CULTURA

L’evoluzione, secondo Gianni Rodari

Lo sappiamo bene, il problema dell’origine delle specie e della dinamica dell’evoluzione biologica per selezione naturale del più adatto è stato ben affrontato da Charles Darwin. E non saremo certo noi in questa sede a ritornare su quella che Stephen Jay Gould chiamava “la struttura della teoria dell’evoluzione biologica”.

Non tutti sanno, però, che questo tema ha affascinato anche Gianni Rodari, che lo ha risolto a modo suo. Cioè alla grande.

Riassumendo.  La vita è apparsa sul pianeta Terra tra 3,9 e 3,5 miliardi di anni fa. Poi è andata incontro a un processo di graduale diversificazione intervallata da repentine catastrofi, con bibliche estinzioni di massa. Anche la storia di molte specie è andata incontro a periodi di sostanziale stasi evolutiva, intervallati da improvvise accelerazioni. 

No, non equivocate. Non troverete di Gianni Rodari la divulgazione di questa complessa “struttura della teoria dell’evoluzione biologica”. Però se conoscete – come conosceva lui – i punti fondamentali della teoria, potrete apprezzare i tanti luoghi e i tanti momenti in cui lo scrittore parla di evoluzione. 

Dove? Beh, tanto per iniziare, in Il libro dei perché:

È nato prima l’uovo o la gallina?

 Prima l’uovo, prima l’uovo! La prima di tutte le galline venne fuori dall’uovo di un uccello che non era del tutto una gallina; e il primo di questi uccelli-quasi-gallina venne fuori dall’uovo di un rettile e così si va sempre indietro, fin che si arriva ai primi esseri viventi, che erano qualcosa come uova piccolissime ed invisibili, galleggianti sulle acque. Ma a proposito di uova:

            «Io dall’uovo

            non mi muovo

            se non so che cosa trovo

            fuor dell’uscio

            del mio guscio…»

            Un pulcin così pensò,

            e nel guscio si tappò

            tanto ben… che soffocò.

La trasmutazione delle specie ha portato, anche, al passaggio da un regno all’altro del vivente. Come? Una spiegazione, straordinaria, la troviamo in Il gioco dei quattro cantoni, storia principale dell’omonimo libro, dove Rodari ci parla dell’evoluzione biologica come aspirazione. E ironizza sulla presunta «gerarchia delle specie».

- Che ne sappiamo veramente, noi, delle piante? Ci siamo informati sui loro progetti per il futuro? E se il regno vegetale aspirasse a raggiungere il livello del regno animale?

Gli animali, sotto pressione, cercheranno di migrare nel dominio dell’uomo. Ma al gioco dell’evoluzione non c’è mai fine.

«Se gli animali invadono il dominio umano e le piante quello animale, - essa si chiede, - chi occuperà il regno vegetale?»

In montagna la maestra Santoni trova la risposta.

Osserva, sorride, torna ad osservare. Da una roccia sbocciano fiori di rododendro, mughetti da un’altra, da una terza violette di montagna. Direttamente dalla pietra, senza il soccorso, di radici, com’è facile constatare, senza il supporto di rami, foglie, eccetera. Le rocce stanno fiorendo. Sì, esse stanno entrando di pieno diritto nel regno vegetale.

È chiaro, dunque il gioco dei quattro cantoni è il gioco dell’evoluzione.

«E noi? – si chiede trepidando la maestra Santoni. – E noi, dove andiamo? Dico noi uomini, intendendo per uomini, si capisce, anche le donne, di cui si occupano tanto poco le definizioni scientifiche ...

La risposta è scontata. Noi stiamo organizzando questo gioco dei quattro cantoni. Noi stiamo tornando indietro, nel rettangolo dell’evoluzione.

Facendosi coraggio, la maestra Santoni osserva se stessa, cominciando dalle unghia. E non si sorprende affatto, date le premesse della sua osservazione, e l’ipotesi che campeggia sullo sfondo, di scoprirsi un’unghia che basta un’occhiata a descrivere e classificare, a un occhio non ignaro di mineralogia come il suo: si tratta di pura ematite ottaedrica. […] «Mi sto, - conclude la maestra Santoni, - mineralizzando, come era logico.»

«La natura […] è in preda a un totale rivoluzionamento di ruoli. Il regno minerale trapassa nel vegetale, questo diventa animale, quest’ultimo si umanizza e agli uomini non rimane, come sta in effetti accadendo, che occupare il mondo delle pietre e dei cristalli. Si verifica qualcosa di paragonabile a un universale gioco dei quattro cantoni. Il cosmo rivela, con tutto il rispetto, la sua sostanza ludica».

La maestra comunica al ministero quanto ha scoperto. Ma il capo di gabinetto del ministro è scettico.

«Gentile signora, - egli scrive - per fare il gioco dei quattro cantoni bisogna essere in cinque. Nella sua ipotesi sono presenti, al momento, solo quattro giocatori. Chi sarebbe il quinto?»

Già chi sarebbe il quinto? Anche la vedova Santoni se lo chiede.

Anch’essa si chiede chi farà da quinto nel gioco? Il buon Dio? I marziani? Una forma di vita sconosciuta alla biologia terrestre? Esseri di pura energia? L’antimateria?

La conclusione è

La maestra Santoni allinea diligentemente i punti interrogativi e si ricorda sorridendo di tutte le volte che i suoi scolari hanno usato il punto esclamativo in luogo dell’interrogativo e viceversa, chiudendo magari la loro composizione, anziché con il dovuto punto, con una virgola sospesa sull’abisso, così: ,

Anche quella umana, specie tra le specie evolve. Ancora una volta la spiegazione è nel Libro dei perché.

Perché nel mondo ci sono tante razze e di tanti colori?

Con precisione credo che non lo sappia nessuno. In gran parte le differenze di colore tra gli uomini dipendono dalla diversità degli ambienti in cui i gruppi umani si sono sviluppati, adattandosi ai diversi climi, alle diverse condizioni di vita. Sono differenze che sono nate e si sono formate durante centinaia di migliaia di anni: una storia che non è ancora stata scritta.

Ma il colore della pelle è un particolare secondario: l’importante è che siamo tutti uomini, pensiamo, amiamo, lavoriamo e vogliamo vivere una vita più felice.

 

            È vero che di fuori

            gli uomini sono di tanti colori:

            neri, bianchi, gialli, così così.

            Ma dentro siamo uguali

            come tanti gemelli,

            da Pechino a Canicattì

            siamo tutti fratelli

            tranne pochi elementi

            che sono parenti

            solo al portafoglio;

            cognati e cugini

            soltanto dei loro quattrini.

Oggi sulla storia dell’uomo sappiamo un po’ di più. La diffusione sul pianeta dell’uomo africano (Homo sapiens) è avvenuta negli ultimi centomila anni o giù di lì e così anche la caratterizzazione pigmentata della pelle. Ma per il resto Rodari ci spiega bene l’evoluzione della nostra specie. Che non ha razze.

Ma nella struttura della teoria dell’evoluzione biologica c’è spazio per il tempo ciclico? Certo che sì, risponderebbe Rodari. 

A rigore, diranno i più pignoli tra voi, si possono distinguere diversi tipi di cicli biologici. C’è quello del singolo individuo, chiamato “ciclo ontogenetico”. C’è quello della specie, chiamato “ciclo metagenetico”. Ci sono, ancora, i cicli biologici degli svariati elementi che fanno parte della chimica della vita: il ciclo del carbonio, il ciclo dell’azoto e così via.

In Che cosa ci vuole, una delle Filastrocche in cielo e in terra, Gianni Rodari di propone il poetico ciclo ontologico di un albero.

Per fare un tavolo 

ci vuole il legno, per fare il legno 

ci vuole l'albero, per fare l'albero 

ci vuole il seme, per fare il seme 

ci vuole il frutto, per fare il frutto 

ci vuole il fiore: per fare un tavolo 

ci vuole un fiore.

La filastrocca è poi diventata una famosissima canzone proposta da quel poeta della musica leggera che era Sergio Endrigo.

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