La possibile proroga al 31 dicembre dello stato di emergenza, richiesta dal Presidente del Consiglio, dovrebbe aprire gli occhi, e le menti, a quanti nel corso di questi mesi si sono arroccati nella difesa aprioristica e incondizionata dell’operato di Giuseppe Conte. Risuonano ancora, appena smorzate, le sferzanti accuse rivolte ai pochi che avevano cercato di attirare l’attenzione sulle numerose, e gravi, anomalie, che hanno caratterizzato l’approccio all’emergenza sanitaria da parte del capo del governo. Si era osservato, ancora alcuni mesi fa, che il ricorso ai dpcm come strumenti legislativi “ordinari” imprimeva un’ulteriore accelerazione al processo denominato (con un ossimoro rivelativo) “decretazione d’urgenza continua”, in forza del quale la legiferazione era di fatto demandata all’esecutivo, anziché al Parlamento.
Si erano avanzate circostanziate obiezioni verso la legittimità costituzionale di alcuni provvedimenti fortemente limitativi di alcuni diritti sanciti dalla legge fondamentale dello Stato. Con fatica e non senza contraccolpi si era agito per evitare ulteriori abusi, più volte fatti balenare, quale quello di escludere alcune fasce di età dall’allentamento delle restrizioni connesse col lock down. Le rarissime voci, levatesi per denunciare i rischi oggettivamente autoritari conseguenti alla generalizzazione dei provvedimenti assunti dal gabinetto Conte, sono state sommerse dalla reazione scandalizzata di soloni improvvisati, incapaci di capire che cosa tecnicamente debba intendersi per “stato di eccezione”.
E così, siamo ora arrivati al punto che era facilmente prevedibile, vale a dire l’istituzionalizzazione dello stato di emergenza, la trasformazione dell’eccezione in norma, la definitiva archiviazione della costituzione formale, in favore di una costituzione materiale vittoriosa su tutta la linea. Dove ciò che non si vuole capire – e talora non per un deficit culturale, ma per una traballante onestà morale – è che la descrizione dello scenario attuale nei termini ora accennati non ha niente a che vedere con l’evocazione di improbabili ipotesi golpiste o di fantasiosi complotti internazionali.
Si tratta di tutt’altro – di qualcosa che, al limite, è ben più allarmante e pericoloso. Per dirla in estrema sintesi: va confermandosi, e diventando sempre più evidente, una verità che non si ha l’acume (o il coraggio) di riconoscere, e cioè l’intrinseca inadeguatezza della democrazia rappresentativa ad affrontare situazioni di crisi, anche ove si tratti di difficoltà di lieve o media gravità.
Prima e dopo l’esplosione della pandemia una tendenza di questo genere si era già palesata con chiarezza. Si tratti di affrontare il fenomeno dell’emigrazione, la crisi finanziaria conseguente al fallimento delle banche americane, il dissesto idrogeologico o sconvolgimenti tellurici, la grave recessione economica conseguente alla diffusione del virus, fatto sta che in questi ultimi anni per nessuna delle tante “emergenze” che si sono avvicendate (e talora anche sommate) si è riusciti a provvedere, se non ricorrendo a prassi abnormi o comunque all’uso di strumenti extra-ordinari. Ne risulta una implicazione di grande e pervasiva portata.
La forma democratico-rappresentativa (delineata dalla nostra Costituzione) non è in grado di affrontare situazioni che richiedano processi decisionali tempestivi e incisivi. Di qui una conclusione ancor più significativa e, per molti aspetti, inquietante: nel nostro paese (e anche altrove) funzionano due diversi regimi politico-istituzionali. Il primo corrisponde all’assetto normativo previsto dalla legge fondamentale dello stato, è un sistema “classicamente” democratico, ma è concretamente in vigore solo per la “normale” amministrazione – di fatto, solo per decisioni di scarsa o nulla importanza. Il secondo è costituito da prassi non descritte da alcuna norma, basate sulla deroga e l’eccezione, alle quali si ricorre ogni volta in cui vi siano problemi importanti da affrontare. Da un lato, una democrazia svuotata di ogni potere reale; dall’altro, una costituzione materiale priva di ogni legittimità teorica.