CULTURA

Nutrire l'immaginario con le bambole

C’era una volta un re e una regina ch’erano tanto dispiaciuti di non aver figli, ma tanto dispiaciuti da non potersi dir quanto. Alla fine però la Regina si mise ad aspettare e mise al mondo una bambina …

Cresciuta nel tempo in grazia e bellezza, la principessa venne colpita dalla maledizione invocata da una strega nel giorno del suo battesimo e, puntasi con un fuso, cadde in un sonno profondo; e con lei, tutto il regno si assopì.

Ancora dorme, la fanciulla, su di un letto a baldacchino in ferro (Italia, primi Novecento), la testa (in biscuit; Germania, 1910) poggiata su di un cuscino di seta (Italia, fine Ottocento). Sullo sfondo, alberi dipinti, quinte di teatrino artigianale (Italia, 1925). Stesa all’interno di una teca trasparente della mostra Leggere e giocare per crescere, in questi giorni nella sala della Gran Guardia a Padova, è in realtà la bambola che raffigura la  bella addormentata nel bosco, protagonista di una delle fiabe più raccontate, dei libri più letti per accompagnare i bambini nel mondo di re e regine, castelli, streghe e magie.

Fantasia e immaginazione che scaturiscono dalle pagine e dalle immagini, dalle bambole, dai vestiti da principessa e cavaliere, sorgenti infinite per passatempi che hanno accompagnato la crescita di intere generazioni.

È un legame, quello che intercorre fra letture e giocattoli, che parte nell’Ottocento, nell’intimità della famiglia borghese. Le bambole, prima semplici amuleti, manichini sartoriali, decorazioni per i salotti e le stanze da letto, diventano compagne di gioco. Nel 1866 Alice nel paese delle meraviglie esce dalle pagine di Lewis Carrol e veste a Londra eleganti abiti vittoriani, un cerchietto sui capelli biondi a incorniciare un viso uguale a quello di molti altri bambolotti dell’epoca.

“L’intento della mostra - spiega la curatrice Patrizia Zamperlin – è quello di cogliere il rapporto fra la lettura per l’infanzia e il giocattolo, il travestimento e altri materiali ludici. In questo rapporto privilegiato stanno le condizioni per la crescita. L’infanzia ha bisogno di nutrire l’immaginario”. Ecco allora che nella mostra i libri dialogano con i giochi: accanto a un raccoglitore con vecchie e recenti edizioni di Cappuccetto Rosso una preziosa bambola anni Venti porta un mantello rosso col cappuccio sopra all’abito bianco; dietro spunta un piccolo lupo nero di produzione artigianale dello stesso periodo, in stoffa imbottita di segatura.

Ma non solo bambole accompagnano i libri. Varie edizioni del Pinocchio di Collodi, fra cui quella illustrata da Jacovitti, fanno da contrappunto a burattini perfettamente dipinti, ad altri in legno grezzo, a temperamatite e al 45 giri Lettera a Pinocchio, inciso nel 1959 da Johnny Dorelli. L’edizione n. 1 del 1937 di Topolino, Topolino e l'elefante, condivide la teca con il Manuale delle giovani marmotte del 1969 e con la pellicola 8mm dei personaggi Disney, inserita in un proiettore per bambini. E poi ci sono Pippi Calzelunghe, la cui pigotta è stata confezionata dalla nonne dell’Unicef, Peter Pan (non solo nell’edizione disneyana ma anche nel primo volume di J.M. Barrie, Peter Pan nei giardini di Kensington), Hansel e Gretel, il signor Bonaventura col Corriere dei Piccoli, Alì Babà, i racconti di Salgari, Bambi, la bambola di Cenerentola vestita da poverella e con la scopa in mano (ma con abito di ricambio riposto ordinatamente nella scatola della confezione). Un Gatto con gli stivali del 1945, in panno imbottito di paglia, vigila il disegno di un bambino di prima elementare che negli anni Cinquanta delineava i contorni del protagonista della fiaba seguendo i quadretti del foglio.

Il quaderno in cui è custodito il disegno, come i libri non più in commercio, provengono dal Museo dell’educazione dell’università di Padova, custode di un patrimonio eterogeneo di materiali datati fra il 1870 e il 1970, come arredi scolastici, quaderni, sussidi didattici, libri, diplomi e pagelle. I giocattoli esposti, invece, rappresentano una parte della collezione di Alfio Zappalà, appassionato d’arte e antiquario che per oltre 30 anni ha raccolto pezzi pregiati fra i quali, in mostra, la ricercatissima Jumeau triste (1880 circa), il cui viso è stato modellato dallo scultore francese Albert Ernest Carrier-Belleuse, riprendendo l’effige di Enrico IV all’età di 4 anni.

Nei pomeriggi dei fine settimana Alfio Zappalà mette in moto gli automi custoditi in un grande armadio poggiato sulla parete di fondo del salone: suona il carillon nel quadro ottocentesco, bambole danzano in un teatrino di specchi dal lampadario di perle, cavalli in ferro corrono in cerchio. Nulla a che fare con gli automi moderni, dunque, dei quali però anticipano il movimento e l’interattività. E invitano, in un mondo digitalizzato, a non perdere il contatto con la materia, l’incanto delle pagine sfogliate e annusate, dell’abbraccio al bambolotto, del costume da pirata indossato per andare incontro a un’avventura immaginaria.

Chiara Mezzalira

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