SOCIETÀ

A 70 anni dalla dichiarazione universale: la bussola da non perdere

La Giornata internazionale dei diritti umani si celebra ogni anno il 10 dicembre per ricordare l’adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite riunita a Parigi nel Palais de Chaillot il 10 dicembre 1948.

Il principio del rispetto dei diritti umani era stato riconosciuto per la prima volta nella storia dei trattati internazionali nella Carta delle Nazioni Unite, negoziata durante la Conferenza di S. Francisco (25 aprile-26 giugno 1945) e entrata in vigore il 24 ottobre 1945. L’ONU entra in funzione il 1° gennaio del 1946.

Il testo della Dichiarazione fu elaborato dalla Commissione Diritti Umani delle Nazioni Unite, organo intergovernativo creato dal Consiglio Economico e Sociale, composta dai rappresentanti dei seguenti stati: Australia, Belgio, Bielorussia, Cina, Cile, Egitto, Francia, India, Libano, Panama, Filippine, Ucraina, URSS, Jugoslavia, Uruguay, Regno Unito, Stati Uniti d’America. La signora Eleanor Roosevelt fu eletta Presidente, il cinese Peng Chun Chang Vice Presidente, il libanese Charles H. Malik Relatore. Il Professor John P. Humphrey, capo della Divisione diritti umani in seno al Segretariato generale delle Nazioni Unite fu incaricato di assistere la Commissione.

Una dettagliata ricostruzione storica è stata scritta da E. Roosevelt e pubblicata nella rivista «Foreign Affairs» (April 1948, pp. 470-477) col titolo “The Promise of Human Rights”.

La prima riunione si svolse nel gennaio del 1947, con l’obiettivo di elaborare due distinti strumenti internazionali, una Dichiarazione e una Convenzione. La Commissione istituì tre gruppi di lavoro, rispettivamente dedicati alla Dichiarazione, alla Convenzione e alle misure di garanzia. Il primo fu composto dai rappresentanti di Bielorussia, Francia, Panama, Filippine, URSS, USA; il secondo da Cile, Cina, Egitto, Libano, Regno Unito, Jugoslavia; il terzo da Australia, India, Iran, Ucraina, Uruguay.

La Dichiarazione fu scritta anche con il contributo di personalità del mondo della cultura di ogni parte del pianeta. Lo stesso Mahatma Gandhi ebbe modo di esprimere il suo pensiero nel quadro di una consultazione svolta dall’Unescoe coordinata da Jacques Maritain con una breve lettera: «Io ho appreso da mia madre, analfabeta ma saggia, che tutti i diritti da servire discendono dal dovere bene adempiuto. Lo stesso diritto alla vita ci spetta soltanto quando adempiamo al dovere di cittadinanza del mondo. Partendo da questa fondamentale affermazione, forse è abbastanza facile definire i doveri dell’Uomo e della Donna e correlare ogni diritto a qualche corrispondente dovere da realizzare per primo. Si può dimostrare che qualsiasi altro diritto è una usurpazione per la quale è difficile battersi».

I paesi del “socialismo reale” contribuirono ad inserire nella Dichiarazione i diritti economici, sociali e culturali accanto ai diritti civili e politici propugnati dai paesi occidentali

Il testo comprendente sia la Dichiarazione sia la Convenzione fu pronto nel maggio del 1948, ma il 10 dicembre 1948 l’Assemblea Generale approvò soltanto la Dichiarazione. Gli USA si opposero a uno strumento internazionale giuridicamente vincolante.

Gli stati che votarono a favore furono 48. Gli astenuti 8: URSS, Bielorussia, Ucraina, Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia, Sudafrica, Arabia Saudita

Gli stati del socialismo reale motivarono la loro astensione in ragione del fatto che la Dichiarazione non riconosceva il diritto all’autodeterminazione dei popoli e non prevedeva un meccanismo di protezione dei diritti individuali.

La visione strategica di Eleanor Roosevelt, Jacques Maritain, John P. Humphrey, René Cassin e delle altre personalità che parteciparono alla stesura della Dichiarazione era quella di porre i diritti umani a fondamento della costruzione dell’ordine mondiale. Non a caso l’incipit del Preambolo recita: “Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”.

La Dichiarazione Universale, oltre ad articolare un elenco di diritti e libertà fondamentali, sia civili e politici, sia economici, sociali e culturali esplicita un corredo di principi fondamentali.

Idiritti umani sono innati, quindi inviolabili e inalienabili. Ineriscono alla dignità della persona. Diventano diritto positivo in virtù del loro riconoscimento, non della loro attribuzione. Amartya Sen ha scritto “i diritti umani non sono un figlio del Diritto (son of law), ma i genitori del Diritto (parents of law).

La dignità umana è valore fondativo dell’ordinamento mondiale e di qualsiasi altro ordinamento a qualsiasi livello ed è posta al di sopra della sovranità dello Stato. I diritti umani, tutti i diritti umani - civili, politici, economici, sociali, culturali – sono interdipendenti e indivisibili. Questo principio comporta che il diritto al lavoro abbia le stesse possibilità di garanzia-soddisfacimento del diritto alla libertà di associazione, ambedue essendo diritti fondamentali. La democrazia che non sia allo stesso tempo politica ed economica non è democrazia nel senso dei diritti umani. Ne discende che lo stato democratico non può non essere stato di diritto e stato sociale allo stesso tempo. Per realizzare i diritti fondamentali non bastano dunque la legge e la sentenza giudiziaria, ma occorrono anche politiche pubbliche e mobilitazione di risorse finanziarie.

La Dichiarazione universale è la madre di un complesso organico di fonti giuridiche di portata sia universale sia regionale le quali, nel loro insieme, costituiscono il Diritto internazionale dei diritti umani.

Sul piano universale, nel 1966 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adotta i due Patti internazionali, rispettivamente sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali, i due pilastri del corpus del Diritto internazionale dei diritti umani. A seguire, sempre nel cantiere universale delle Nazioni Unite, vengono poste in essere altre Convenzioni giuridiche di contenuto più specifico tenuto conto delle particolari condizioni dei soggetti di diritti fondamentali: dalle Convenzioni sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale e contro la tortura alle Convenzioni sui diritti dei bambini, sui diritti delle donne, sui diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, sui diritti delle persone con disabilità.

Sul piano regionale-continentale, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950 è seguita dalla Convenzione interamericana del 1969, dalla Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli del 1981, dalla Carta araba dei diritti umani del 2004, le quali si pongono a fondamento di altrettanti sistemi regionali. Anche a questi livelli, avviene la graduale specificazione della produzione normativa in funzione della tutela rafforzata delle persone appartenenti ai gruppi più vulnerabili.

Nel corso degli anni, queste convenzioni giuridiche si sono progressivamente arricchite, in funzione di più efficace garanzia, tramite l’aggiunta di Protocolli facoltativi: il Patto sui diritti civili e politici ne ha due (sulla comunicazione individuale, sull’abolizione della pena di porte), il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali ne ha uno (sulla comunicazione individuale), la Convenzione sui diritti dei bambini ne ha due (sull’impiego dei bambini nei conflitti armati, sul traffico e la pedofilia), la Convenzione contro la tortura ne ha uno. A livello regionale, la Convenzione europea del 1950 è corredata di ben 16 Protocolli.

Grazie al lavoro svolto dall’Unesco, il processo di internazionalizzazione dei diritti umani si estende anche nel delicato campo della bioetica ancorando questa materia al paradigma dei diritti umani mediante l’adozione, tra l’altro, di una Dichiarazione universale su “Genoma umano e Diritti umani” (1997) e di una Dichiarazione universale su “Bioetica e Diritti umani” (2005).

Nel corso di questi 70 anni si è progressivamente sviluppata anche la cosiddetta “machinery” internazionale dei diritti umani, ovvero strutture permanenti genuinamente sopranazionali quanto a composizione (organi di individui) e quanto a funzioni e poteri. Le punte più avanzate sono costituite dalle Corti regionali dei diritti umani (europea, interamericana, africana), dalla Corte penale internazionale e dai dieci Comitati di esperti indipendenti (human rights treaty bodies) delle Nazioni Unite che hanno il compito di monitorare l’implementazione delle principali convenzioni internazionali sui diritti umani. All’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, creato a seguito della Dichiarazione di Vienna del 1993, si sono aggiunti il Commissario europeo per i diritti umani (Consiglio d’Europa) e l’Alto Commissario per le minoranze dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE). Il sistema di protezione dei diritti umani è fatto anche di organi intergovernativi. Il più importante a livello globale è il Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite che nel 2006 ha sostituito la Commissione diritti umani. Attraverso la “revisione periodica universale” il Consiglio persegue lo scopo di esaminare il rispetto da parte di tutti gli stati (a turno) delle norme internazionali sui diritti umani. Inoltre il Consiglio si può avvalere di procedure speciali, ovvero di meccanismi di monitoraggio e promozione dei diritti umani per analizzare la situazione dei diritti umani in uno specifico paese (mandati per paese) o determinate questioni legate al rispetto dei diritti umani in ogni parte del mondo (mandati tematici).

Oggi questo sistema di norme e di organismi di protezione dei diritti umani è sotto attacco da parte di chi diffonde, irresponsabilmente, il contagio del mito funesto dello stato nazionale all’insegna dell’intolleranzadi politiche sovranistesecuritariecon l’obiettivo di arrestare l’avanzata della civiltà del diritto umanocentrico. Un diritto che ha preso in contropiede e superato i governanti nel loro miope orizzonte nazionale, da difendere con muri e con guerre. Per riprendere il controllo della situazione fanno appello alla sovranità e all’interesse nazionale, alla differenza delle culture e delle religioni, alla cittadinanza nazionale concepita ad alios excludendos.

I governanti di oggi hanno perso la bussola che i governanti di ieri, dopo due guerre mondiali e oltre cento milioni di morti, avevano costruito con la Carta delle Nazioni Unitee la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Quella bussola è la “bussola dei diritti umani”con i suoi quattro punti cardinali ovvero le direzioni fondamentali verso le quali orientare il cammino della nostra società globale: libertà, uguaglianza, dignità e diritti. Il Diritto della dignità umana, ha scritto Antonio Papisca, è “la bussola la cui capacità di orientare è in corretto rapporto di scala con l’ordine di grandezza delle esigenze di gestione della multi-level governance nello spazio-mondo”.

Nel 70° anniversario della Dichiarazione Universale occorre ribadire con forza che questa conquista è irrinunciabile e che va pertanto difesa e sviluppata nello scrupoloso rispetto dei principi di universalità, interdipendenza e indivisibilità di tutti i diritti umani.

La società civile globale, che è all’origine del processo di internazionalizzazione dei diritti umani, sta operando contemporaneamente, sul piano internazionale e all’interno degli stati: glocalmenteLa sfida è a predisporre e sviluppare il contesto istituzionale, politico ed educativo, come dire l’humus infrastrutturale, in cui l’altissima responsabilità personale e sociale di “proteggere e lottare per la realizzazione dei diritti umani” possa trovare concreta attuazione.

La legittimazione ad agire “dal quartiere all’ONU” è fornita dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite“ sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promuovere e proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali universalmente riconosciuti”. Frutto maturo della Dichiarazione universale, è appunto questa “Magna Charta degli Human Rights Defenders, che ci legittima ad agire dentro e fuori degli stati di appartenenza come esplicitamente dispone l’articolo 1: “Tutti hanno il diritto, individualmente e in associazione con altri, di promuovere e lottare per la protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale ed internazionale”.

A distanza di 70 anni i diritti umani interpellano l’agenda della politica se è vero, com’è, che essi sono il nome dei bisogni vitali di cui è portatrice ogni persona “senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o  di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”, come recita l’art. 2 della Dichiarazione Universale.

I diritti umani sono ciò che essi comportano sul terreno della loro pratica attuazione. Non c’è pace senza diritti e non ci sono diritti senza responsabilità.

Dieci letture consigliate:

Dichiarazione Universale dei Diritti Umani commentata da Antonio Papisca, Roma, Castelvecchi, 2018.

A.Papisca, Il Diritto della Dignità umana. Riflessioni sulla globalizzazione dei diritti umani, Venezia, Marsilio, 2011.

M.A. Glendon, Verso un mondo nuovo. Eleanor Roosevelt e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, Macerata, Liberilibri, 2008.

S. Marks, A. Clapham, Lessico dei diritti umani, Milano, Vita e Pensiero, 2009

A. Sen, L’idea di giustizia, Milano, Mondadori, 2009.

L. Ferrajoli, Diritti fondamentali, Roma-Bari, Laterza, 2001

J. Rawls, Un teoria della giustizia, Milano, Feltrinelli, 1999.

J. Habermas, La costellazione postnazionale, Milano, Feltrinelli, 1999.

G. Peces Barba Martinez, Teoria dei diritti fondamentali, Milano, Giuffrè, 1993.

H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, Milano, Bompiani, 1964 (ultima edizione 2017).

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