SOCIETÀ
Il caso Lobbia: un uomo solo contro la corruzione
È il 5 giugno 1869 quando, nel mezzo di una tumultuosa seduta in Parlamento, Cristiano Lobbia scaglia il suo j’accuse. Di fronte a un uditorio allibito il deputato asiaghese mostra due buste, denunciando di essere in possesso di documenti importantissimi sullo scandalo della concessione sui monopoli dei tabacchi, che proprio in quei giorni riempie le pagine dei giornali. Viene subito formata una commissione parlamentare, ma la domanda che tutti si pongono è: cosa c’è nei plichi di Lobbia? Le prove della corruzione di decine di deputati? Forse si arriva a coinvolgere addirittura la Corona? È questo il contesto in cui si svolge la storia raccontata da Gian Antonio Stella sul suo ultimo libro (I misteri di via dell’amorino, Rizzoli 2012).
Facciamo un passo indietro. Sono passati appena otto anni dall’Unità d’Italia, a Roma comanda ancora il Papa e la capitale è temporaneamente a Firenze. Il giovane Regno, nel tentativo di evitare il fallimento, impone la tassa sul macinato, che provoca 250 morti per i tumulti in tutta Italia. La corruzione però è diffusa a tutti i livelli. Il governo, nel tentativo dichiarato di fare cassa, decide di dare in concessione ai privati il monopolio dei tabacchi. Un affare enorme: le offerte migliori vengono ignorate per favorire una cordata di “amici di amici” composta da banchieri, politici e faccendieri, che non esita a distribuire “zuccherini” a tutti i livelli (così si chiamano allora le tangenti), compresi – si dice – oltre 60 deputati.
Sembra storia dei giorni nostri. Quella volta però i vari “poteri forti” finanziari e occulti trovano un uomo che osa sfidarli. Cristiano Giovanni Andrea Lobbia è un asiaghese onesto, innamorato dell’Italia e della libertà, e molto testardo. Classe 1826, si laurea in ingegneria Padova, dove partecipa all’insurrezione contro gli austriaci dell’8 febbraio 1848. Amico stimato di Garibaldi, cacciatore delle Alpi e poi garibaldino, nel 1867 entra in Parlamento. Qui si mette in luce per la competenza e l’integrità morale, finché la sua storia non si incrocia con quella dello “scandalo del monopolio tabacchi”.
Dopo il suo discorso in parlamento Lobbia diventa in pochi giorni un eroe nazionale, un simbolo della lotta alla corruzione. Questo però gli costerà caro, fino a distruggere la sua vita. Nella notte fra il 15 e il 16 giugno 1869, in via dell'Amorino a Firenze – che appunto dà il titolo al libro di Stella – un sicario tenta di pugnalare Lobbia, che però riesce a metterlo in fuga a revolverate. Subito la notizia si diffonde, scatenando manifestazioni di solidarietà in tutta Italia. Il deputato si reca trionfante in Parlamento con il cappello ammaccato, segno dell’aggressione ricevuta, e da allora si parlerà di “cappello alla Lobbia”.
Si mette in moto l’inizio di un ingranaggio che stritolerà la vita del giovane deputato. Il ministro della giustizia Pironti (da cui all'epoca dipende il potere giudiziario) affida l'inchiesta sull'agguato al conte De Foresta, trasferito appositamente da Bologna, che allestisce un processo-farsa al termine del quale Lobbia viene condannato per simulazione di reato. Anche la sinistra di Crispi, all’inizio solidale con le sue posizioni, abbandona al suo destino il deputato, al quale viene persino negata l’immunità parlamentare. Nulla gli viene risparmiato: per screditarlo viene addirittura inventata a suo carico l’accusa, ai tempi particolarmente infamante, di essere omosessuale.
È l’amaro epilogo della vicenda. Lobbia farà ancora in tempo a mostrare il suo valore nella guerra franco-prussiana, quando con il drappello di volontari garibaldini conquista sul campo i gradi di generale della neonata Repubblica Francese. Ormai però la vittima è stata trasformata in un mitomane: “l’unica persona perbene, e quindi paradossalmente l’unico a pagare in questa vicenda”, dice oggi Gian Antonio Stella. Cristiano Lobbia, precocemente invecchiato e malato, muore il 2 aprile 1876 a Venezia, dove è da poco tornato per esercitare la professione di ingegnere. Poco più di un anno prima la corte d'appello di Lucca lo ha definitivamente assolto da ogni accusa, criticando a fondo il lavoro compiuto sei anni prima dai giudici fiorentini. Ormai però l’Italia però sembra essersi dimenticata di lui.
Gian Antonio Stella ha conosciuto la figura di Lobbia durante la preparazione di un lavoro teatrale: Un paese di gente perbene, con Bebo Storti e la Compagnia delle acque, uno spettacolo-inchiesta sull’Italia a cavallo tra la cattiva politica e la cattiva economia. “Con il mio libro ho cercato di restituire, per quanto potevo, l’onore a Lobbia: un uomo perbene, che è stato completamente dimenticato” racconta oggi Stella, diventato famoso per i suoi libri inchiesta.
Il libro è anche lo spunto per la riflessione sulla storia della corruzione: secondo l’ultima classifica di Transparency International, compilata sulla base della percezione della corruzione da parte dei cittadini di 174 nazioni, l’Italia nel 2012 si collocava al settantaduesimo posto, perdendo tre posizioni rispetto all’anno precedente. Dopo Ghana, Romania e Brasile: peggio in Europa fanno solo Bulgaria e Grecia. Per farsi un’idea, negli anni di Tangentopoli l’Italia era intorno al trentesimo posto.
Ma la corruzione e la commistione tra politica e affari in Italia hanno una radice antica almeno quanto lo stato unitario: già nel 1862, appena un anno dopo l’Unità, scoppia ad esempio lo scandalo delle Ferrovie meridionali: Pietro Bastogi, mazziniano della prima ora, a tempo di record passa dal ruolo di ministro a quello di imprenditore concessionario dello stato. Un vero conflitto d’interessi ante litteram e solo il primo di una serie di scandali che arrivano fino ai giorni nostri.
Daniele Mont D’Arpizio