In un anno terribile come questo, fa particolarmente piacere poter festeggiare i 90 anni di qualcuno. Francesco Maselli, conosciuto da tutti come Citto Maselli, ha da poco spento un numero ragguardevole di candeline, e ci è sembrata l'occasione migliore per parlare del suo cinema con Denis Brotto, professore di cinema e nuove tecnologie all'università di Padova per scoprire qualcosa di più sulla sua filmografia e soprattutto sul suo impegno politico e su come si riflette sul prodotto artistico.
Servizio di Anna Cortelazzo e montaggio di Barbara Paknazar
Prima di essere un regista, Maselli è stato un partigiano: nato nel 1930, ha vissuto la Seconda Guerra mondiale quando era da poco adolescente, e ha sentito fin da subito l'esigenza di schierarsi. Un'esperienza di questo tipo difficilmente viene sopita quando per lavoro hai la possibilità di trasmettere ai posteri il sentimento di un secolo come il Novecento, fatto di momenti e di scelte difficili, prima di precipitare quasi di sorpresa nel pieno boom economico.
Il suo cinema è costantemente nutrito da uno sguardo lucido sulla società di quegli anni: pensiamo solo a Gli sbandati, del 1955, con cui ha vinto la menzione speciale della giuria al Festival del Cinema di Venezia. È un film sulla borghesia e sulla resistenza, sulla necessità di prendere una posizione anche quando, forse, non conviene. E i giovani borghesi tornano poi ne I delfini del 1960, dove sono ritratti con uno sguardo meno bonario: protagonisti sono appunto i "delfini" italiani (la pellicola è ambientata ad Ascoli Piceno), giovani che hanno ereditato soldi e fama senza aver mai fatto nulla per meritarlo, e che si trascinano di giorno in giorno nella noia più totale, aspettando solo di andare a lavorare nelle aziende di famiglia. Nello stato d'animo di questi personaggi si coglie già qualcosa dei più famosi indifferenti dell'omonimo film tratto da Moravia, che Maselli girerà tre anni dopo.
Come spiega Denis Brotto nel video, la famiglia di Maselli era sempre stata immersa nella cultura: il padre era un importante critico d'arte, e Francesco vantava uno zio di tutto rispetto come Luigi Pirandello, che gli aveva dato il nomignolo Citto che Maselli non ha mai abbandonato. Questo ambiente non poteva non influenzare il suo cinema, e le storie che raccontava al pubblico: la società intellettuale e le sue contraddizioni si integravano con la visione politica di Maselli, e tutte queste componenti avevano un ruolo preciso nella sua poetica cinematografica.
"Un'altra opera da ricordare - continua Brotto - è il suo cortometraggio d'esordio, La storia di Caterina, che fa parte di un film collettivo. È stato scritto da Cesare Zavattini e forse è l'esempio più riuscito del pedinamento dei personaggi tramite il quale viene raccontata una storia dolente e autentica di una ragazza madre".
Il momento storico in cui Maselli viveva ha avuto un impatto fortissimo sul suo cinema: "La sua aderenza politica - continua Brotto - era molto legata alla necessità di raccontare e di accogliere storie che proponevano anche una critica al modello di società che si andava imponendo, al progresso che andava a piegare i rapporti tra gli individui".
Non mancano i documentari, tra cui quello sul G8 di Genova: prendendo posizioni molto nette il regista raccontava la storia nel suo svolgersi: "Partecipazione politica e partecipazione cinematografica sono due aspetti inscindibili nel lavoro di Maselli" conclude Brotto.