SCIENZA E RICERCA

Imprigionati nell’ambra, i fossili più antichi hanno 230 milioni di anni

La scoperta di due acari e un moscerino, incastrati in goccioline d’ambra grandi solo pochi millimetri prova che già nel Triassico, 230 milioni di anni fa, esistevano artropodi molto simili a quelli odierni. Lo rivela uno studio di Eugenio Ragazzi del dipartimento di Scienze del farmaco dell’università di Padova e Guido Roghi dell’istituto di Geoscienze e georisorse del Cnr, impegnati in un gruppo internazionale assieme all’università di Göttingen e al museo di Storia naturale di New York.

Le inclusioni di organismi animali nell’ambra trovate in precedenza si facevano risalire a circa 130 milioni di anni fa, ma “la nuova scoperta sposta le lancette indietro nel tempo di ben 100 milioni di anni”, commenta Eugenio Ragazzi. I fossili sono stati ritrovati sotto le Tofane, nelle Dolomiti bellunesi: i ricercatori avevano svelato già nel 2006 l’importanza del giacimento come punto di osservazione privilegiato sull’evoluzione delle specie viventi.

 

 “Ampezzoa triassica” (in alto) e “Triasacarus fedelei” (in basso). Immagine al microscopio (ingrandimento 1000x) delle due nuove specie di acari (Foto A. Schmidt, Università di Göttingen)

 

Allora erano stati studiati batteri e protozoi incredibilmente simili ai microrganismi del nostro tempo. Una circostanza che si ripete anche per gli acari del Triassico – “corpo lungo e segmentato, con due paia di zampe invece delle quattro solitamente presenti negli acari, un peculiare apparato boccale e artigli piumati”, li descrive Guido Roghi – sorprendentemente vicini per morfologia ai loro discendenti dell’odierna famiglia Eriophyoidea.

Il fatto che gli artropodi del Triassico si nutrissero di conifere e i loro discendenti, così simili, si nutrano oggi di angiosperme, le piante con i fiori, dimostra semplicemente la capacità di questi organismi animali di cambiare le abitudini alimentari, adattandosi alle mutate condizioni ambientali.

In palio del resto c’era la sopravvivenza e gli acari hanno superato le grandi estinzioni al termine del Cretacico (65 milioni di anni fa scomparvero anche i dinosauri), cambiando poco e solo nella misura in cui si rendeva necessario, raggiungendo una sorta di “equilibrio” con le piante da cui traggono nutrimento ancor oggi.

 

  1. Le gocce d’ambra nelle mani di Eugenio Ragazzi (a sinistra) e Guido Roghi (a destra)

 

Le scoperte dei ricercatori si inquadrano all’interno di uno studio paleoclimatico che abbraccia un arco di circa un milione di anni all’interno del Triassico. Grandi eruzioni vulcaniche – si pensa – determinarono un cambiamento: al clima caldo e secco si sostituirono grandi precipitazioni. E le piante risposero allo stress, dovuto al mutare delle condizioni ambientali, come fanno quando si trovano aggredite da un parassita, o devono difendersi da batteri, funghi e muffe, cioè producendo grandi quantità di resina.

Se la parte fluida di questa miscela, le essenze, agiscono come “segnali” capaci di attrarre o respingere gli insetti, l’ambra, che ne è la parte solida, custodisce al proprio interno molti segreti del tempo. Ma anche qualche idea per il futuro, perché “lo studio delle sostanze contenute all’interno dell’ambra potrebbe portare a isolare eventuali principi attivi e alla successiva identificazione di nuove potenzialità farmacologiche”, conclude il professor Ragazzi.

Attualmente i reperti si trovano a New York, per motivi di studio. Resta da capire cosa accadrà a questi “messaggeri del tempo” al loro rientro e se si potrà evitare che le esigenze scientifiche impediscano anche percorsi di valorizzazione di queste “gemme” della storia dell’evoluzione.

 

Carlo Calore

Approfondimenti

Lo studio sulla rivista Pnas – Proceedings of the National Academy of Science

 

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