SCIENZA E RICERCA

Elettrica sì, ma come fare il pieno?

Un mercato in espansione quello delle auto elettriche, sebbene la mancanza di una rete di ricarica diffusa e i limiti di autonomia rimangano ancora ostacoli da superare. Secondo il Global electric vehicles outlook, le vendite a livello mondiale sono infatti più che raddoppiate tra il 2011 e il 2012 e sono destinate ad aumentare in modo considerevole da qui al 2020. Se infatti fino al 2012 il totale delle auto elettriche vendute sono state 180.000, Stati Uniti e Giappone in testa, tra sei anni si stima che raggiungeranno i 20 milioni. Quasi sei milioni solo nel 2020. Si tratta di dati che si riferiscono ai 15 Paesi aderenti all’Electric Vehicles Initiative, numeri tuttavia rappresentativi se si considera che proprio in questi Stati si collocherà la maggior parte delle vendite.

Il mercato, del resto, trova la sua ragion d’essere nell’ambito di una politica globale di sviluppo delle tecnologie di propulsione alternative in un’ottica di “mobilità sostenibile”. In Europa la strategia Transport 2050 adottata nel 2011 mira a ridurre le emissioni di anidride carbonica nei trasporti del 60% entro la metà del secolo e ad escludere gradualmente dalle città le auto ad alimentazione convenzionale, favorendo invece l’adozione di carburanti “puliti”. In Italia nel 2012 il decreto sviluppo (legge 134/2012) prevedeva un Piano nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica, approvato quest’estate con un decreto del ministro delle infrastrutture e dei trasporti Maurizio Lupi.

Le auto elettriche rappresentano una valida alternativa ai carburanti tradizionali, ma la mancanza di una rete di stazioni di ricarica che consentano di fare il pieno velocemente scoraggia i consumatori e a loro volta anche i fornitori non investono nelle infrastrutture. Così pochi mesi fa il Parlamento europeo ha stabilito un quadro comune di misure per la realizzazione nell'Unione di infrastrutture per i combustibili alternativi  come l'elettricità, l'idrogeno e il gas naturale. 

Se i distributori sono pochi, anche il tempo necessario per fare un pieno rende le auto elettriche ancora poco competitive. Oggi il sistema di ricarica dei veicoli elettrici più diffuso è il plug in. Si parcheggia l’auto, si inserisce la spina e si aspetta. Il problema però sta proprio qui, nell’attesa, che può essere anche di 20 minuti a seconda della capacità della batteria. Ora, immaginate di dover fare un viaggio di 800 chilometri e di dovervi fermare tre, quattro volte per ricaricare la vostra auto e ben più dei cinque minuti che di solito si impiegano per fare il pieno di benzina.

Un’alternativa al plug in è il sistema di ricarica wireless. “In pratica si tratta di una ricarica senza fili: una bobina collocata sotto l’asfalto emette un campo elettromagnetico che viene trasmesso a una seconda bobina posizionata nell’auto. Siamo nell’ordine di piccole potenze, di pochi chilowatt”. Ne parla Fabrizio Dughiero che con Giuseppe Buja, entrambi del dipartimento di ingegneria industriale dell’università di Padova, si dedicano allo studio e al potenziamento di questo tipo di tecnologia. Il gruppo di Dughiero si occupa da tempo del dimensionamento delle antenne riceventi e trasmittenti, mentre Buja lavora all’elettronica di potenza sul controllo. “Nonostante non manchi chi ha già iniziato a commercializzare il sistema di ricarica wireless – puntualizza Dughiero – i limiti legati ai tempi di ricarica rimangono”.

Una strada promettente sembra essere quella della ricarica “while driving”, un sistema di rifornimento che avviene durante il viaggio senza che l’auto si fermi. L’idea è di “elettrificare” alcuni tratti autostradali e verrà sviluppata nel corso dei prossimi tre anni nell’ambito del progetto europeo Fabric (Feasibility analysis and development of on-road charging solutions for future electric vehicles). Avviato nel 2014 e finanziato con nove milioni di euro, allo studio lavorano 23 partners tra università e aziende di nove Paesi europei (Belgio, Italia, Francia, Germania, Grecia, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e Regno Unito). In Italia le università coinvolte sono il politecnico di Torino e l’università di Genova. Padova, pur non partecipando direttamente, collabora con alcune aziende partner.

Il progetto prevede di sfruttare lo stesso principio dei sistemi di ricarica wireless ma con una potenza maggiore. Ciò significa l’installazione di bobine di rame sotto il manto stradale che emettono un certo campo elettromagnetico e bobine nei veicoli che ricevono il segnale. “In futuro ogni 70, 80 chilometri di autostrada, potrebbe esserci un tratto dedicato alle auto elettriche. Si potrebbe entrare con un telepass, ricaricare l’auto del 30, 40, 50% e pagare all’uscita”. Continua il docente: “Certo le questioni da risolvere sono molte, dal contenimento dei costi alle infrastrutture. Questi tratti autostradali dovranno essere particolarmente robusti tali da durare almeno sei, sette anni. E qualora si dovesse rifare l’asfalto, non dovrà essere necessario ricostruire anche il sistema di bobine”.

Da qui la necessità di installare dei prototipi per verificare se l’impianto resiste al passaggio di  molte automobili. Dopo una prima fase di studio e progettazione che avrà luogo tra il 2014 e il 2015 il progetto Fabric prevede, infatti, tra il 2016 e il 2017 una fase di test su tre tratti autostradali di circa un centinaio di metri di lunghezza: in Italia nella Torino-Bardonecchia, in Francia nella Satory-Versailles e ad Hällered in Svezia. Sebbene le varie possibilità e le specifiche tecniche siano dunque tuttora al vaglio, è evidente che potrebbe trattarsi di una soluzione semplice, veloce e facile da sfruttare.

Monica Panetto

 

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