SOCIETÀ

La Germania unita compie 30 anni ma il confine si vede ancora

Trent’anni fa dominava lo scetticismo, la paura: l’unificazione tra Germania Ovest e Germania Est evocava una somma di potenze, di eserciti e di economie, che rischiava di tornare a costituire un pericolo, non soltanto per l’Europa. Contrario il presidente francese Mitterand («I tedeschi uniti conquisteranno più territori di quelli presi da Hitler e l’Europa ne pagherà le conseguenze», sosteneva). Contraria soprattutto Margareth Thatcher: il primo ministro britannico, che tentò in ogni modo di ostacolare il processo di unificazione, favorito invece da Gorbaciov e Bush, riteneva che «la Germania unita avrebbe cercato di imporre la propria egemonia» sull’Europa e che rafforzare le istituzioni europee «non sarebbe stato sufficiente per contenere la naturale aggressività dei tedeschi». «Li abbiamo battuti due volte e ora sono tornati», disse la “Lady di ferro”, che in realtà temeva di perdere il ruolo di partner privilegiato europeo con gli Stati Uniti. La storia, a volte, sa essere impietosa nello smascherare la scarsa lungimiranza di personaggi che hanno ricoperto ruoli di primissimo piano. Come Giulio Andreotti che nell’84, da ministro degli Esteri, pronunciò la celebre frase «Amo talmente la Germania che ne preferisco due», salvo poi esibirsi in una capriola diplomatica, nel 1990, quando, da presidente del Consiglio, dopo un incontro con il cancelliere della Repubblica Federale Tedesca, Helmut Kohl, si dichiarò «favorevole alla riunificazione». Pagine di storia, appunto, e di pregiudizi, a ridosso di uno dei più significativi eventi del ventesimo secolo: la caduta del Muro di Berlino

Il confine c’è e a volte si vede

Le cose sono andate diversamente. Ma oggi, tentando un bilancio dopo trent’anni dalla riunificazione della Germania, è ragionevole sostenere che l’operazione sia stata un successo? O invece, come sostengono i detrattori, i nostalgici, che si sia trattato di una semplice “annessione” della Ddr alla Repubblica Federale Tedesca? E chi ne ha beneficiato di più, l’Est o l’Ovest? C’è ancora una linea di confine, ideale, a dividere in due la Germania? La questione è dibattuta e può essere letta da diverse angolazioni. Che le economie delle due Germanie viaggino tuttora a differenti velocità è innegabile, come dimostra il Rapporto annuale sullo stato dell’unità tedesca, che ogni anno viene pubblicato. La forza economica media degli stati federali nell’Est della Germania (inclusa Berlino) non raggiunge l’80% della media tedesca complessiva. Le grandi aziende non portano lì le loro sedi. Negli ex lander dell’Est salari e pensioni sono più bassi che a Ovest. I ricercatori della Fondazione “Friedrich-Ebert-Stiftung” hanno pubblicato lo scorso anno uno studio sulla qualità della vita in Germania, analizzando vari parametri (dal reddito medio al costo della vita, dalla dispersione scolastica al tasso di povertà) e suddividendo il paese in cinque sezioni, per capire dove si vive meglio e dove peggio: ebbene quasi l’intera area orientale della Germania (con l’esclusione di Berlino) ricade nella quarta fascia, definita “zone rurali in crisi strutturale permanente”. Aree dove i redditi sono molto bassi, le infrastrutture carenti, dove la partecipazione elettorale e l’aspettativa di vita sono entrambe sotto la media.Commentava così Edoardo Toniolatti, co-fondatore di Kater, un blog collettivo che si occupa di raccontare, e di spiegare, la Germania: «Se prendiamo in esame le diverse componenti che concorrono a modellare un concetto complicato e a volte scivoloso come quello di “qualità della vita”, dunque, è comprensibile che a Est si trovino tutto sommato pochi motivi per festeggiare una Wiedervereinigung (riunificazione) che sembra aver fallito nel suo obiettivo principale: restituire all’Europa e al mondo una Germania unita, compatta e uniforme. Anzi peggio: una Wiedervereinigung che sembra non essere mai avvenuta veramente».

 

C'è ancora una linea di confine, ideale, a dividere in due la Germania?

L’ammissione del governo: «C’è ancora molto da fare»

D’altro canto è innegabile che oggi anche in quelle regioni (e soprattutto in alcune città come Potsdam, Jena e Dresda) gli standard di vita siano aumentati, con una presenza consolidata di importanti Università. Che l’esodo di massa dall’Est all’Ovest dei primi anni (almeno 15, un’intera generazione di giovani in fuga dalla disoccupazione: furono 8.500 le aziende dell’Est privatizzate o chiuse dopo il 1990) sia stato fermato e persino invertito. Che il tasso di occupazione attuale stia tornando a livelli accettabili. Ma è lo stesso governo tedesco a riconoscere che c’è ancora molto lavoro da fare. «La sfida di riunire due parti di un paese a lungo separate è stata affrontata attraverso molti progetti, anche se non tutti si sono dimostrati efficaci e sostenibili», è scritto nell’ultimo rapporto annuale. Scrive il New York Times: «Oggi un impiegato a tempo pieno nelle regioni dell’ex Germania Est, dove la produzione economica è in ritardo rispetto all'Occidente del 70%, guadagna in media il 15% in meno per lo stesso lavoro di una controparte occidentale. Nessuna delle società tedesche quotate in borsa ha il proprio quartier generale a Est. Il drenaggio della popolazione si è interrotto nel 2013 e recentemente ha iniziato a dare segni di inversione. Ma la regione ha perso 1,3 milioni di persone nei primi decenni dopo la riunificazione, una carenza che richiederà anni per riprendersi, se mai. Le parti rurali dell’ex Ddr sono state le più colpite. A mano a mano che città e villaggi si svuotavano e il gettito fiscale diminuiva, le scuole chiudevano, i negozi abbassavano la saracinesca e i condomini residenziali venivano demoliti. L’emigrazione di massa dei giovani portò a un crollo del numero delle nascite». Mentre Reiner Hoffmann, presidente della Confederazione sindacale tedesca (DGB) punta il dito contro ledisuguaglianze nell’occupazione: «Nei nuovi stati federali gli orari di lavoro sono significativamente più lunghi e i salari significativamente più bassi», sostiene Hoffmann. «Questo non è compatibile con l’obiettivo di raggiungere l’equivalenza delle condizioni di vita. E il problema è anche nel fatto che la contrattazione collettiva è ancora più bassa a Est che a Ovest». 

Ma anche il paragone continuo può essere fuorviante. Scrive l’Economist: «Se i tedeschi orientali non sempre apprezzano la loro buona sorte, è perché i loro riferimenti sono stati Amburgo e Monaco, non Bratislava o Budapest. Implicito, nella promessa di riunificazione, c’era il patto che i tedeschi dell’Est avrebbero potuto finalmente godere di quanto avevano a lungo invidiato all’Ovest. Per anni erano stati costretti a osservare uno stile di vita che rimaneva fuori della loro portata, con i pacchi di caffè e dolci, le merci occidentali in mostra nei negozi Intershop – accessibili solo a chi possedeva valuta pregiata – o le pubblicità nei canali televisivi occidentali che trasmettevano da oltre il confine. Nel 1990 il cancelliere Kohl promise ai tedeschi dell’Est “paesaggi rigogliosi”, ma invece hanno ottenuto deindustrializzazione e disoccupazione di massa». Come ricorda Kurt-Ulrich Mayer, professore onorario di diritto dei media presso l’Università di scienze applicate di Mittweida, in Sassonia: «Nel 1990 trecentomila persone si radunarono per inneggiare a “Helmut!” in Augustusplatz, a Lipsia. Quattro anni dopo ci tornò, e servirono gli ombrelli per proteggerlo dalle uova e dai pomodori».

Passi in avanti e vittimismo

Eppure, anche parlare di fallimento è fuorviante. Nello stesso Rapporto annuale 2020, il governo sostiene che i dati dalla Germania orientale sono “buoni, ma non ancora abbastanza buoni”. Complessivamente il potere economico nell’Est è quadruplicato dal 1990. La disoccupazione è in netto calo. Le aziende offrono svariate eccellenze tecnologiche in diversi settori. E la qualità ambientale è oggi molto elevata. Marco Wanderwitz, della Cdu, eletto in Sassonia e commissario per i nuovi stati federali , è ottimista: «La riunificazione è stata un dono: il dono della fine della divisione del paese, l’avviarsi verso un paese comune e una comune democrazia. Quando celebreremo il quarantesimo anniversario della riunificazione, avremo passato più tempo uniti che divisi. Allora non sarà più necessario avere rappresentanti speciali di questo o quello stato in particolare». 

Nel dicembre scorso Wolfgang Schäuble, presidente del Bundestag (il Parlamento Federale tedesco), ha scritto un articolo per il giornale Tageszeitung, sostenendo che i tedeschi dell’ex Germania Est dovrebbero mostrare più fiducia in sé stessi: «Alcune persone mantengono lo status di vittima, invece di avere più sicurezza di sé stessi e rendersi conto che hanno una preziosa esperienza rispetto ai tedeschi della Germania occidentale: sanno adattarsi agli sconvolgimenti sociali. Eppure, dopo 30 anni dalla riunificazione, molti di loro si identificano ancora nel loro ex paese comunista». Centrale proprio il tema del senso di appartenenza, sul quale moltissima strada è ancora da fare: oltre il 47% dei tedeschi dell’Est sostiene che la propria identità sia orientale prima che tedesca, una proporzione che per i tedeschi dell’Ovest scende al 22%. Per dire: gli ultras della squadra di calcio Dynamo Dresda intonano sempre più spesso negli stadi il coro d’altri tempi “Ost, Ost, Ostdeutschland!” (Est, Est, Germania Est). Forse a breve qualcosa migliorerà, vista la decisione del governo di Angela Merkel di abolire per il 90% dei contribuenti, a partire dal 2021, l’odiata Solidaritätzuschlag, più brevemente chiamata “Soli”, la tassa di solidarietà introdotta nel 1991 come misura temporanea per coprire i costi della riunificazione. Una tassa detestata a Ovest (resterà in vigore soltanto per i redditi più alti) e spesso presa a pretesto dagli Wessis per criticare “quei fannulloni degli Ossis”.

 

Cresce la divisione, cresce la destra

Un sentimento di divisione che cresce, pericolosamente. E l’esempio di Angela Merkel (lei stessa una Ossi, nata ad Amburgo, ma subito trasferita con la famiglia a Templin, nel Brandeburgo), che da 15 anni è alla guida del Paese (offrendo anche all’Unione Europea un contributo fondamentale di solidità, stabilità e competenze diplomatiche), appare più un caso sporadico che un modello replicabile. Perché lì, nei territori orientali, c’è qualcosa di assai profondo che si sta muovendo, soprattutto tra i più giovani: un’insoddisfazione radicata. E il gap economico, aggravato dalla pandemia, è soltanto uno degli elementi scatenanti. Molti osservatori ritengono che proprio la rapidità del processo ci riunificazione può essere all’origine del malcontento, che arriva a prendere le sembianze di una perdita d’identità: abituati a vivere sotto un regime che gli stava stretto e trasportati da un giorno all’altro in un sistema dove ancora oggi, a trent’anni di distanza, continuano a sentirsi trascurati, non valorizzati. Non vogliono tornare al passato, al comunismo. Ma la storia e le tradizioni della Germania orientale continuano a far parte della loro identità.

Fatto sta che soltanto il 78% degli abitanti della Germania orientale considera la democrazia il miglior sistema di governo, contro il 91% che di media si registra negli stati occidentali. Ma è in tutta la zona orientale (soprattutto in Sassonia e in Turingia) che si sta affermando con sempre più forza il partito di estrema destra Alternative für Deutschland (Afd), fermamente contrario a qualsiasi forma di immigrazione e di integrazione, ormai diventato il principale partito di opposizione in Parlamento (i suoi elettori non sono soltanto a Est), anche se ultimamente è stato al centro di polemiche che hanno fruttato un calo nei sondaggi: un funzionario, Christian Lüth, portavoce parlamentare, che pochi mesi fa si era definito orgogliosamente “fascista”, aveva proposto di “gasare” i migranti arrivati nel Paese. E perciò è stato licenziato. E frequenti sono gli episodi di violenza, spesso a sfondo razziale. Il 3 ottobre scorso, in occasione dei festeggiamenti per il trentennale della riunificazione, mentre a Berlino sfilavano i nostalgici della Ddr, la stessa Merkel ha dichiarato: «Dobbiamo tutti cominciare a capire perché, per così tante persone degli stati tedeschi dell’Est, l’unità della Germania non è un’esperienza positiva».

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