SOCIETÀ

E il lupo mangiò Cappuccetto Rosso

Nelle narrazioni a partire dalla fanciullezza una conclusione positiva non esclude la sua tragicità, quando da essa discenda un bene per la collettività, grazie a un gesto eroico, a un sacrificio sublime o a una rinuncia, come nei romanzi di impegno sociale e civile di Alberto Manzi - Grogh storia di un castoro, Orzowei, La luna nelle baracche -, convinto che i finali zuccherosi anestetizzino le coscienze”, scrive Angelo Nobile in Pedagogia della letteratura giovanile, libro recentemente pubblicato da La scuola, Morcelliana. Dopo aver affrontato “rischi indicibili e traversie innumerevoli”, una storia si deve sempre chiudere con un happy ending? Oppure, come sostiene Nobile, da un finale tragico può nascere un fiore? Molti classici per l’infanzia, oggi ricordati soprattutto per le successive versioni Disney, propongono in realtà sviluppi macabri (il povero Pinocchio viene impiccato) e finali tutt’altro che lieti (il lupo divora Cappuccetto rosso). Ad approfondire l’argomento è Giordana Merlo, docente di Storia dell’educazione dell’infanzia e di letteratura per l’infanzia e direttrice del corso di perfezionamento in Letteratura per l’infanzia, illustrazione, editoria: per una pedagogia della lettura dell’università di Padova.

I bambini hanno sempre bisogno di un finale felice?

“Il lieto fine alimenta la speranza, l’autostima di potercela fare, avendo sogni da inseguire e avversità da superare. Con la fiducia di riuscire ad arrivare, così come riescono nelle varie peripezie i protagonisti delle fiabe. Dire lieto fine non significa edulcorare la realtà, ma sostenere psicologicamente lo sforzo di essere attivo, propositivo, sognatore, anche quando sembra che tutto ti remi contro”.

È il lieto fine, dunque, a determinare gran parte del valore di una storia?

“Non penso che sia il lieto fine a determinare il valore della storia perché il suo valore pedagogico sta nella possibilità che questa ha di aprire finestre sul mondo a un bambino. Bisogna, a mio avviso, superare la tendenza, purtroppo troppo diffusa, che il libro debba obbligatoriamente servire a qualcosa: il libro per il ciuccio, per il pannolino, per il trasferimento in un’altra città. Il libro dovrebbe essere alimento di immaginazione e di pensiero, e il pensiero come l’immaginazione sono qualcosa di intimo e personale. A me un libro può servire per immaginare cose fantastiche, ad altri può non suscitare questo. Ma non pensiamo che un libro debba per forza servire a rispondere a una determinata esigenza, è una costrizione che soffoca la letteratura. Una storia è tanto più buona quanto più alimenta la mia immaginazione, quanto più alimenta immagini mentali, mie e solo mie, che diventano impronte nel grande processo di crescita”.

E il tema? Esistono temi più urgenti di altri? 

“Sono convinta che non ci sia un tema più urgente di un altro. Ogni tema va affrontato con la chiara consapevolezza del destinatario che abbiamo di fronte”.

Torniamo alle attese, alle aspettative di un giovane lettore. Quindi, ai finali. Kevin Brooks, scrittore inglese di libri young adult, è famoso per la scelta di non cedere all’happy ending. Qui non si parla più di bambini, l’età si alza, dunque le chiedo: è un punto di vista condivisibile?

“Kevin Brooks si rivolge a giovani adulti, ragazzi che non hanno bisogno necessariamente del lieto fine perché hanno già conosciuto e stanno conoscendo la vita. Il lieto fine a tutti i costi non si addice a giovani adulti alle prese con le sfide esistenziali”.

C’è una fiaba senza lieto fine che ha segnato la sua infanzia?

“No, non c’è una fiaba senza lieto fine della mia infanzia, ma oggi ammetto di amare particolarmente l’originale Cappuccetto rosso di Perrault, che si conclude con la morte di Cappuccetto. Penso che sia una fiaba adatta a bambini non troppo piccoli: la proporrei ad esempio verso i 6 e 7 anni – conoscendo, ben inteso, i miei lettori-, perché può suggerire alcune riflessioni, in particolare ci dice che le scelte hanno sempre delle conseguenze e che non c’è sempre un adulto pronto a riparare a decisioni un po’ avventate. Penso che, per uscire da un eccesso di iperprotezionismo, sia necessario offrire ai bambini delle vie interpretative del mondo e del proprio vivere”.

Francesca Boccaletto

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012