Addio carbone (non subito) e braccia aperte all’energia proveniente da fonti rinnovabili (e a un massiccio implemento dell’energia nucleare).
È questa la roadmap tracciata dalla Cina, desiderosa di scrollarsi di dosso l’appellativo di Paese con la più alta emissione di gas climalteranti (i gas serra) del mondo.
Certo, il colosso asiatico continua a investire nei combustibili fossili ma qualcosa sta cambiando, soprattutto a livelli di investimenti. Lo riporta un rapporto dell’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA), indicando come la Cina stia per diventare il leader mondiale nelle tecnologie per la produzione di energia rinnovabile.
Questo cambio di rotta è in controtendenza rispetto alle decisioni prese nel 2017 dal presidente degli Stati Uniti con l’uscita dagli accordi di Parigi e un pericoloso ritorno al carbone.
Tra il 2006 e il 2016 la quantità di energia prodotta dall’energia solare è aumentata del 50%. A capo di questa risalita finora c’erano i Paesi economicamente sviluppati. Ma gran parte della spinta attuale arriva invece dai Paesi considerati ancora in via di sviluppo economico: la Cina, come già detto, e l’India, in grado di affacciarsi come il terzo investitore mondiale nelle green economy. Un dato avvalorato anche dall’agenzia di rating Moody’s: “Paesi come Cina e India – spiega Swami Venkataraman, co-autore di un recente studio prodotto da Moody’s – stanno guidando la carica del fronte “verde” grazie al drastico abbassamento dei costi delle tecnologie per realizzare impianti a energia pulita”.
Per quanto la Cina ci abbia abituato a investimenti notevoli in tutti i campi (quello della ricerca e dell’istruzione universitaria in primis), i numeri riportati dall’IEEFA sono da record: 44 miliardi di dollari investiti in progetti interni ed internazionali, pari a una crescita prevista del 38% all’anno.
Nell’ultimo anno il Paese asiatico ha aggiunto 50 gigawatt di capacità di stoccaggio di energia solare. Un dato superiore a quello per l’energia fossile e proveniente dal nucleare e pari a quanto generato in un anno da Francia e Germania messe assieme, come termine di paragone.
Non solo: l’economia cinese si sta muovendo anche sul fronte dell’acquisizione di altri beni energetici come il litio, il nickel e il cobalto. Segno di come l’industria stia puntando anche a dominare il mercato manifatturiero delle batterie e dei veicoli elettrici.
Certamente si tratta di una mossa politico-commerciale e non solo strettamente legata a una necessaria svolta ecologica per diminuire la quantità di inquinanti nell’aria: la Cina non ha di certo le mire di sostituire gli Stati Uniti (almeno fino all’era Obama, ora non più) come leader mondiale per la lotta ai cambiamenti climatici, ma l’acquisizione del know-how tecnico per la produzione di impianti a energia pulita – sostengono gli analisti – avrebbe anche delle ricadute positive sul controllo delle emissioni di gas climalteranti. Come aderenti agli accordi del clima di Parigi, i cinesi si sono impegnati a diminuire le loro emissioni di CO2 nell’aria entro il 2030, ma potrebbero raggiungere l’obiettivo anche prima: “La crescita di investimenti nel settore – si legge nel rapporto IEEFA – assieme all’uscita degli Stati Uniti dagli accordi Parigi porta la Cina verso la possibilità di ridurre drasticamente il picco di emissioni, spostando l’attenzione anche sui problemi di inquinamento all’interno dei suoi confini”.
Per ultimo rimane da ricordare che la Cina – attualmente – è anche il primo Paese al mondo a investire pesantemente sul nucleare: un terzo dei 60 impianti in costruzione si trova in suolo cinese e le stime dell’IEA, l’agenzia internazionale dell’Energia, dicono che potrebbe superare gli Stati Uniti come primo produttore al mondo di energia dall’atomo. Non si tratta di energia pulita (le scorie restano e resteranno un problema), ma è sempre meglio del vecchio e sicuramente più inquinante carbone.