SOCIETÀ

L’argentina e gli spettri del passato tra crisi e inflazione a tripla cifra

Decenni dopo, la storia si ripete: l’Argentina torna a tremare sotto la spinta di un’inflazione che s’innalza in tripla cifra (102,5% su base annua) aggravando le già difficili condizioni della popolazione, stremata non soltanto da anni di pandemia e dagli effetti della guerra in Ucraina, ma anche da una delle più gravi siccità della sua storia che sta devastando i raccolti (secondo un recente rapporto del Drought Information System for Southern South America, il 55% della superficie del territorio è colpita dalla mancanza di precipitazioni o in condizioni di stress idrico). Si stima che oltre il 40% della popolazione argentina (parliamo di circa 17 milioni di persone) viva in condizioni di povertà. Un rapporto dell’Università Cattolica Argentina, pubblicato lo scorso dicembre, fissa con più precisione la percentuale al 43,1%. Prezzi alle stelle, mancanza di un lavoro dignitoso, salari bassi: perché anche avere un solo lavoro, in una famiglia, spesso non basta. Anche l’Unicef ha acceso i suoi riflettori sulla condizione dei bambini argentini, e la fotografia che ne emerge fa spavento: due su tre vivono sotto la soglia di povertà. E non si tratta soltanto di povertà economica: secondo i dati raccolti dall’Argentina Permanent Household Survey, relativi alla prima metà del 2022, oltre la metà dei bambini (51,5%) sono poveri per reddito. Vale a dire che vivono in famiglie che non hanno un reddito sufficiente a garantire la copertura di un “paniere giornaliero” di cibo e servizi di base. Poi c’è anche la dimensione “non monetaria”, la violazione dei loro diritti: come vivere in alloggi non adeguati agli standard minimi accettabili (abitare in una baraccopoli o accanto a una discarica non è salubre), senza avere accesso a servizi igienico-sanitari di base, senza acqua potabile a disposizione, senza istruzione né protezione sociale. L’assenza di questi diritti genera povertà e miseria. La somma di questi due indicatori (uno economico, l’altro sociale) porta alla spaventosa cifra indicata dall’Unicef nella sua mappatura della povertà infantile: il 66% dei bambini argentini non vede soddisfatti questi requisiti.

La piaga dei Narcos

Dall’insicurezza economica e sociale al crimine il passo è brevissimo. La piaga del narcotraffico, e della violenza connessa, per non dire della corruzione tra le forze di polizia, sta dilagando nel paese, soprattutto nelle regioni più povere dove è più semplice per le bande trovare manovalanza a basso costo. Sia la produzione, sia la distribuzione, sia il consumo di droga, soprattutto cocaina, sono in netto aumento. E Rosario, nella provincia di Santa Fe, ne è da anni il centro nevralgico (soltanto nel 2022 ci sono stati 287 omicidi). Il governo del presidente Fernández è accusato di non aver mai predisposto un piano di sicurezza nazionale per arginare lo strapotere delle bande criminali legate ai Narcos. Scrive la società di sicurezza Ake International in un report appena pubblicato: «La mancanza di un'azione efficace per affrontare il traffico di droga è almeno in parte dovuta alla evidente collusione tra forze di sicurezza, funzionari pubblici, magistrati e penitenziari con gruppi criminali, che hanno esteso il loro potere oltre Rosario».

È evidente che, sulla base di questi dati, l’aggravarsi della situazione economica argentina è a tutti gli effetti una pessima notizia. Erano 32 anni che la terza più importante economia del Sud America (in termini di Prodotto interno lordo) non raggiungeva l’inflazione a tre cifre, pur restando assai lontana dal fenomeno dell’iperinflazione registrato alla fine degli anni 80 (a luglio 1989 si toccò il record di aumento su base annua del 3079,5%, innescando una crisi che colpì duramente il paese nel decennio successivo, fino al default del 2001 e al crack dei bond argentini). L'Instituto Nacional de Estadística y Censos (INDEC) ha appena calcolato che a febbraio i prezzi sono saliti del 6,6% e che l’aumento combinato dei primi due mesi dell’anno è del 13,1%. I prodotti alimentari, parliamo di carne, uova, latticini e frutta, registrano aumenti che sfiorano, mensilmente, il 10 per cento. Impossibile, per gli strati più poveri della popolazione, acquistare cibo a queste cifre. Soltanto nell’ultimo mese, a Buenos Aires, il prezzo della tradizionale carne macinata è aumentato del 35%, rendendolo un lusso per le famiglie che non riescono più a far fronte all’aumento del costo della vita, e che devono anche fare i conti con le sempre più frequenti interruzioni di elettricità. Peraltro la siccità, e le frequenti ondate di caldo estremo che stanno colpendo diverse regioni del Sud America (dove l’estate sarebbe appena terminata), sta provocando la perdita di molti raccolti di grano, di soia e di mais, prodotti destinati non soltanto all’esportazione (l’Argentina ne è leader) ma anche alla produzione di mangimi per gli animali, il che sta creando enormi difficoltà tra gli allevatori: e non è un caso che i maggiori aumenti dei prezzi al consumo riguardino proprio carni e latticini. Il Servizio Meteorologico Nazionale ha rilevato che «l’inverno 2022 è stato il 33,3% più secco del normale, ed è stato il settimo più secco dal 1961 e il quinto consecutivo a registrare deficit di precipitazioni». Secondo la Borsa dei cereali di Rosario la siccità estrema produrrà una riduzione di almeno 19 miliardi di dollari di introiti e un calo di almeno 3 punti di Pil nel 2023. Luiz Zubizarreta, presidente di Acsoja, l’associazione che riunisce tutti i produttori di soia del paese, ha definito la situazione “drammatica”: «Il flusso nei porti è al minimo storico, perché non c’è merce». Nel mese di febbraio gli agricoltori hanno venduto 622mila tonnellate di soia, quasi un terzo degli 1,7 milioni di tonnellate commercializzato durante lo stesso mese dello scorso anno.

L’accordo capestro con il Fondo Monetario Internazionale

Insomma, le nuvole che da tanti mesi mancano nei cieli sudamericani si stanno addensando, metaforicamente, sul futuro dell’Argentina. Al punto che anche il Fondo Monetario Internazionale ha deciso, pochi giorni fa, di “allentare” gli obiettivi concordati nel programma Extended Fund Facility per la restituzione di un debito di 44 miliardi di dollari, concesso nel 2018 all’ex presidente argentino Mauricio Macri. Anche se i tecnici dell’FMI non hanno voluto ritoccare l’obiettivo di riduzione del deficit nel 2023 dal 2,3% attuale all'1,9% del Pil. «Tassi di inflazione di questa portata sono insostenibili ed erodono la fiducia degli investitori nazionali e internazionali», sostiene l’FMI. «Il governo deve intraprendere azioni coraggiose per affrontare le questioni economiche sottostanti e ripristinare la fiducia nell'economia del paese. In caso contrario, si rischia di condannare le generazioni future a una vita di difficoltà economiche e incertezze». L’economista Emanuel Alvarez Agis, ex viceministro all’economia nel 2013 durante il secondo mandato di Cristina Fernández de Kirchner, oggi direttore della società di consulenza PxQ, non risparmia critiche: «Il nuovo accordo con il Fondo Monetario Internazionale è dannoso per l'Argentina perché mantiene l’obiettivo di deficit fiscale in un momento in cui le entrate diminuiranno a causa della siccità. In altre parole, ci chiedono di mantenere la dinamica della spesa quando è noto che l’Argentina perderà molte entrate. Ci stanno dando fiammiferi per combattere la siccità. Ma se questi sono i parametri da rispettare, allora sarebbe preferibile violare gli accordi con il Fondo». Un altro economista argentino, Luis Secco, intervistato dalla Cnn, ha detto che «le possibilità di rispettare l’accordo con l’FMI sono ridotte: se tutto ciò che è scritto nella lettera di intenti sarà rispettato, ci sarà un ulteriore aumento dei prezzi. Penso che l’inverno sarà molto duro, che i prezzi del carburante aumenteranno ancora e che quindi si avranno nuove pressioni inflazionistiche. L’inflazione di oggi mostra che nulla è cambiato nell’economia argentina». 

Servirebbe una soluzione di politica economica. Per combattere l’aumento dei prezzi e il deprezzamento del peso argentino, il governo del presidente Alberto Fernández ha sovvenzionato una serie di tassi di cambio protetti dedicati a settori specifici dell'economia, rendendo di fatto più conveniente per alcune imprese acquistare dollari sul mercato dei cambi. La Banca Centrale ha appena aumentato il tasso di riferimento di tre punti, portandolo al 78 per cento. Ma non ci sono indicatori che fanno ben sperare: e se la situazione non migliorerà entro 6 mesi si potrebbe arrivare al default tecnico, vale a dire l’impossibilità di far fronte a scadenze di pagamento già stabilite. La Banca centrale argentina ha appena aumentato il tasso di riferimento (il tasso di interesse che applica alle banche per i prestiti) di tre punti, portandolo al 78%. Ma la contrazione dei consumi interni e delle esportazioni potrebbero dare il colpo di grazia a un’economia già in grande difficoltà, spingendo con ogni probabilità il paese verso la recessione. O, peggio ancora, verso un nuovo default, qualora non fossero rispettate le scadenze di pagamento del debito estero.

Elezioni a ottobre, incognita estrema destra

Il sopravanzare dell’ennesima crisi economica è una pessima notizia non soltanto per gli argentini, ma anche per il governo peronista del presidente Alberto Fernández e della sua vice Cristina Kirchner, che tra pochi mesi dovranno affrontare una delicatissima campagna elettorale, con le elezioni presidenziali già fissate per il prossimo 22 ottobre (nel caso in cui nessuno dei candidati alla presidenza ottenga il 45% dei voti o il 40% e una differenza di 10 punti con il secondo candidato, si terrà un ballottaggio che si svolgerà il 19

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