SOCIETÀ

Mediterraneo e diaspore, una storia antica

Diaspora significa disperdere, ma anche disseminare: e proprio in questa natura ambivalente sta la cifra di un fenomeno che interessa sempre di più il nostro mondo globalizzato. Un concetto nato per indicare alcuni movimenti migratori specifici, a partire da quelli ebraici e armeni, ma che oggi descrive uno processo comune a tutte le società moderne, fatte di identità sempre più plurali e a volte addirittura confliggenti. Per riflettere su queste tematiche l’università di Padova ha ospitato le giornate di studio organizzate da SeSaMO, Società di studi sul Medio Oriente, proprio intorno al tema “Diaspore: storie di mobilità e migrazione tra Europa, Medio Oriente e Nord Africa”.

Tre giorni fitti di dibattiti e conferenze, in cui il tema principale è stato affrontato sotto l’aspetto storico, culturale e politico: “L’idea era quella di indagare sulle vecchie e nuove forme di mobilità transnazionale – spiega Leila El Houssi, docente di storia dei paesi islamici all’università di Padova – per cercare di capire questo legame tra terra d’origine e quella d’arrivo che coinvolge identità e memoria. Abbiamo quindi deciso di sviluppare le sessioni di studio secondo l’approccio interdisciplinare proprio della nostra associazione, che riunisce sociologi, antropologi, storici, scienziati politici, studiosi di letteratura e di linguistica”.

Durante i primi interventi è stato innanzitutto sottolineato come le diaspore abbiano anche in passato interessato i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, da sempre mare che divide e allo stesso tempo unisce popolazioni e culture. Sono state richiamate alla memoria storie come quelle delle comunità diasporiche italiane in Nord Africa e nel Medio Oriente, ad esempio quella italo-levantina nell’Impero Ottomano, storicamente erede degli insediamenti genovesi e veneziani ai tempi delle repubbliche marinare e raccontata dal giovane studioso padovano Massimo Ronzani, e le grandi e fiorenti comunità italiane di Tunisia ed Egitto. A questo riguardo Barbara De Poli (università Ca’ Foscari) ha messo in luce come gli italo-egiziani non solo abbiano dato alla madrepatria fior di intellettuali – come Giuseppe Ungaretti e Filippo Tommaso Marinetti, solo per citare i più famosi – ma come anche offrissero in epoca risorgimentale un contributo fondamentale alla costruzione in riva al Nilo di uno stato moderno, tramite soprattutto le loro reti di circoli politici e di logge massoniche. Basti a questo riguardo ricordare che l’italiano rimase lingua ufficiale dell’amministrazione egiziana fino al 1876, per poi restare a lungo in uso come lingua franca, addirittura presso il servizio postale.

Scambi e ibridazioni insomma non sono una novità, ma hanno caratterizzato le diverse sponde del mare nostrum fin dall’antichità. Una continua e reciproca influenza che nel tempo si è estesa a tutti gli ambiti: alcune culture hanno anzi trovato alcune delle loro espressioni più interessanti – e libere – proprio al di fuori della loro Heimat originaria: come ad esempio gli armeni in Italia e in particolare in Veneto, dove nell’isola di San Lazzaro (detta appunto degli Armeni) hanno costituito uno dei più importanti centri di conservazione e di irradiazione della loro eredità storica. Ma è anche il caso delle varie diaspore nordafricane in Europa, dove l’utilizzo di un’altra lingua (a cominciare da francese e inglese, ma non solo), ha dato e continua a dare luogo a nuovi imprevedibili meticciamenti che poi influenzano anche i Paesi d’origine. È ad esempio il caso dello scrittore marocchino in lingua francese Tahar Ben Jelloun, che ha scelto di scrivere in francese anche per combattere la colonizzazione e la discriminazione, ma  anche dell’italo-algerino Amara Lakhous, che con il suo Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio si è imposto all’attenzione nel 2006 come uno degli esponenti più interessanti della nuova generazione di intellettuali di origine straniera.

Le diaspore possono infine anche avere un forte impatto economico politico sulle case madri, e in questo senso giocare un ruolo anche importante sulla scena politica internazionale: spesso in senso conservatore e identitario, ma non solo. Un esempio di queste dinamiche complesse – come ha messo in rilievo durante la sua lectio magistralis Emanuela Trevisan Semi (università Ca’ Foscari) – viene dalla comunità ebraica marocchina, i cui legami con lo stato israeliano furono usati dal precedente monarca Hassan II per partecipare al processo di pace in Medio Oriente, soprattutto allo scopo di ottenere il riconoscimento dell’annessione del Sahara Occidentale. Comunità ebraico-marocchina che poi in seguito all’Aliyah, al ‘ritorno’ nello stato israeliano di molti suoi componenti, va a sua volta a costituire una tessera della diaspora magrebina all’estero. È il caso dello scrittore israeliano di ascendenze familiari marocchino-sefardite Roy Hasan, che descrive nelle sue opere il sentimento doloroso e allo stesso magico della nostalgia per un Paese in cui magari non si è mai stati fisicamente. Un senso di distacco e di perdita che si avvicina molto alla sensibilità contemporanea, perennemente sospesa tra ansie del progresso e un sentimento di distacco: in questo senso siamo tutti in cammino, siamo tutti soggetti diasporici.

Daniele Mont D’Arpizio

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