CULTURA
Caldo estivo e riscaldamento globale: fenomeni diversi con elementi comuni
Quest’estate sta facendo davvero un grande arido caldo. Il grande ultradecennale riscaldamento del pianeta è davvero un fatto sconvolgente. I lettori sono ormai consapevoli che le due frasi descrivono due differenti ricorrenti notizie, entrambe vere e contemporanee, probabilmente poco clamorose per quanto risultano decisive per la vita non solo quotidiana. Tuttavia, non esprimono lo stesso fenomeno. Pare che il giorno più caldo sia stato il 18 luglio, temperature record in tutti i paesi europei: Portogallo oltre 47° in alcune località, in Inghilterra oltre 40, record stagionali e annuali pure in Spagna e Galles, a Parigi e a Vienna, e nei paesi del Mediterraneo orientale. L’intero luglio italiano sembra sia stato il più caldo e arido da oltre due secoli; gran parte dei mesi precedenti erano pure stati molto caldi; sicché l’anno in corso potrebbe superare a fine dicembre il primato detenuto finora dal 2018. Ciò ha avuto conseguenze gravi sulla salute degli ecosistemi (non solo la siccità diffusa e persistente) e dei sapiens: le ondate di calore sono state collegate a una forte crescita di mortalità umana (come accadde nell’estate 2003, in particolare in Francia).
In Italia per esempio, il bollettino bimestrale del Ministero sulle ondate di calore dal 16 maggio al 15 luglio indica che le temperature molto superiori alla media hanno provocato larga parte del rilevante verificato incremento di decessi, soprattutto al centro-sud. Migliaia di morti in più in ogni triste contabilità nazionale, anche in Germania e Olanda. Come noto e come già sottolineato per la pandemia Covid-19, non è facile attribuire le morti di anziani a una sola causa, tuttavia sia i paesi (come Spagna e Portogallo) che inseriscono il caldo fra le cause di decesso, sia chi (in Italia e altrove) compara le serie storiche dell’istituti statistici nazionali per cogliere differenze e specificità, sottolinea l’impatto dannoso sulla sopravvivenza delle temperature esterne elevatissime, sia medie che massime.
Le temperature del luglio 2022 sono state superiori a livello globale (planetario) di (ben o solo) 0,4 gradi rispetto alla media degli ultimi trent’anni e faranno media per i prossimi trenta, pur se non resteranno a lungo quelle relativamente più alte. Il lento, progressivo ma non lineare, riscaldamento del e nel pianeta è un fenomeno di lungo periodo, chiama in causa altri dati quantitativi e altre categorie di analisi. Il clima non è il tempo meteorologico, si sintetizza nei ritmi lunghi delle medie decennali e secolari dei cambiamenti costanti che avvengono nell’atmosfera. I modelli climatici riescono a descrivere gran parte dei cambiamenti climatici avvenuti negli ultimi millenni e anche prima. C’è pieno accordo (scientifico e politico) a livello internazionale, su quanto è successo e sta succedendo, c’è pieno accordo sulla sostanza e sulla prevalenza delle origini antropiche dei cambiamenti attuali.
Non c’è pieno accordo (politico) su quello che si dovrà fare, e quanto rapidamente, anche se c’è la consapevolezza di un futuro non tutto determinato a priori, ma con vari determinati scenari, collettivi e individuali. Del domani non c’è assoluta certezza, possono verificarsi anche eventi estremamente improbabili e non verificarsi eventi altamente probabili, molto o qualcosa dipende anche dal contributo umano: l’espressione quantitativa dell’incertezza delle affermazioni più importanti (dati, modelli, analisi) si esprime per il panel intergovernativo degli scienziati (Ipcc) con “virtually certain” quando le probabilità che un evento accada superano il 99%, oppure “extremely likely” (oltre il 95%), “very likely” (oltre il 90), “likely” (oltre il 66) e via così fino a “exceptionally unlikely” (meno dell’1%). Oppure si fa riferimento alla qualità scientifica, ai livelli di evidenza (più o meno elevata) o al grado di consenso di determinati risultati o affermazioni (nove gradi di maggiore o minore accordo).
Un certo grado di riscaldamento nel pianeta riguarda non solo l’atmosfera, bensì l’ecosistema globale e ogni ecosistema, marino (oceanico) o terrestre, desertico o ghiacciato, secco o umido, di alta montagna e di bassa pianura, molto urbanizzato o meno urbanizzato, dotato di cicli climatici stagionali (simile a quello mediterraneo) o annuali (come quelli caratterizzati da un’unica stagione delle piogge, più o meno breve). Un grado maggiore o minore certo, per il concorso di altre cause (la cementificazione e il crescente consumo di suolo sicuramente accentuano alcuni danni e pericoli, per esempio) e per una certa variabilità e biodiversità di luoghi e ritmi, ma sempre un tendenziale innalzamento delle temperature dell’atmosfera e delle acque, se guardiamo decennio per decennio e non giorno per giorno, se analizziamo scenari pluriennali e non previsioni per il weekend.
Un punto di contatto fra le due notizie: gli eventi meteorologici estremi
Il lento globale riscaldamento ha fra gli effetti l’aumento di frequenza e intensità di eventi meteorologici più acuti, cioè degli eventi che fuoriescono dai limiti delle medie di temperature e precipitazioni, quelli idrometeorologici più legati al meteo (inondazioni, cicloni, tempeste, temperature estreme, siccità, incendi violenti, talora anche valanghe e frane) e quelli geofisici meno legati al meteo (terremoti, eruzioni, tsunami, talora anche valanghe e frane). Talvolta diventano ciò che chiamiamo poi un disastro, in termini di vittime (feriti, morti, migranti forzati) e di danni agli ecosistemi e alle attività umane. Bisogna sempre tener presente che se il riscaldamento è globale, non così è per le precipitazioni che non calano ovunque (da noi, in Italia finora nel 2022, sì, tantissimo, il precedente anno più siccitoso era stato però il 2017, non il 2018), ma si distribuiscono (come sempre, come tutte le acque) in modo differenziato (biodiverso) sul pianeta e hanno anche una maggiore variabilità nei vari ecosistemi: talvolta da qualche parte piove in un giorno la stessa quantità di acqua ma più rapidamente (e trovando poi meno o più cemento sul terreno).
Un secondo punto di contatto fra le due notizie sono i prossimi anni, dovremo farci l’abitudine, anzi insegnare e imparare ad adattarci meglio. Oggi stiamo relativamente al fresco rispetto a come staremo al caldo nei prossimi decenni. Il 2023 non sarà necessariamente tutti i mesi più caldo del 2022, nemmeno il 2024 rispetto al 2023, nemmeno il 2025 rispetto al 2024, e via andando. Tuttavia è virtually certain che nel 2025 il riscaldamento in Italia, nel Mediterraneo, in Europa, sul pianeta sarà aumentato. Ancor più nel 2032, nel 2042, nel 2050, e via sopravvivendo. Affinché gli effetti non siano ancor più catastrofici occorre una svolta nelle azioni dei governi e di chi gestisce produzioni e consumi.
Serve davvero fare di tutto e prestissimo per limitare l’aumento ai famosi 1,5 gradi (auspicio esplicito nell’accordo di Parigi del 2015, il numero vincolante era 2, ma nemmeno quello si sta raggiungendo). Comunque, l’indispensabile urgente eliminazione dei combustibili fossili non costituisce un interruttore, l’anidride carbonica “resta” in atmosfera, il riscaldamento è un fenomeno avviato, il suo rallentamento risulta possibile ma pure “lento” e difficile, abbiamo provocato alcune dinamiche in modo abbastanza irreversibile. La questione di fondo è collegare il taglio radicale e l’azzeramento delle emissioni con la riconversione del modo di produrre e consumare (quindi anche con la pace e i diritti sociali e civili, negli Stati e fra gli Stati).
Un altro trend che accelera: il consumo delle risorse della terra
Il 28 luglio è giunta un’altra notizia “calda”, relativa all’uso antropico delle risorse biologiche del pianeta e al sovrasfruttamento della Terra: avremmo “divorato” tutte le nuove risorse naturali generate dal pianeta in appena 209 giorni, uno in meno del 2021! La data viene calcolata annualmente dal Global Footprint Network a partire dai dati ufficiali, forniti dall’Onu, su impronta ecologica e biocapacità dei vari paesi, ovvero sulle attuali richieste di aree biologicamente produttive (cibo, legname, acqua potabile, produzione energetica, spazio per infrastrutture, cose così) e la capacità delle stesse di rigenerare ciclicamente (annualmente) le risorse.
L’Earth Overshoot Day segna il giorno in cui l’umanità ha esaurito quello che la Terra è in grado di rinnovare nell’anno in corso, nel 2022, è accaduto appunto giovedì 29 luglio. Si tratta di un fattore monitorato fin dagli anni Settanta, era chiamato “Giorno del debito ecologico” e in questi cinquant’anni ha mostrato un trend di peggioramento quasi costante. Nel 1987 la giornata cadeva il 19 dicembre. Nel 2000 si è arrivati al primo novembre, ora a fine luglio, sempre prima. I riscaldamenti globale e locali crescono vieppiù, il troppo consumo di risorse anticipa e accresce la scarsità determinata pure dagli stessi effetti dei cambiamenti climatici antropici globali. Azzerare le emissioni e adattarsi a produrre e consumare meno (oltre che diversamente) sono davvero due facce della stessa medaglia.
Una caratteristica dei moderni fenomeni meteorologici estremi è che ormai quasi sempre si sa qualche (poco) tempo prima il giorno preciso, il luogo preciso, l’intensità, la durata. E forse si può far poco. Ci saranno ancora. Si deve e si può organizzare allora una migliore preparazione, l’avviso e la protezione civili, la riduzione dei rischi in relazione a ogni tipologia di evento estremo possibile. Probabilmente si deve e si può anche adattarsi ai profughi climatici, interni ed esterni allo stato, al cui popolo accadono e nel cui territorio si verificano. È possibile capire e delimitare aree e gruppi interessabili da migrazioni forzate, tenendo presente la specificità di una migrazione-evacuazione e in quali casi si possono ipotizzare modalità di ritorno.
I lettori correttamente documentati e costantemente aggiornati conoscono ormai bene i dati scientifici, sono in grado di distinguere il meteo dal clima, di calmierare enfasi e confusioni giornalistiche, di valutare criticamente interessi e opportunismi (…). Appare giustamente di grande rilievo culturale e politico la recente lettera aperta della Società italiana per le scienze del clima per contrastare l’inerzia delle decisioni politiche prima che sia troppo tardi. Gli scienziati italiani per il clima guardano alle prossime elezioni politiche del 25 settembre e si mettono a disposizione di chi la spunterà alle urne per disegnare un cammino climatico che non porti l’Italia verso scenari irreversibili. L’appello è divenuto subito anche una petizione di successo, già sottoscritta da circa 150.000 italiani, con favorevole impatto anche a livello internazionale.
Purtroppo nella legislatura uscente l’Italia ha accumulato ritardi e incertezze, particolarmente evidenti nell’attivazione del piano nazionale italiano per il clima, causa anche fine anticipata della legislatura. E dall’Europa arrivano segnali altrettanto poco rassicuranti rispetto a obiettivi sanzionati nel passato e portati avanti talora con coerenza e determinazione. D’altro canto proprio in extremis, invece, l’amministrazione Biden è riuscita a far approvare definitivamente il proprio piano straordinario di misure per la riduzione e gli adattamenti al cambiamento climatico, con il voto del 7 agosto scorso al Senato, 51 favorevoli (compresa la vicepresidente Kamala Harris) e 50 contrari. Nel mentre studiamo le previsioni atmosferiche dei prossimi giorni, vediamo come imporre le scelte giuste ai futuri parlamentari e governanti e come contribuire ciascuno di noi con qualche comportamento stabile ecosostenibile.
Comunque, intanto, buon Ferragosto, in qualsiasi contesto meteorologico vi troviate!