SOCIETÀ
Digital news report 2023: la crisi della stampa tra nuovi media e digital creators
Oltre 93 mila persone intervistate, 46 diversi mercati mondiali e un’analisi che non si ferma ai soli siti di news ma copre anche i social network, da Tik Tok a Instaram, da Youtube fino a Facebook. L’edizione 2023 del Digital news report è ricca di spunti ed informazioni sullo stato dell’arte dell’informazione mondiale. È pubblicata dal Reuters Institute for the Study of Journalism e di fatto possiamo considerarla la ricerca più importante sullo stato del giornalismo a livello globale.
L’analisi è molto ricca e lo stesso istituto mette in evidenza alcuni highlights che reputa più importanti. Il primo è quello che in Grecia solo il 19% degli intervistati dichiara di fidarsi della maggior parte delle notizie nel paese per la maggior parte del tempo. Questo è risultato essere il dato più basso dell’intero campione. Un altro Paese europeo poi, ha visto negli ultimi 8 anni un netto calo di interesse per le notizie. È la Spagna che dal 2015 ad oggi è calata di ben 34 punti.
Una diminuzione che va di pari passo con quella della fiducia per le notizie stesse. Il caso limite qui è il Messico, dove dal 2019 ad oggi si è passati da una fiducia del 50% all’attuale 36%.
Tutti dati che bisogna leggere facendo però una premessa. Come scrivono nell’executive summary “il rapporto di quest'anno arriva sullo sfondo di una crisi globale del costo della vita, una guerra nel cuore dell'Europa e un'ulteriore instabilità climatica in tutto il mondo. In questo contesto, rimane fondamentale una forte offerta di giornalismo che dev’essere accurato, ben finanziato e indipendente”.
“In molti dei paesi coperti dalla nostra indagine - continua il rapporto -, troviamo queste condizioni messe alla prova da bassi livelli di fiducia, impegno in calo e un ambiente commerciale incerto”.
Una lettura accurata del rapporto fa emergere un dato comune a molte situazioni, cioè il fatto che quelli che sono stati definiti come degli shock degli ultimi anni (pandemia, crisi climatica, guerra in Ucraina) hanno accelerato i cambiamenti strutturali verso ambienti multimediali più digitali, mobili e dominati dalle piattaforme. Questo di fatto però va a cambiare completamente i modelli di business del giornalismo “storico”. Come vedremo nell’analisi sulla situazione italiana, la carta stampata sta vivendo oramai da anni un inesorabile declino, motivo per cui i giornali sono costretti a diversificare per sopravvivere. Un dato che invece fa emergere come le piattaforme esterne ai siti stessi dei giornali stiano prendendo il sopravvento anche in campo informativo è il fatto che in tutti i mercati analizzati dal rapporto, solo circa un quinto degli intervistati (22%) afferma di preferire un’informazione diretta iniziale da un sito web o un'app del giornale stesso, con un calo di 10 punti percentuali rispetto al 2018. Questo significa che la maggior parte probabilmente preferisce informarsi attraverso altri canali, che di fatto sono i social media.
Secondo il rapporto Facebook è ancora uno dei social network più utilizzati in assoluto, ma la sua influenza sul giornalismo sta diminuendo. Tik Tok invece raggiunge il 44% delle persone di età compresa tra 18 e 24 anni nei vari mercati su cui è basato il rapporto, e il 20% per le notizie. Proprio parlando di notizie, si nota che il pubblico afferma di prestare maggiore attenzione a celebrità, influencer e personalità dei social media rispetto ai giornalisti. Questo però solo su TikTok, Instagram e Snapchat, mentre in Facebook e Twitter i media e i giornalisti sono ancora al centro della conversazione.
Parlando di partecipazione alle notizie, vediamo come dal rapporto emerga che solo circa un quinto (22%) degli intervistati sono partecipanti attivi, con circa la metà (47%) che non partecipa affatto alle notizie. Nel Regno Unito e negli Stati Uniti poi, la percentuale di partecipanti attivi è diminuita di oltre 10 punti percentuali dal 2016. Infine in tutti i paesi si riscontra che questo gruppo tende ad essere maschile, più istruito e più intransigente e fermo nelle sue opinioni politiche.
Sappiamo poi che tra le persone che scelgono di non informarsi del tutto o solo in parte, la maggior parte sono donne (39% contro 33%).
La metodologia del rapporto
Il rapporto poi offre una panoramica sulla credibilità delle testate giornalistiche. Su questo però sono emersi più dubbi in quanto la metodologia usata dai ricercatori potrebbe presentare diverse lacune. Sappiamo infatti che tutto il lavoro si basa su un questionario online YouGov proposto tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio 2023. Tale questionario è stato presentato e fatto compilare a circa duemila persone per ogni Paese selezionato. La critica è arrivata anche dalla giornalista filippina Maria Ressa, vincitrice del premio Nobel, che lo scorso anno ha rassegnato le dimissioni dalla commissione del Reuters Institute for the Study of Journalism (RISJ). Ressa ha dichiarato al Guardian che il rapporto, che è finanziato in parte da Google, non tiene conto dell'impatto delle campagne di disinformazione, in particolare nei paesi in cui i governi usano i loro poteri per attaccare i media liberi. Né riflette pregiudizi nelle piattaforme tecnologiche che hanno un enorme controllo sulla distribuzione delle notizie o sull'impatto delle campagne di disinformazione.
La situazione italiana
La situazione italiana messa in evidenza da Digital news report è di un continuo cambiamento. Cambiamento che deriva sia dalla questione che le vendite dei giornali cartacei sono in costante declino, sia dal fatto che gli editori stanno cercando di arginare questa diaspora prendendo nuove strade imprenditoriali.
Negli ultimi anni, ad esempio, Mondadori ha venduto giornali importanti come Panorama e Donna Moderna. Il primo è stato acquistato nel 2021 dal gruppo editoriale fondato dal giornalista Maurizio Belpietro attorno al quotidiano la Verità, mentre il secondo è stato venduto contestualmente a Casa Facile sempre al medesimo gruppo editoriale alla fine del 2021. Sempre il Gruppo Mondadori poi, ha ceduto il suo principale quotidiano, cioè Il Giornale, al gruppo Angelucci, che già possiede altre testate come Libero e Il Tempo. Mondadori però non ha solo ceduto, ma ha anche acquistato, nel dicembre 2022, Webboh, un progetto dedicato interamente alla generazione Z e che parla principalmente di gossip e mondo dei digital creators.
Un altro scossone al giornalismo italiano poi, l’ha dato sempre nel 2022 il gruppo GEDI. L’editore de La Repubblica e La Stampa infatti ha ceduto l’Espresso. La rivista fondata nel 1955 è passata nelle mani della B.F.C. Media S.p.A., controllata da Danilo Iervolino, cioè il presidente della squadra di calcio della Salernitana.
Un altro terremoto interno al gruppo GEDI è poi arrivato nel febbraio 2023, con uno sciopero dei giornalisti de La Repubblica. Come si legge nel comunicato dell’assemblea di Repubblica e del Coordinamento dei Cdr del gruppo Gedi, questa decisione era arrivata in seguito alla conferma che “sono in corso contatti con gruppi interessati all’acquisizione delle storiche testate del Nordest (il Mattino di Padova, La Nuova di Venezia, la Tribuna di Treviso, il Corriere delle Alpi, Il Messaggero Veneto e Il Piccolo) a cui si aggiungerebbe la Gazzetta di Mantova”. I giornalisti hanno messo in evidenza come “quello che è stato il più grande gruppo editoriale italiano [...] ha già venduto in tre anni testate storiche come la Nuova Sardegna e Il Tirreno, le Gazzette, La Nuova Ferrara, L’Espresso e chiuso Micromega”. A questo si aggiunge il costante cambiamento della linea editoriale del giornale che, dai tempi di Scalfari ad oggi, si è sempre spostata rispetto all’originale “giornale-partito” di riferimento della sinistra italiana. Nel frattempo però, il gruppo GEDI ha anche dato la priorità alla distribuzione e alla monetizzazione dei contenuti sui social media. Nel luglio 2022 infatti ha acquistato il 30% di Stardust, cioè una società di marketing innovativa e focalizzata sui creators digitali e influencer.
Se i giornali storici stanno avendo delle grosse difficoltà per quanto riguarda la carta stampata, lo stesso non si può dire di progetti solamente digital oriented. Ne è conferma una società creata proprio da uno degli ex direttori de La Repubblica. Stiamo parlando di Chora Media, fondata nel 2020 da Guido Brera, Mario Gianani, Roberto Zanco e Mario Calabresi. Quest’ultimo la dirige attualmente. La società, nata come podcast company, lo scorso anno ha acquistato Will Media. Entrambi basano la loro “fortuna” su piattaforme esterne ma molto conosciute, come Spotify per i podcast e principalmente Instagram per i contenuti di Will. Questo però ha permesso a Chora di raggiungere più facilmente un pubblico più giovane. Il rapporto di Oxford infatti mette in evidenza come il reach online di Will Media, cioè quanto la società riesce a raggiungere il pubblico, è del 2% totale, ma analizzando la fascia d’età 18-24 cresce all’8%.
Parlando proprio di reach poi, vediamo come i siti più visitati siano quelli delle principali emittenti televisive commerciali (TgCom24 e SkyTg24 di Mediaset), della televisione di Stato, dell'agenzia di stampa ANSA e dei principali quotidiani (La Repubblica, Il Corriere della Sera, e Il Fatto Quotidiano). C’è poi Fanpage, che da anni mantiene la sua posizione tra le prime testate giornalistiche italiane. Un discorso simile, anche se con dati più ridotti, lo si può fare per Il Post che, secondo il rapporto ottiene risultati discreti (6%). Entrambe le testate giornalistiche sono particolarmente popolari tra il pubblico giovane, con Fanpage che raggiunge il 26% e Il Post che raggiunge il 13% degli under 35 online. Da segnalare inoltre, che anche lo stesso Il Post, negli ultimi anni sta diversificando la sua offerta tra podcast, piccoli eventi e approfondimenti stampati su carta.
Annualmente poi, Il Post fa il riassunto della sua situazione. Una decisione di trasparenza, non solo dovuta a questa pubblicazione ma all’intera linea editoriale del giornale, che sembra premiare. “La sintesi è che sono cresciuti i ricavi e sono cresciuti i costi - scrivono in un articolo riferendosi al 2022 -, perché grazie ai primi, determinati ormai in grande maggioranza dagli abbonati, abbiamo potuto appunto fare investimenti nuovi: sia per nuovi progetti e per coinvolgere più persone (nella redazione, nella tecnologia, nella gestione degli abbonamenti e dei progetti collaterali), sia per continuare a mettere in ordine e rendere più efficienti (e adeguatamente retribuite) attività che da molti anni erano condotte con buona volontà e meno professionalmente. Rispetto al 2021 – chiuso con un attivo di 659mila euro – il bilancio del 2022 mostra un utile di un milione e 676mila euro, già in buona parte destinato a nuovi progetti (per esempio l’investimento sul futuro del Post con un lavoro di formazione su persone più giovani).
L’aumento dei ricavi si deve appunto soprattutto alla crescita del numero degli abbonati, che nel 2022 hanno generato il 69,5% delle entrate. I ricavi pubblicitari gestiti dalla concessionaria System24 sono diminuiti di poco rispetto al 2021 e sono passati a valere il 15,5% del totale. Tra le attività che contribuiscono al 15% dei restanti ricavi, le maggiori sono dovute alla rivista Cose spiegate bene (che da quest’anno è diventata trimestrale), alle lezioni online e agli eventi, e alle partnership esterne: tutte entrate che hanno grossomodo mantenuto il proprio ruolo sul totale, mentre è diminuito il valore percentuale delle affiliazioni con i siti di e-commerce, pur mantenendo i risultati assoluti del 2021”.
Il Post offre un abbonamento che si basa principalmente sulla fiducia del lettore verso la testata giornalistica. tutti gli articoli infatti sarebbero comunque accessibili, ma per l’abbonato sono stati offerti alcuni contenuti aggiuntivi, da dirette in cui esperti spiegano diverse notizie fino alla possibilità di ascoltare alcuni dei loro podcast, come ad esempio la rassegna stampa quotidiana letta da Francesco Costa ed intitolata Morning.
Se le scelte de Il Post sembrano funzionare, altre hanno alcuni problemi. È il caso dell’HuffPost Italia che nel 2022 ha reso parte del suo contenuto accessibile solo agli utenti paganti. “Questo ha generato 5.000 abbonati nei primi sei mesi - si legge nel rapporto di Oxford -, ma la sua copertura online, che era del 9% nel nostro ultimo sondaggio del 2022, è scesa al 5%”.
La situazione italiana quindi, ma non solo quella, è in continua evoluzione. È normale che sia così viste le repentine modifiche del mercato stesso delle notizie. Il declino della carta stampata è inesorabile e, a quanto pare, inarrestabile. Chi riuscirà a diversificare meglio sopravviverà, ma la grande domanda a cui solo il tempo ci darà risposta, è se è ancora vivo il momento delle grandi testate giornalistiche generaliste o se un mercato così frammentato rischia di metterle definitivamente in crisi.