SCIENZA E RICERCA

Cuori stampati (e non è San Valentino)

“Immaginate di essere in un ospedale e di poter stampare un intero organo, con tutte le sue cellule, le proteine e i vasi sanguigni al posto giusto, semplicemente schiacciando un bottone sullo schermo del vostro computer”. Sebbene la possibilità sembri alquanto remota, in realtà è ciò a cui potrebbe portare in futuro l’impiego delle stampanti 3D in medicina, se nelle cartucce al posto dell’inchiostro si mettono cellule e biomateriali. Ne sembra convinto Luiz Bertassoni, docente alla University of Sidney, che pochi mesi fa con il suo gruppo di ricerca è riuscito a ottenere dei vasi sanguigni proprio utilizzando il metodo della stampa tridimensionale. Questo è solo uno degli ultimi tentativi di realizzare organi e tessuti umani e, sebbene si tratti ancora di esperimenti di laboratorio, la ricerca si sta muovendo in questa direzione.

Le applicazioni delle stampanti 3D in campo medico sono molteplici e datano ormai qualche decennio. Tra i primi utilizzi va considerata la costruzione di prototipi ad uso clinico in diversi materiali, soprattutto materiali polimerici o metallici. In ambito ortopedico, ad esempio, la stampa tridimensionale di modelli in scala uno a uno delle fratture ottenuta partendo da una risonanza permette di testare l’uso di protesi prima di un impianto, ma anche di migliorare gli interventi di chirurgia mini-invasiva in sala operatoria.

“Le stampanti 3D – spiega Paolo Bariani del Te.Si. Laboratory for precision and micro-manufacturing dell’università di Padova – vengono impiegate anche per la costruzione di strumenti chirurgici fortemente personalizzati sul paziente, utili a esempio per interventi nella scatola cranica, oppure per fabbricare micro e macroprotesi”. Proprio in questa direzione il dipartimento di ingegneria industriale, attraverso processi di stampa 3D combinati ad altre tecnologie sottrattive, ha contribuito allo sviluppo di protesi dentali in leghe di titanio per alcune industrie italiane, in particolare per l’Eurocoating di Trento con cui sono stati avviati anche contratti di lavoro. 

Ma gli esempi e le applicazioni sono molti e provengono anche dall’estero. In Olanda, non molto tempo fa, un’équipe medica dell’università di Utrecht ha eseguito un’operazione in una giovane ragazza nel corso della quale la calotta cranica, che continuava a ispessirsi andando a comprimere il cervello, è stata sostituita da una protesi realizzata con una stampante 3D. E al Morriston Hospital di Swansea in Galles si è intervenuti sul volto di Stephen Power, che riportava fratture al naso, agli zigomi, alla mandibola e al cranio dopo un grave incidente motociclistico, restituendone la simmetria e la funzionalità attraverso protesi in titanio ottenute da stampa 3D.

“In anni più recenti – argomenta Bariani – le stampanti 3D sono state utilizzate nel campo della microfluidica, cioè per realizzare microlaboratori su scala nanometrica e micrometrica utili alla selezione e all’analisi di cellule e fluidi di interesse biologico. Un settore che si sta sempre maggiormente affinando”.

Si ricorre al metodo della stampa tridimensionale anche per la realizzazione di scaffolds, cioè di strutture per la crescita controllata di cellule di diversa natura, prodotti in materiale metallico, ceramico o polimerico. Si tratta di supporti, di strutture reticolari piane e tridimensionali, anche bioassorbibili, che presentano elementi geometrici su scala nanometrica o micrometrica più o meno regolari. Le cellule vengono adagiate su queste strutture e con queste interagiscono e si sviluppano, assumendo in questo modo anche forme tridimensionali. L’obiettivo è di impiantare nel corpo umano gli scaffolds soprattutto per riparare tessuti o parti di organo: le strutture costruite in 3D possono infatti essere riassorbite lasciando quindi le cellule crescere nell’ambiente circostante.  

“Per il momento – continua Massimo Conese, docente del dipartimento di scienze mediche e chirurgiche dell’università di Foggia e autore di un recente studio sull’argomento – si tratta di esperimenti condotti in laboratorio, a livello clinico non mi risulta siano ancora stati utilizzati scaffolds ottenuti con stampa 3D. Non ci sono applicazioni sull’uomo, ma solo su animali da esperimento”. La tecnologia tuttavia ormai esiste.

La vera sfida ora sta proprio nella realizzazione di veri e propri organi, in cui le cellule riescano a differenziarsi e trovino nell’organo costruito con stampante 3D la loro fonte di alimentazione. Uno degli ostacoli maggiori è costituito dalla vascolarizzazione. “Oggi si sta facendo lo sforzo – spiega Conese – di creare tessuti vascolarizzati, ma il problema risiede nel fatto che durante lo stampaggio degli organi si dovrebbero creare anche dei condotti che consentano l’afflusso ematico e dunque l’irrorazione sanguigna. Un’operazione che risulta ancora molto difficile”. Una possibilità, cui guarda il gruppo di Conese, potrebbe essere offerta dalle cellule staminali. Le staminali, infatti, non solo hanno la capacità di differenziarsi ma anche di indurre l’angiogenesi, cioè la vascolarizzazione dei tessuti. E sono antinfiammatorie: una volta impiantato nel corpo il tessuto ‘stampato’, le staminali riuscirebbero infatti a modulare la risposta immunitaria e favorire il trapianto.  

Se queste sono le potenzialità delle stampanti 3D in ambito clinico, non mancano possibili applicazioni anche nel campo della didattica e della ricerca. Alcuni docenti si stanno infatti interessando alla possibilità di costruire in 3D organi nella loro complessità, sia per studiarne la morfologia con gli studenti, ma anche per poter eseguire vere e proprie operazioni. Paolo Bariani spiega che questo tipo di ausili didattici potrebbero essere prodotti, ma il materiale necessario è molto costoso e il sostegno economico manca.   

A Padova il gruppo di Andrea Bagno del dipartimento di ingegneria industriale, in collaborazione con quello del cardiochirurgo Gino Gerosa e il laboratorio Te.Si. di Bariani, sta lavorando alla costruzione di un arco aortico in silicone (materiale che riesce a produrre l’elasticità delle pareti vascolari) che si otterrà mediante un calco realizzato con stampante 3D. Il manufatto verrà poi inserito in un circuito idraulico, il pulse duplicator, che permette di simulare il flusso sanguigno all’interno dell’apparato cardiovascolare.

“La stampa tridimensionale – sottolinea Bagno – consente di produrre un oggetto del tutto simile alla realtà non solo dal punto di vista idraulico, ma anche anatomico, grazie alla misurazione preliminare di molti archi aortici reali”. Lo strumento di simulazione della circolazione cardiovascolare che si sta mettendo a punto al dipartimento di ingegneria idraulica, e di cui l’arco aortico sarà parte, ha un duplice scopo. Da un lato consente di simulare le condizioni di utilizzo di dispositivi come valvole cardiache o stent endovascolari e permette di valutare la corrispondenza di questi sistemi protesici ai requisiti prescritti dalle norme internazionali. Dall’altro permette di lavorare alla progettazione di nuove protesi. “Con il gruppo dei cardiochirurghi – continua Bagno – stiamo cercando di sviluppare un dispositivo protesico biologico realizzato con pericardio (membrana che riveste il cuore ndr) animale. Prima di arrivarci tuttavia saranno necessarie una serie di valutazioni di tipo biologico e meccanico sui tessuti, oltre a prove di funzionalità ed emodinamica, che si potranno condurre in un sistema come quello che stiamo mettendo a punto”.  

Monica Panetto

 

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