C’è una lunga tradizione, all’università di Padova, di studi sul rapporto tra cinema e letteratura; rapporto ampio e intricato, perché non si tratta solo di analizzare, ancora una volta, la derivazione cinematografica di un testo letterario, ma di considerare le molteplici interferenze (termine che esce non a caso…) tra i due linguaggi. Il Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari si è preso il compito di riprendere questa tradizione e rinforzarla affidandone lo sviluppo, con convegni seminari e incontri, a un docente di materie cinematografiche, Denis Brotto, e a uno di discipline letterarie, Attilio Motta. Dalla collaborazione è già uscito un volume (Marsilio editori) con gli atti di un convegno su François Truffaut, è in corso di stampa uno su George Simenon (sui film derivati dalla sua produzione), e in questi giorni è in libreria Interferenze. Registi/Scrittori e Scrittori/ Registi nella cultura italiana (Padova University Press, pp. 199). È un ricco contributo che si aggiunge a quelli della tradizione cui si faceva cenno, comparsi negli anni nella Rivista “Studi novecenteschi”, edita dallo stesso DISLL.
Invasioni di campo, verrebbe da dire a proposito dell’ultimo libro, tra autori di film che si sono cimentati o si cimentano con la pagina scritta, e autori letterari con il lavoro su un set.’ Un campo più vasto di quanto si possa pensare, se si considera che sono circa 300 i casi che si potrebbero prendere in considerazione dall’inizio del secolo scorso a oggi; anche recentemente questa incursioni in altra forma sono numerosi, da Paolo Sorrentino a Pupi Avati, a Salvo Andò, Marco Tullio Giordana, Gianni Amelio, Daniele Vicari, e parecchi altri.
È un campo di analisi tutt’altro che definibile, che pone già un primo interrogativo: vanno presi in esame solo film a lungometraggio? Di finzione o anche documentari? E per i libri: solo romanzi o racconti, o anche saggi o interventi critici, o poesie, testi teatrali o autobiografici? C’è poi un’altra osservazione da fare; la maggior parte dei registi partecipa alla stesura della sceneggiatura delle proprie opere, e pur essendo questa una scrittura ausiliaria (un linguaggio che deve diventare un altro linguaggio) è pur sempre una forma letteraria. E, per aggiungere problemi, ci sono autori difficilmente ascrivibili (come dimostrano saggi contenuti in Interferenze) a un prevalente settore, come nei casi noti di Pier Paolo Pasolini e Mario Soldati, ma anche Nelo Risi e Fabio Carpi. E poi ci sono slittamenti progressivi di testi; l’esempio viene, ancora, da Teorema di Pasolini che, stando alle sue parole, “era nato come pièce in versi, poi si è tramutato in film e, contemporaneamente, nel racconto da cui il film è stato tratto, e che dal film è stato corretto”. E cosa dire dei racconti o romanzi derivati da un film, come ci dimostra Ladro di bambini di Amelio?
Terreno “mobile” quindi quello trattato dal libro. Leggendo il quale ci si pone una domanda di fondo, quale può essere la spinta per la quale un autore effettua quella che sopra si è definita un'invasione di campo. La risposta più semplice, ma non per questo meno degna di considerazione, quella che dà anche Amelio nella lunga intervista contenuta nel libro, riguarda la maggiore “libertà” della scrittura rispetto alla regia; far cinema, si sa, significa fare i conti con una macchina produttiva complessa e costosa. Ma è una risposta non sufficiente, perché al fondo c’è anche l’esigenza di confrontarsi con altri linguaggi (e non è questo confronto una delle caratteristiche della “modernità”?), con altre tecniche. Che, magari, propongono una diversa temporalità. Cinema e letteratura, quasi superfluo ricordarlo, hanno un diverso uso del tempo.
Le domande, scorrendo il libro, si susseguono, perché è quasi naturale chiedersi se, nella pratica delle due scritture, ci sia o meno continuità, di forme e contenuti per usare una distinzione scolastica. La varietà delle risposte è quasi scontata, e l’esempio viene ancora da Amelio; il quale scrive un libro (Politeama) che richiama la sua produzione cinematografica, e un altro ( Padre quotidiano) privo di questi rimandi. E c’è chi è soprattutto attento allo stile; Antonioni, nel suo libro di racconti (Quel bowling sul Tevere), ricorda da vicino alcune innovazioni da lui portate con i film.
Insomma, se leggendo Interferenze, pensavamo che il travaso di forme fosse semplice da definire, alla fine ci si convince che, ancora una volta, il rapporto tra cinema e letteratura è complesso.