CULTURA
Quel mattatore di Andrea Vitali
In linea di principio, le persone che vanno alle presentazioni dei libri si aspettano di sentir parlare del volume citato nel programma. Ma già i primi minuti dell’incontro permettono al pubblico di capire che con Andrea Vitali le cose andranno diversamente: “Io dovrei parlarvi di Galeotto fu il collier, ma questo non mi garba molto, perché la cosa che preferisco in questi incontri è chiacchierare”. Classe ‘56, fa il medico di base in quel di Bellano, un paesino che si affaccia sul lago di Como, e dai racconti dei suoi pazienti trae l’ispirazione per i suoi romanzi ironici e avvincenti. Si vede che ci tiene a sottolineare la sua provenienza, anche perché “questa terra mi ha dato la fortuna di poter raccontare delle storie”, quelle degli abitanti di un paesino di 3.300 anime che probabilmente gli italiani conoscono soprattutto grazie a lui. Vitali però non ha bisogno di una penna per raccontare storie (anzi, confessa di scrivere a matita e di averne ricevuto un kit in regalo dalla Faber-Castell), e con una parlantina sciolta e avvezza al public speaking proietta gli astanti nel suo mondo fatto di dattilografe zitelle, ladri di luna e carabinieri inefficienti. Con spiccate doti affabulatorie racconta al pubblico di zio Esilio, che si era ritrovato quel nome appiccicato addosso per un errore di interpretazione grafica dell’addetto dell’ufficio anagrafe. Era un uomo narrativamente interessante: “Nacque con una caratteristica principale scritta a lettere maiuscole nel dna: non aveva nessuna voglia di lavorare. E si applicò a questa attività con una tenacia tale che riuscì a campare fino alla morte senza aver mai lavorato un giorno in vita sua.” Un giorno zio Esilio decide di sposarsi e la prescelta è zia Lina, di padre inglese e madre piemontese, “di una bruttezza ineffabile. Non ho parole per definire la bruttezza della zia Lina, sarebbe stato comodo avere una gigantografia da portare in giro, ma purtroppo…” Ma la zia non era solo brutta: era anche antipatica e avara, e lo zio Esilio l’aveva sposata solo per mettere a tacere le fondatissime voci su una sua liason con la figlia di un operaio, visto che si sarebbe trovato costretto a lavorare per mantenerla. Zia Lina invece aveva un’attività ben avviata a Londra e questo gli avrebbe permesso di mantenere intatto il suo pigro stile di vita. Alla morte di Esilio, zia Lina aveva chiamato la famiglia del morto per annunciare la ferale notizia, e così si era espressa: “É morto Esilio, senza fare fatica.” Ma non finisce qui: zio Esilio, anch’egli legatissimo alla sua terra, aveva espresso il desiderio di essere cremato, e che le sue ceneri venissero poi disperse nel lago di Como. Così Lina aveva portato con sé un barattolo con le ceneri del defunto e l’aveva lasciato in cucina. Sennonché in sua assenza la cognata aveva deciso di cucinare gnocchi per cena, ma purtroppo la farina era finita. Cercando in giro aveva trovato il barattolo. Ok, la farina aveva un colore strano, magari era scaduta, ma di domenica non ci si poteva permettere di andare per il sottile. Così, la famiglia per cena si era strafogata di gnocchi allo zio Esilio. Lina, l’unica ad intuire la verità, era esplosa in una risata, probabilmente l’unica della sua vita, e aveva sibillinamente affermato che se zio Esilio voleva finire nel lago, e in un modo o nell’altro ce l’aveva fatta. Le storie continuano, si va dall’aneddoto da cui prende il titolo “Olive comprese” (su cui è meglio soprassedere per non cadere eccessivamente nel prosaico), al racconto sull’arzilla 77enne che invase lo studio del medico al grido di: “Dottore, le mutande non le ho trovate”, passando per la targa che Bellano ha posto sulla sua panchina preferita, che vanta anche un comodo piano d’appoggio per lumini commemorativi. E poi è la volta della storia del farmacista monomaniaco Aiace Debouché, che passa alla storia per l’invenzione di una tisana lassativa dal nome azzeccatissimo: Ipso facto. Ma questa tisana era davvero miracolosa: non solo incoraggiava metaforicamente un certo tipo di attività, ma era anche perfetta per sgorgare qualsiasi tipo di tubo e per ridurre il livello di umidità nelle stalle. Correva poi voce che, se fumata, funzionava anche come allucinogeno. Una signora, dal fondo della sala fa i complimenti a Vitali per la sua arte oratoria “ma”, aggiunge, “è proprio tutto vero?” “Non sono mai partito da qualcosa di puramente inventato”, garantisce lui, facendo piombare l’uditorio nel baratro della perplessità. D’altronde, come insegna ogni nonno che si rispetti, non è importante se la favola è vera, quello che conta è il piacere di raccontarla. Il godimento degli ascoltatori va di pari passo. “Io mi diverto molto a scrivere libri”, dice Vitali, e il pubblico sussurra in coro: “Si vede!” Alla fine della presentazione ci si rende conto che anche se “Galeotto fu il collier” è stato solo nominato di striscio, il mondo che l’autore ha ricreato nel romanzo è stato il vero protagonista di questa chiacchierata. E se c’è qualcuno che voleva conoscere nello specifico trama e personaggi del romanzo, tenga presente che in internet sono disponibili numerosissime recensioni.
Anna Cortelazzo