SCIENZA E RICERCA

2023: un anno di contrasti climatici per l’Europa

È difficile capire cosa aspettarsi da un clima riscaldato da due secoli di emissioni di gas serra. Il 2023 ad esempio è stato un anno di contrasti climatici per l’Europa: da una parte ondate di calore estreme, siccità e incendi, dall’altra precipitazioni intense e alluvioni. Tutto e il contrario di tutto, nello stesso anno. Il bilancio complessivo è stato di 13,4 miliardi di euro andati perduti, 1,6 milioni di persone colpite dalle alluvioni (64 hanno perso la vita), 550.000 dalle tempeste (44 decessi) e 36.000 dagli incendi (che hanno causato altri 44 decessi).

Sono questi alcuni numeri dello European State of the Climate 2023, il rapporto presentato da Copernicus Climate Change Service (C3S) e dalla World Meteorological Organization (WMO), che certifica come quello appena passato sia stato l’anno più caldo nella storia di Europa a pari merito con il 2020, secondo i dati della WMO. Considerando altri dataset, si collocherebbe invece al secondo posto, ma in ogni caso i tre anni più caldi della storia europea sono stati tutti registrati dal 2020 in poi. Rispetto alla media del periodo che va dal 1991 al 2021, il 2023 è stato di oltre 1°C più caldo.

Nel 2023 si è registrato anche il settembre più caldo di sempre, ha riportato Rebecca Emerton, ricercatrice di C3S e dello European Centre for Medium-Range Weather Forecast (ECMWF), in occasione della presentazione del rapporto. È stato un anno particolarmente serio per quanto riguarda gli incendi: in Europa ha complessivamente ha bruciato un’area grande come Parigi, Berlino e Londra messe insieme, circa 500.000 ettari. Quella mediterranea è stata la zona più colpita e la Grecia ha visto 96.000 ettari andare in fumo.

È stato elevato, diffuso e prolungato, soprattutto in Europa meridionale a luglio, anche lo stress da calore, misurato dallo Universal Thermal Climate Index, che considera non solo la temperatura, ma anche l’umidità, il vento e altri fattori che influenzano la percezione del calore sul corpo umano. Il colpo di calore è una delle conseguenze di questa tipologia di stress, che sta aumentando la pressione sui sistemi sanitari.

A luglio, per la prima volta nella storia, la crisi climatica e gli eventi meteorologici estremi sono stati dichiarati emergenza sanitaria pubblica dall’ufficio europeo regionale dell’Organizzazione mondiale della sanità. Non sono ancora disponibili i dati sulle morti associate a ondate di calore, ma quelle degli anni 2003, 2010 e 2022 in Europa sono state tra le 55.000 e le 72.000 ogni estate.

Le alte temperature estive impattano non solo sulla salute umana, ma accelerano anche lo scioglimento dei ghiacciai. A fronte di stagioni nevose sotto la media, solo negli ultimi due anni i ghiacciai alpini hanno perso il 10% del proprio volume.

Il fatto che il 2023 sia stato caratterizzato da forti oscillazioni climatiche lo si evince dal fatto che per l’Europa sia stato un anno complessivamente più piovoso del solito (+7% rispetto alla media), soprattutto in Europa continentale e settentrionale. Allo stesso tempo però, la penisola iberica così come le coste del Mar Nero fino a maggio hanno sofferto una gravissima siccità.

In seguito a una serie di tempeste negli ultimi tre mesi dell’anno, a novembre e dicembre i fiumi dell’Europa continentale hanno raggiunto flussi record, dopo un anno altrimenti sotto la media. Sull’Italia a maggio si era abbattuta Minerva, la tempesta che ha messo in ginocchio l’Emilia Romagna e che ha fatto complessivamente esondare 23 fiumi, allagando 540 km2, sfollando 36.000 persone e uccidendone 15.

Anche la Slovenia è stata attraversata in agosto dalla tempesta più violenta della sua storia recente, mentre a settembre il ciclone Daniel si è abbattuto su Bulgaria, Turchia e sulla Grecia: qui sono stati allagati 700 km2 e sono morte 17 persone. La tempesta ha poi raggiunto le coste della Libia, causando 8.000 morti.

L’andamento dell’estate è particolarmente indicativo dell’incertezza climatica europea. Giugno è stato il più caldo di sempre per l’Europa nord-occidentale, mentre le precipitazioni in area mediterranea sono state sopra la media. A luglio la situazione si è invertita. Ad agosto la penisola iberica era di nuovo in deficit idrico, mentre a settembre sono arrivate forti tempeste e alluvioni, con temperature che continuavano a registrare record storici su tutto il continente. Allo stesso tempo però la siccità investiva parti dell’Europa orientale e gli incendi hanno devastato l’area mediterranea.

Probabilmente un ruolo significativo in queste oscillazioni l’ha avuto la temperatura superficiale dell’oceano Atlantico settentrionale, che l’anno scorso ha registrato valori completamente fuori scala: complessivamente +0,55°C rispetto alla media lungo tutto l’anno, ma a giugno si è raggiunto +1,76°C. Quel mese, un’ondata di calore marino ha investito Irlanda e Gran Bretagna, segnando valori di +5°C in alcune aree. Lo stesso è accaduto nel Mediterraneo a luglio e agosto, con temperature della superficie del mare (Sea Surface Temperature – SST) di +5,5°C: la tempesta Daniel è probabilmente conseguenza di questi record termici.

Quello europeo è un continente che subisce più di altri il riscaldamento globale: negli ultimi 40 anni si è riscaldato a una velocità doppia rispetto alla media mondiale. In Europa abbiamo assistito a 0,4°C di aumento della temperatura per decennio, mentre nel mondo l’aumento è stato di circa 0,2°C ogni 10 anni. Questo accade per tre ragioni, ha spiegato Samantha Burgess, vice direttrice di C3S.

La prima dipende dal fatto che l’Europa ospita larghe porzioni di Artico, regione dove il riscaldamento globale corre tre volte più veloce della media mondiale. La seconda ha a che fare con le correnti oceaniche: sono calde quelle che arrivano sulle sponde europee, più fredde quelle che alle stesse latitudini arrivano sulle coste americane. La terza ha a che fare con la lotta all’inquinamento dell’aria: una minore concentrazione di particelle inquinanti offre meno schermo alla radiazione solare che arriva al suolo.

Per tutte queste ragioni la media della temperatura europea nel 2023 è stata di ben 2,6°C al di sopra della media del periodo pre-industriale, secondo i dati WMO, mentre la temperatura media globale era di 1,48°C al di sopra del riferimento pre-industriale.

Questo significa che abbiamo sforato la soglia prevista dall’accordo di Parigi? Non esattamente, risponde Samantha Burgess. In termini climatici, la temperatura media di un periodo deve considerare almeno 20 anni, solitamente 30. Il 2024 ha proseguito il trend dell’anno precedente ed è cominciato con i tre mesi più caldi mai registrati a livello globale. Tuttavia nel 2025 potrebbe venire meno l’effetto riscaldante di El Niño, l’oscillazione naturale delle correnti oceaniche del Pacifico che si somma al riscaldamento globale di origine antropica.

Non è detto quindi che tutti gli anni a venire siano destinati a essere più caldi di quelli che li hanno preceduti e per sancire lo sforamento della soglia di 1,5°C prevista dall’accordo di Parigi occorre stare a vedere cosa accadrà.

Anche se questo superamento dovesse avvenire, non significa che ogni sforzo per ridurre le emissioni e stabilizzare le temperature vada abbandonato. Ogni decimo di grado conta e un mondo più caldo di 3°C è molto peggio di uno più caldo di 2°C.

La disponibilità di vento che ha alimentato le tempeste e di sole che ha scaldato il suolo sono state al di sopra della media nel 2023. Questi agenti meteorologici sono però anche un’opportunità. Una nota positiva infatti arriva dall’impiego di fonti rinnovabili per generare energia elettrica: in Europa nel 2023 hanno coperto il 43% della produzione, rispetto al 36% del 2022.

I dati raccolti da Copernicus, con la sua costellazione di satelliti Sentinel e altre stazioni di rilevamento a terra, sono uno strumento indispensabile per monitorare e programmare la nostra risposta al cambiamento climatico. Occorre farne buon uso, a prescindere da chi sarà chiamato a guidare Parlamento e Commissione europea per i prossimi 5 anni.

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