CULTURA
Gemelli nella Fortezza. “Il rumore dei tuoi passi”
In un secolo dove l’amore è sempre più legato alla sfera dell’erotismo, in cui il sentimento totalizzante di Cime tempestose lascia spazio alle piccanti pagine delle ormai troppo celebri Cinquanta sfumature, irrompe la storia del legame profondo, viscerale e tenace di Beatrice ed Alfredo. “Il rumore dei tuoi passi” (Longanesi 2012) di Valentina d’Urbano, potrebbe far pensare ad un melenso romanzetto sentimentale, con i due adolescenti imbronciati in copertina che sembrano il manifesto pubblicitario del disagio bamboccione. Ma una volta sfogliate le prime pagine ci si rende conto che l’ impressione era sbagliata: Beatrice e Alfredo, i protagonisti, non sono mocciosetti viziati, ma ricordano semmai le protagoniste di “Acciaio” di Silvia Avallone, cresciute in una periferia squallida e desolata.
“Il rumore dei tuoi passi” comincia dalla fine e il lettore si ritrova al funerale di Alfredo. Beatrice non piange, perché ce l’ha a morte con lui, non ha mai odiato nessuno così tanto. E da lì parte il flashback che li rivede bambini di otto anni, quando Alfredo si trasferisce alla Fortezza, un nomignolo usato per il quartiere che ospita il complesso di case popolari occupate in cui vivono. Un quartiere dove le persone tirano avanti e muoiono nell’indifferenza generale.
Suo padre alza il gomito e le mani, così lui si rifugia ogni notte dalla famiglia dell’amica. Alfredo e Beatrice sono chiamati da tutti “i gemelli”. In realtà non sono nemmeno amici, anzi, si odiano. Ma sono uniti da un legame così profondo che nessuno sconvolgimento della vita riesce a reciderlo fino alla fine. Da certi vincoli, però, non si sfugge, così come non si può scappare da un quartiere come il loro, che ti condanna da quando ci nasci: si tratta solo di scoprire a cosa. E in qualche modo è comunque una condanna dolce: anche se mancano i soldi e le speranze, c’è la famiglia, quella del sangue e quella che ti scegli ogni giorno. Forse può sorprendere il tenace attaccamento al degrado, ma spesso ci si accontenta di avere un luogo da chiamare casa.
I due bambini attraversano indenni gli anni di piombo e si ritrovano di colpo adolescenti in un decennio un po’ malato. Attorno a loro la gente muore e si perde, ma Alfredo e Beatrice non se ne accorgono, perché esistono soltanto loro, “i gemelli”. Eppure sono molto diversi. Alfredo è debole e accondiscendente, Beatrice è una furia testarda e vendicativa. Trascorrono le loro giornate picchiandosi e insultandosi, gli altri abitanti della Fortezza li lasciano stare, li autorizzano a crescere in una simbiosi che si fa sempre più forte. Tutti sanno che è questo l’amore, tranne loro, che vivono questo rapporto con un accanimento ostinato e distruttivo, sapendo però che sarebbe impossibile vivere l’uno senza l’altra.
Sullo sfondo spicca sempre la Fortezza, col suo degrado capace di inghiottire chiunque. Ed è Alfredo, tra i due, che si fa trascinare nel buio. Beatrice non lo abbandona mai, nemmeno per un secondo, nemmeno quando lui diventa una zavorra, quando il meccanismo del loro rapporto rivela un bullone difettoso. È irremovibile: i gemelli non possono soccombere alla Fortezza. Con un’ostinazione feroce e implacabile cerca di salvare Alfredo dall’abisso, pur sapendo che rischia di caderci a sua volta, perché sa che deve tentare a tutti i costi di stare vicino a quel ragazzino biondo che negli anni è diventato una parte di lei.
Ma il lettore sa che Beatrice è destinata a perdere, che il filo che li lega si trasformerà in un cappio mortale che non lascerà respiro a nessuno dei due, perché l’unica forza che Alfredo ha trovato nella sua vita è quella che gli è servita per autodistruggersi.
E così Beatrice rimane mutilata e per tutta la vita sentirà l’assenza del gemello in ogni suo respiro. Dicono che ogni vero amore sia senza speranza. Il libro conferma questo assioma con un linguaggio semplice e diretto e la scrittura di Valentina d’Urbano, nella sua immediatezza intrisa di poesia, commuove il lettore trasportandolo nel mondo di Beatrice, che ci racconta di come ha affrontato la vita con un coraggio disperato che l’ha fatta rimanere con un tesoro di poveri rimpianti.
Anna Cortelazzo