SCIENZA E RICERCA

Covid-19, un focolaio spaventa Pechino

Dopo quasi due mesi in cui le sole infezioni riportate erano sporadiche e tutte riconducibili a cittadini di rientro da altri Paesi, in Cina torna la paura di una ripresa dei contagi dovuti al virus Sars-CoV-2. A spaventare è Pechino: proprio nella capitale, che durante la fase più critica dell'epidemia era riuscita a contenere la diffusione dell'infezione, si sono registrati oltre cento nuovi casi negli ultimi quattro giorni, di cui 31 nelle ultime ventiquattro ore. 

Epicentro del nuovo focolaio sembra essere il mercato di Xinfadi che, con i suoi oltre 110 ettari di estensione e 10 mila addetti è il più grande di tutta la Cina e oltre ad essere il punto di riferimento per la vendita all'ingrosso di frutta e verdura ha anche una sezione dedicata a carni, pesce e frutti di mare. Il gigantesco mercato, che si trova nel distretto meridionale di Fengtai, è stato immediatamente chiuso dalle autorità cinesi e a 27 comprensori residenziali, dove vivono circa 90 mila persone, è stato imposto l'ordine della quarantena e l'obbligo di sottoporsi al test. Le stesse disposizioni sono scattate per i dipendenti delle aziende espositrici e per chiunque abbia visitato recentemente il mercato o abbia avuto contatti con il personale interno. 

Le immagini del Telegraph sulla chiusura del mercato cinese di Xinfadi a Pechino

Sul punto di innesco del nuovo focolaio non ci sono ancora certezze: il direttore generale dell'Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha dichiarato che "l'origine e l'estensione dell'epidemia sono in fase di studio" e Michael Ryan, capo del programma per le emergenze sanitarie dell'Oms ha aggiunto che "Pechino ha attivato tutte le misure necessarie, come fecero anche Singapore, Corea del Sud e Giappone, anche se è sempre preoccupante osservare nuovi cluster". 

La municipalità di Pechino ha intanto deciso di innalzare il livello di allerta sanitaria e di introdurre misure di contenimento dei contagi che vanno dall'annullamento degli eventi culturali e sportivi al coperto, alla chiusura delle scuole, ma anche la sospensione dell'arrivo di turisti da altre zone del Paese e il divieto ai residenti delle aree a medio e alto rischio di epidemia di lasciare la città.

 

Va osservato che in una città che conta 21 milioni e mezzo di abitanti i casi accertati negli ultimi giorni non sono numericamente tali da poter essere ricondotti a un'effettiva seconda ondata dell'epidemia. Inoltre fino all'arrivo del vaccino lo scenario più verosimile a livello globale è quello di una convivenza con il virus, più che il totale azzeramento dei casi. E' però vero che in un Paese dove le misure di contenimento sono state particolarmente rigide e prolungate un'eventuale ripresa dei contagi avrebbe anche un forte contraccolpo a livello politico e di immagine. Ed è proprio quello che le autorità cinesi vogliono cercare di evitare: in quest'ottica va anche interpretato l'immediato licenziamento del direttore del mercato di Xinfadi e di altri due funzionari rimossi per "cattiva condotta" nel ricoprire il loro incarico durante la prevenzione e il controllo dell'epidemia.

Nel contenimento di ogni nuovo cluster di infezione la tempestività è fondamentale: ne abbiamo parlato con la professoressa Sara Richter, ordinario di microbiologia al dipartimento di Medicina molecolare dell'università di Padova.

Intervista alla microbiologa Sara Richter del dipartimento di Medicina molecolare dell'università di Padova sul focolaio di Pechino e sulla gestione dei possibili nuovi cluster di infezione. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"E’ difficile prevedere che cosa accadrà - introduce la professoressa Sara Richter, ordinario di Microbiologia all'università di Padova - principalmente perché dipende da un virus che ancora non conosciamo completamente e che di fatto si sta dimostrando più subdolo di quanto immaginassimo all’inizio. E poi perché dipende anche dai comportamenti individuali. Quello che posso dire e che vale in generale anche oltre alla specifica situazione di Pechino è che se riusciremo a rispettare le regole che ci sono state imposte in questi ultimi mesi e che sono tuttora valide, vale a dire il cosiddetto distanziamento sociale e l’uso in presenza di altre persone dei dispositivi di protezione individuale, ovvero le mascherine, la trasmissione del virus dovrebbe essere molto ridotta perché il patogeno si trasmette soprattutto per via respiratoria e con queste precauzioni possiamo contenere in modo drastico la diffusione. Inoltre se riusciamo a individuare i nuovi casi positivi tempestivamente li possiamo isolare, andare a ricercare i contatti e metterli in quarantena. Nel caso della Cina sicuramente lo stanno facendo ed è quello che occorre fare anche in altre parti del mondo: appena si verificano dei focolai bisogna circoscriverli e mettere in quarantena i possibili contatti come si sta facendo anche in Italia. A tale proposito - sottolinea la docente - si è visto che questo approccio ha funzionato: mi riferisco al caso di Vo’ Euganeo, ma non solo, dove con queste misure si è riusciti a circoscrivere e poi ad interrompere la catena di trasmissione del virus. Quindi quello che succederà, in Cina come altrove, credo che dipenderà dal senso civico e di responsabilità e anche da come il virus si saprà adattare o meno a queste nostre misure di contenimento. Più riusciamo a restringere il numero dei possibili contatti e più saremo ovviamente efficaci nella nostra azione di contrasto alla diffusione del virus".

La professoressa Richter ricorda però che c'è un ulteriore aspetto che è meno chiaro e anche meno prevedibile: "sono infatti stati pubblicati degli studi - approfondisce la docente del dipartimento di Medicina molecolare dell'università di Padova - che riportano che la maggior parte dei contagi da virus Sars-CoV-2 è avvenuta da parte di quelli che sono stati chiamati “superdiffusori”, ovvero persone che per fattori biologici, comportamentali, per l’ambiente in cui si trovavano, ma forse anche per il ceppo virale, hanno prodotto e trasmesso una quantità maggiore di virus rispetto ad altre persone. Quindi se è stato stimato che normalmente una persona positiva può contagiarne altre due o tre, in questi casi si arriva a un numero molto superiore di persone contagiate da un unico individuo, come è accaduto per esempio nel famoso caso del coro in una chiesa degli Stati Uniti. L’aspetto legato agli episodi di super diffusione può avere un impatto sull’intensità del focolaio.

Rispetto all'efficacia con cui, durante i mesi più critici dell'epidemia, si era riusciti a "risparmiare" Pechino dall'esplosione dell'infezione, rendendo adesso più "anomalo" il verificarsi del focolaio, la professoressa Richter sottolinea come sia evidente che "in Cina sono riusciti a far rispettare le disposizioni legate all’uso delle mascherine e al distanziamento in modo assolutamente drastico e completo" e questo "ha permesso una riduzione quasi completa della trasmissione del virus".

Adesso che anche in Cina ci si è avviati verso una fase di riaperture e di maggiore libertà di spostamento "il motivo di questo focolaio può essere proprio legato al rilassamento delle misure particolarmente drastiche che erano state introdotte durante l'emergenza". "Penso - conclude la microbiologa Sara Richter - che come è successo lì possa succedere anche da noi, però poi c’è l’aspetto della temperatura, della stagionalità, del fatto di essere o meno all’esterno: ci sono quindi molti fattori che si sovrappongono ed è difficile prevedere che risultato si potrà verificare in termini di diffusione del virus. Lo studieremo sicuramente".

A Pechino intanto i tamponi proseguono a ritmo continuo e i cittadini convocati si mettono in coda nei 190 laboratori in cui viene effettuato il test. La capitale cinese ha una capacità di 90 mila tamponi al giorno e anche chi vive in aree della città non considerate a rischio può spostarsi dall'area metropolitana solo se in possesso di un documento che certifichi l'esito negativo di un recente tampone.

 

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