SOCIETÀ

Il cioccolato italiano che piace ai cinesi

In tempi di crisi, la notizia avrebbe dovuto andare in prima pagina sui quotidiani nazionali: la Icam, azienda che produce cioccolato, ha chiesto ai lavoratori di lavorare sette giorni su sette, 24 ore su 24, per far fronte alla crescenti richieste del mercato cinese,  un mercato potenziale da un miliardo e mezzo di persone. Invece è comparsa solo in un breve articolo su La Provincia di Lecco. Di nuovo, giornali, politici e sindacati sembrano non accorgersi dell’importanza di valorizzare la qualità manifatturiera italiana. Sono i successi di aziende come la Icam, indifferenti alla crisi perché orientate al mercato mondiale, che sostengono il Paese.

La Icam, nata come piccola pasticceria nel dopoguerra, ha recentemente aperto un nuovo stabilimento a Orsenigo, dove è stata spostata la produzione di cioccolato e cioccolatini con l’obiettivo di intraprendere un ulteriore processo di crescita. Per il 2013 l’azienda prevede di portare il fatturato da 110 a 120 miloni di euro. Ma si tratta solo di un primo passo: a regime, la Icam potrebbe anche raddoppiare i volumi di fatturato, creando nuova occupazione grazie alla cinese Guangming Food di Shanghai, la più grande food corporation cinese per la produzione di cioccolato, che ha individuato in Italia i centri di eccellenza nella produzione industriale di qualità.

Si è molto parlato dello shopping che gruppi industriali esteri fanno nel nostro Paese, ultimo esempio, l’azienda di tessuti di alta gamma Loro-Piana, comprata dai francesi di LVMH, il cui presidente Bernard Arnault ha dichiarato che è fiducioso sullo sviluppo del marchio che possiede grandi potenzialità. Quello di cui non si parla a sufficienza è che l’Italia ha centinaia di aziende, in tutti i settori, che hanno capito la dinamica della globalizzazione e si sono adattate. Fanno innovazione, hanno migliorato la loro capacità di penetrazione nei mercati internazionali, sono spesso leader mondiali nel loro segmento di mercato.

Prendiamo ad esempio la Pagani automobili, che sta a San Cesario sul Panaro, in Emilia. Non è certo un marchio conosciuto al grande pubblico ma produce automobili sportive “su misura” per una ristretta clientela internazionale di appassionati. Poche automobili all’anno dal prezzo molto elevato (dal milione di euro in su tanto da far risultare una Ferrari quasi un’utilitaria) e dalla qualità inarrivabile. Pagani, di origini argentine, si fece le ossa in Lamborghini per poi mettersi in proprio e diventare ora uno dei brand più esclusivi del settore. Per non parlare di Sonus Faber, azienda della provincia di Vicenza, leader mondiale nella produzione di altoparlanti di alta qualità (pluripremiati a livello internazionale) attraverso la capacità di combinare le conoscenze artigianali dei maestri liutai con la tecnologia hi-fi ed il design. Non a caso Pagani e Sonus Faber hanno stretto recentemente una partnership per lo sviluppo dell’impianto audio dell’ultima vettura di casa Pagani. La qualità ricerca la qualità.

Nel settore dell’artigianato che diventa industria siamo stati, e restiamo, un punto di riferimento internazionale: solo capendo questo potremo fare dei piani a lungo termine per sostenere queste aziende, dare loro migliore accesso al credito e alla difesa del brand, integrare meglio scuola e università con questo tessuto produttivo. È inutile avere nostalgia della Fiat degli anni Settanta o delle Partecipazioni Statali degli anni Sessanta: la ricchezza dell’Italia sono imprenditori come Horacio Pagani, o la famiglia Agostoni della Icam.

Marco Bettiol

 

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