia di Andrea si sa poco. Certo è che quando è ormai ragazzo viene arrestato e messo in carcere con l’accusa di omicidio. Avrebbe lanciato un sasso oltre un muro e ucciso senza volerlo un coetaneo, il quattordicenne Antonio di Domenico. La verità viene presto appurata: a lanciare il sasso è stato un altro. Andrea viene completamente scagionato. Ma non fa in tempo a tornare in libertà, che muore il padre. Lasciando la numerosa famiglia con un sacco di debiti.

Andrea deve farsene carico, in quota parte. Deve, in altri termini, lavorare per racimolare qualche soldo da portare a casa. Non si tira certo indietro. Ma il ragazzo, che non è uno stupido, comprende che per uscire fuori da quella situazione ed evitare che si verifichi di nuovo in futuro deve studiare. Solo così potrà migliorare il suo status sociale e il suo reddito. Eccolo dunque lavorare di giorno e studiare di notte per diventare un artigiano di valore. Frequenta la bottega di Giuliano Verrocchi e diventa un orafo. Professione emergente nella Firenze di Cosimo de’ Medici. Diventa così Andrea, quello del Verrocchi. In sintesi, Andrea Verrocchio. 

All’inizio degli anni ’60 è a Prato mentre dà una mano a un pittore molto noto, Filippo Lippi, che sta dipingendo il coro del Duomo. Frequenta anche la scuola di Donatello, da tempo riconosciuto come uno dei più grandi scultori, pittori e orafi di Firenze. In questo modo Andrea diventa maestro di scultura e di pittura e apre una sua bottega. 

Come scultore è molto ammirato e richiesto da Cosimo de’ Medici, anche se fino alla morte di Donatello, avvenuta nel 1466, sarà sempre una seconda scelta (che non è davvero poco, in quei tempi a Firenze). E tuttavia è a lui che la famiglia de’ Medici affida la realizzazione del monumento funebre del grande Cosimo, nella cripta che sta sotto l’altare della chiesa di San Lorenzo. 

È infatti con Piero che il suo rapporto con la corte dei Medici si intensifica. Un rapporto che continua con Lorenzo: il Magnifico gli affida infatti la realizzazione del monumento funebre a Giovanni de' Medici e, soprattutto quello a suo padre, Piero. Andrea Verrocchio lo porta a termine nel 1472, quando a bottega ha ormai da tempo anche Leonardo.

Il maestro è dunque molto apprezzato dai signori di Firenze. Ma non tutti i critici gli riconoscono, a posteriori, una grande qualità artistica. Come pittore non sarebbe un grandissimo, si dice. Giorgio Vasari non è affatto entusiasta neppure delle sue doti di scultore. Altri sostengono invece che a scolpire sia bravo per davvero, tanto che, in età matura, avrebbe raggiunto le medesime vette artistiche toccate dal suo maestro, Donatello.

Ma in questa sede non è il Verrocchio artista che ci interessa, quanto il Verrocchio maestro. E, come abbiamo già avuto modo di ricordare, non c’è nessuno che non gli riconosca le qualità del grande maestro. Forse il maggiore che Firenze abbia avuto nel XV secolo. E anche dopo.

Intanto è bravo a trovare commesse. Qualità magari non propriamente artistica, ma essenziale per avere una buona bottega e una fama tale da attirare giovani e promettenti apprendisti. I maligni dicono che questa sua capacità di procacciare commesse derivi dalla sua avarizia. Dicono sia un vero e proprio taccagno. Ma sono voci pettegole: la verità è che Andrea Verrocchio sa cos’è la povertà e sa quanto caduca sia la gloria di un artista. Non ci vuole davvero molto a cadere, con un gran tonfo, dall’altare nella polvere. 

È anche per questa consapevolezza che, alla fine degli anni ’60, quando Leonardo vi mette piede, la bottega del Verrocchio è la più in vista della città. Solo quella di Antonio e Piero Benci, più noti come i fratelli del Pollaiolo, riesce in qualche modo a starle alla pari. Ma, dicono in molti, un gradino più in basso. Le due botteghe hanno un tratto in comune, tuttavia: la spiccata propensione a innovare. A sperimentazione nuove forme di espressione per raggiungere la perfezione artistica.

Quella del Verrocchio è una bottega segnata dalla contaminazione tra diverse forme artistiche: pittura, scultura, decorazione, oreficeria. Andrea e i suoi sono famosi anche per la confezione di armi e di armature. No, non è solo una filosofia estetica quella del Verrocchio. È anche e, forse, soprattutto capacità di mettersi in sintonia col mercato che, da Firenze stessa o da ogni altra parte d’Italia, chiede opere   di ogni tipo. E lui, Verrocchio, intende fornirle, quelle opere: tutte di grande qualità.

Chi, come Leonardo, entra in bottega come garzone ha una lunga vita di apprendistato, che può durare anche tredici anni, prima di uscirne definitivamente con il titolo di maestro. Certo i ragazzi appena arruolati devono svolgere i lavori più umili: pulire la bottega, tenerla in ordine, svolgere qualche commissione. Ma presto sono coinvolti nel lavoro vivo. Tanto che spesso è impossibile attribuire un’opera solo al maestro, perché c’è sempre il contributo di uno o più dei suoi allievi.

Quando, per esempio, Andrea del Verrocchio dipinge il Battesimo di Cristo, nel 1475 o forse nel 1478, una delle figure angeliche è opera di Leonardo. Mentre altri particolari sono realizzazioni di altri allievi del maestro. 

La verità è che le botteghe del Verrocchio o dei fratelli del Pollaiolo sono luoghi strani. Intanto sono totalizzanti: perché i giovani che vi si formano vivono tutto il giorno lì e formano una comunità che condivide quasi tutto, comprese le opere che escono dal laboratorio. Ma sono anche luoghi aperti: ogni giorno è un via vai tra chi passa per dare uno sguardo alle opere bene esposte ed eventualmente acquistarne alcune, chi viene per fare dotte discussioni sull’arte e le scienze, chi per fare quattro chiacchiere e qualche pettegolezzo sulla politica. Le botteghe sono luoghi vivi, di confronto, frequentate dai migliori intellettuali di Firenze. È dal Verrocchio, per esempio, che Leonardo frequenta Leon Battista Alberti: con cui il ragazzo di bottega può discutere e apprendere per quattro anni, fino alla morte di quel grande artista e teorico dell’arte. Quando Leonardo giunge a Firenze, Alberti ha 65 anni. È figlio illegittimo, proprio come Leonardo. È anche per questo che tra il giovane provinciale e l’affermato ed eclettico intellettuale si crea un certo feeling. E che le idee proposte nell’ormai celebre libro sulla pittura di Alberti iniziano ad avere grande influenza sul ragazzo venuto da Vinci.

Ma torniamo al Verrocchio. Come maestro assolve a un ruolo fondamentale. Non solo nel dare un indirizzo artistico, ma anche nel cementare la comunità della bottega e, insieme, nell’aprirla all’esterno, nel renderla un luogo vivo e addirittura frizzante dal punto di vista intellettuale. 

La bottega del Verrocchio è nel cuore di Firenze, in via dell’Agnolo, un carruggio strettissimo che si allunga tra alti palazzi. La luce del sole fa fatica a giungervi, se mai lo fa, visto che si trova a piano terra. Eppure è un luogo effervescente. A lavorare lì dentro sono una ventina. Tra loro, Leonardo trova Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il Perugino, che ha sei anni più di lui, e Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi, noto come Sandro Botticelli, che di anni più di Leonardo ne ha sette. Botticelli è venuto a bottega dal Verrocchio, dopo che il suo primo maestro, Filippo Lippi, si è spostato a Spoleto. 

Ma, come abbiamo detto, la bottega del Verrocchio è frequentata da alcuni tra i più grandi e influenti intellettuali di Firenze. Non solo da Leon Battista Alberti, ma anche dal matematico Paolo Dal Pozzo Toscanelli, di famiglia ricca e molto legata a Cosimo de’ Medici. Quando Leonardo lo incontra per la prima volta, Toscanelli ha già superato i 70. Ma è ancora sulla breccia. E sarà lui a dare le dritte, fortunatamente sbagliate, a Cristoforo Colombo per “buscare l’oriente da occidente” e arrivare nelle Indie via mare senza dover circumnavigare l’Africa. Il viaggio intrapreso sulla scorta di una serie di calcoli sbagliati, porterà Colombo a scoprire l’America nel 1492. Intanto Toscanelli ha fatto in tempo a illustrare a Leonardo quanto sia importante la matematica per capire la natura. E per rappresentarla.

Sarebbe troppo poco dire che quando mette piede nella bottega del Verrocchio, Leonardo non fatica ad adattarsi al clima culturale e ai ritmi di lavoro della città. Al ragazzo che viene dalla campagna di Vinci questa vita urbana piace. Perché è ricca di stimoli e perché, lui lo comprende bene, è il modo migliore per centrare il suo obiettivo: diventare un grande pittore. Diventare il più grande tra i pittori. 

Andrea Verrocchio non è un maestro oppressivo. Favorisce la libera creatività dei suoi discepoli. Alla sua bottega Leonardo apprende – anzi, comprende – che l’arte non è solo doti naturali, ma anche formazione, esercizio, duro lavoro di apprendimento. Sudore. Insomma, sa che deve imparare il mestiere.

A bottega il Verrocchio gli insegna la pittura e la scultura; l’oreficeria e l’arte di lavorare i metalli. Ma anche la musica. Sì, è proprio il maestro che introduce Leonardo alla lira da braccio. Più in generale il Verrocchio aiuta il ragazzo a irrobustire la sua naturale propensione per uno stile di vita anticonformista. 

Davvero Leonardo deve molto al Verrocchio. Eppure nelle tredicimila pagine dei suoi scritti e dei suoi appunti non lo citerà mai. Non è che abbia in odio il suo maestro. Tutt’altro. Ma lui, Leonardo, cerca di accreditare sempre e in ogni modo la sua completa autonomia. Il suo obiettivo, fin da quando mette piede in bottega non è solo di diventare il più grande ma anche di creare qualcosa di assolutamente nuovo. E per farlo non deve avere (non deve ammettere di avere) radici. L’unica ammirazione esplicita che rivolge a un uomo del passato è per Giotto, soprattutto per via della decisione di emanciparsi dal maestro Cimabue.

E, in effetti, la ricerca di autonomia, sia pure all’interno della bottega del Verrocchio, porta il talentuoso ragazzo a bruciare le tappe. Nel 1472, ad appena vent’anni, Leonardo è già maestro iscritto alla Compagnia di San Luca, una delle corporazioni che hanno i pittori a Firenze. 

Non c’è che dire, il ragazzo ha un rapido successo. Che gli deriva dal suo valore di artista, certo. Ma anche da una notevole bellezza fisica, che Leonardo ostenta con visibile compiacimento. E poi il suo eloquio incanta. La sua vivacità e la sua estroversione conquistano. Firenze si sta accorgendo di Leonardo.  

Non fosse che una nube, nera e minacciosa, viene a oscurare il cielo limpido della sua ascesa. Firenze è piena di tamburi, dette anche bocche della verità perché qualsiasi cittadino può lasciarvi una lettera con su scritto qualsiasi cosa. E ogni cittadino sa che quelle lettere verranno lette. Anche da chi di dovere.

Il 1476 è appena iniziato che qualcuno mette in un tamburo una lettera avvelenata, dove in forma anonima si accusa Leonardo da Vinci e altri tre giovani di aver abusato sessualmente di un ragazzo, Jacopo Salterelli. La faccenda è seria. Perché molti sanno che Leonardo è omosessuale, proprio come il suo maestro, Andrea Verrocchio. Anzi è molto probabile che Leonardo sia stato iniziato all’omosessualità proprio nella bottega del Verrocchio. D’altra parte è risaputo che negli ambienti artistici fiorentini questo tipo di gusti sessuali sono piuttosto diffusi. E nessuno se ne scandalizza più di tanto. Ma le leggi non sempre concordano con il sentire comune. E la legge fiorentina considera l’omosessualità un reato, da punire, se è il caso, anche con la morte. 

In breve: la lettera anonima attiva un processo penale a carico dei quattro. A Firenze non si parla d’altro. Il prestigio del figlio di ser Piero da Vinci subisce una rapida caduta. E probabilmente anche quello del padre ne risente. La prima seduta del processo si tiene il 9 aprile 1476. Come spesso accade, il giudice rinvia la sentenza, Ci vediamo il prossimo 7 giugno. Arriva il 7 giugno e ancora un rinvio. Di qualche giorno appena. In tutto questo tempo il destino di Leonardo è sospeso. Il suo umore nero. D’altra parte sa che la sua stessa vita è in pericolo. No, il giovane non supererà mai del tutto il trauma di questi mesi. Neppure dopo che, alla fine del processo, in quel medesimo giugno 1476, il giudice manda assolti tutti i quattro accusati.

Resta l’onta. Il figlio di ser Piero è indicato come un depravato. Non attenua le sensazioni di vergogna del ragazzo sapere che l’epiteto coinvolge buona parte degli artisti della città. Compreso il maestro, il Verrocchio. Ma Leonardo mal sopporta il disonore che ha portato alla sua famiglia. 

Quella del Verrocchio è una bottega all’insegna della contaminazione. Le arti si mescolano e anche le opere. È difficile stabilire di chi sia un dipinto o una scultura o un’arma che esce dalla bottega. Molto spesso è un’opera cui molti hanno dato un contributo. Prendiamo, a esempio, il Battesimo di Cristo, un dipinto molto famosouscito dalla bottega negli anni ’70. È attribuito al maestro, Andrea Verrocchio.  Ma il l’angelo dipinto sulla sinistra è opera di Leonardo. Ha un volto da fanciullo e molti critici ne sottolineano i tratti, la delicatezza delle sfumature cromatiche, l’abile rapporto con la luce che ne fanno un capolavoro nel capolavoro. 

L’angelo di Leonardo sarebbe di una qualità artistica tanto superiore al resto da indurre Andrea Verrocchio a lasciare per sempre la pittura pur di non cimentarsi più con l’allievo che ormai lo ha superato. 

Questa è, tuttavia, una storia possibile, ma non certa. E neppure probabile. Ce la propone Giorgio Vasari nel suo robusto tentativo di fondazione di un mito, quello di Leonardo genio assoluto. Ma non c’è alcun’altra fonte che corrobori la tesi di Vasari. I lavori promiscui, a più mani, alla bottega del Verrocchio sono e continuano a essere la norma. E lui, il maestro, difficilmente vi si potrebbe sottrarre.

Per il medesimo motivo, il lavoro collettivo, anche l’Arcangelo Raffaele e Tobiolo, datato tra il 1465 e il 1470, e la Madonna col Bambino e angeli, dipinto tra il 1476 e il 1478, sebbene considerati del Verrocchio, sono di difficile attribuzione. Sono opere della bottega, potremmo azzardare. 

E, in effetti, la rupe che ammiriamo nella Madonna col Bambino e angeliha forti somiglianza con un disegno di Leonardo. Cosicché nell’opera che attribuiamo alla bottega del Verrocchio c’è, evidente, la mano del ragazzo che viene da Vinci. 

La prima opera tutta e sola di Leonardo – stando agli studi recentissimi di Ernesto Solari e Ivana Bonfantino – sarebbe L'arcangelo Gabriele, pittura d'Eterna vernice, realizzata nel 1471, dove su una piastrella quadrata di 20 centimetri per 20 è raffigurato il biblico personaggio con le sembianze dell’autore (ay). Insomma, la prima opera nota, firmata «da Vinci Lionardo», coinciderebbe – il condizionale è ancora d’obbligo – con un autoritratto. Il che, tutto sommato, con contrasta con il narcisismo piuttosto spinto del giovane.

Per molto tempo si è creduto che la prima opera tutta e sola di Leonardo fosse stata il Passaggio con la valle dell’Arno, un disegno con penna e bistro su carta con ombre acquerellate, datato 5 agosto 1473. Da un anno Leonardo è iscritto alla Corporazione dei pittori e, ormai, è il primo assistente di Andrea Verrocchio. E in questo disegno troviamo subito la filosofia estetica di Leonardo: la realtà non così com’è, ma come ci appare (a3). Ma attenzione, qui troviamo il primo esempio del realismo di Leonardo. Noi non possiamo pretendere di rappresentare la realtà per quello che è. Ma possiamo rappresentare solo la realtà così come ci appare. Un’idea, questa sì originale anche nella Firenze del Quattrocento. E dalle profonde implicazioni epistemologiche.  

Ormai Leonardo non è più il brillante allievo del Verrocchio. 

Leonardo inizia a essere Leonardo.

Sono anni questi, tra il 1474 e il 1478, in cui la ricerca di autonomia non è solo ideale. Una cesura del pensiero. Leonardo si distacca anche fisicamente dalla bottega di Andrea Verrocchio e dal maestro. Gli ultimi lavori che i due eseguono insieme sono quelli, probabilmente, realizzati a Pistoia. Andrea Verrocchio ha avuto l’incarico di realizzare un monumento in marmo al cardinale Niccolò Forteguerri. Il maestro porta nella cittadina toscana la sua bottega. Ebbene l’opera è firmata da Andrea Verrocchio in persona, sebbene sia frutto ancora una volta di un lavoro a più mani. Tra quelle tante, non si sono le mani di Leonardo. Il più talentuoso degli allievi di Andrea vi fornisce un apporto scarso se non nullo. E non solo perché non ama la scultura.

Qui dobbiamo aprire una breve parentesi. Alla bottega del Verrocchio, Leonardo ha imparato anche l’arte della scultura. E ha realizzato o contribuito a realizzare anche qualche opera: non sappiamo esattamente quale, ma non c’è dubbio alcuno che Leonardo sa scolpire. E anche bene. 

Ma torniamo a Pistoia, anno 1477. Mentre è lì, Andrea Verrocchio riceve un ulteriore incarico: dipingere una grande pala sull’altare dedicata alla Madonna col bambino. Ormai il suo primo assistente è Lorenzo di Credi. Leonardo non partecipa all’opera che è di pittura. A questo punto è evidente: l’antico sodalizio col maestro Verrocchio sta per rompersi. Senza polemica alcuna. Semplicemente il ragazzo venuto da Vinci vuole (deve) mettersi in proprio.

La farfalla ha bisogno di uscire definitivamente dal bozzolo e di volare.

D’altronde, ora Leonardo è un maestro. 

Sebbene Leonardo non riconosca al Verrocchio alcuna influenza sulla sua arte, è nella bottega del maestro che ha concepito e iniziato ad affinare il suo progetto artistico: esplorare la realtà del modo visibile per riprodurla con assoluta perfezione. Così come appare. Ed è negli anni di frequentazione di quella rinomata bottega che mette a punto e affina il suo pensiero teorico: fondare l’arte sulla conoscenza scientifica. Ed è alla bottega del Verrocchio, infine, che apprende non solo le tecniche delle tre arti, la scultura, la pittura e il disegno, ma si imbeve dello spirito della ricerca che lo porta a studiare la natura in tutte le sue dimensioni: dall’anatomia umana al paesaggio, dalle piante e gli animali. I risultati di questi studi li ritroviamo nel suo Codice Atlantico, la più ampia raccolta dei suoi disegni e dei suoi appunti che ci sono rimasti, e in tutte le sue opere conosciute. 

Anche da lontano il Verrocchio resta un maestro. Quando Leonardo, ormai spostatosi a Milano, apprende che il Verrocchio, si sta cimentando a Venezia con la realizzazione di una statua in bronzo dedicata a Bartolomeo Colleoni decide di cimentarsi con lui a distanza. E progetta di realizzare una statua ancora più grande e inaudita, da dedicare a Francesco Sforza.

Leonardo non riuscirà, per una serie di motivi, a ultimare il suo progetto. Mentre Andrea Verrocchio realizza a Venezia la sua. Vi lavora nove anni, fino alla morte, sopraggiunta nel 1488. La statua non è ultimata, ma trova la sua collocazione in Campo San Zanipolo. È imponente con i suoi 3,95 metri di altezza.

         No, Andrea Verrocchio non è solo il maestro di Leonardo.

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