CULTURA

Rispondere alla pandemia con la cultura: i Macchiaioli in mostra a Padova

Tra le vittime della pandemia c’è anche la cultura: musei, cinema e teatri sono stati letteralmente falcidiati dalla paura e dalle misure prese in questi mesi. Stessa sorte che purtroppo è toccata anche alle mostre, su cui Padova negli ultimi tempi aveva puntato per affermarsi a livello nazionale come città di cultura. Eppure c’è chi ha ancora voglia di reagire anche adesso che i bollettini tornano a volgere al peggio: quasi a riaffermare che arte e cultura non sono sacrificabili.

Viene lanciata in quest’ottica (in attesa di conoscere i prossimi interventi del governo) I Macchiaioli. Capolavori dell’Italia che risorge, a Palazzo Zabarella fino al 18 aprile 2021. Il percorso, curato da Giuliano Matteucci e Fernando Mazzocca, conta oltre 100 dipinti del movimento più noto e innovativo dell’Ottocento italiano: dai classici Giovanni Fattori (presente con 21 opere), Silvestro Lega (19), Telemaco Signorini (17) e Giovanni Boldini (4) ai meno noti – ma spesso non meno emozionanti – Adriano Cecioni, Odoardo Borrani, Raffaello Sernesi e Vincenzo Cabianca. Non a caso a rappresentare l’evento è stata scelta proprio una tela del veronese Cabianca (Al Sole, 1866), in cui le figure di tre donne si stagliano monumentali contro un basso muro bianco che trascolora nel cielo estivo: opera che come la maggior parte delle altre presenti appartiene a una collezione privata e che qui si ha la preziosa opportunità di vedere esposta in pubblico. Altre vengono dagli Uffizi, in particolare dalla Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti, come il magnetico Ritratto della signora Morrocchi di Antonio Puccinelli (1859), e dall’Istituto Matteucci di Viareggio, mentre una sezione apposita è dedicata alla collezione Angiolini di Viareggio.

Sviluppatasi soprattutto in Toscana tra gli anni Cinquanta e Settanta dell’Ottocento, la Macchia negli anni si è progressivamente emancipata da una lettura superficiale che la associava a una sorta di “impressionismo minore”, provinciale e agreste, e i suoi autori hanno iniziato ad essere pienamente apprezzati anche a livello internazionale nel loro ruolo di precursori, che per certi versi anticiparono tendenze presenti in Monet, van Gogh e Gauguin. A cominciare dall’attenzione ai temi della quotidianità, così come alla luce e al colore, così come percepiti e rappresentati dall’artista nella sua visione soggettiva, superando le strettoie e i limiti dell’accademia.

L’eleganza dell’allestimento, da sempre uno dei punti di forza degli eventi organizzati Palazzo Zabarella, si sposa con il rigore scientifico che ricostruisce con dovizia filologica gli ambienti dove nacque il movimento artistico – a cominciare dal mitico caffè Michelangiolo di Firenze –, i collezionisti e i mecenati che lo protessero, i critici che per primi lo svezzarono e lo posero all’attenzione. Figure determinanti come quelle di Rinaldo Cornielo, scultore di origine veneta trapiantato a Firenze e tra i primi estimatori della nuova forma, e soprattutto Diego Martelli, presente all’inizio del percorso nel bel ritratto di Federico Zandomeneghi. Martelli in particolare fu impareggiabile non solo nel farsi alfiere ed esegeta del movimento, ma anche nel favorire nella tenuta di Castiglioncello quel cenacolo di artisti che sarebbe stato determinante per il suo sviluppo: fulgido esempio di quella che Roberto Longhi definì critica “in atto”, che con le sue scelte cercava di comprendere e consacrare artisti meritevoli e innovativi. A fare da contraltare, ritratto dal postmacchiaiolo Oscar Ghiglia, c’è il genio di Ugo Ojetti, destinato a fare da collegamento l’antico collezionismo e quello del Novecento.

La mostra ricostruisce quelle “tante quadrerie private e raccolte toscane” grazie alle quali, secondo Emilio Cecchi, “soprattutto a Firenze, sin verso il 1930, i Macchiaioli potevano essere ancora assai comodamente studiati”. Un patrimonio, lamentava il critico fiorentino, in seguito disperso soprattutto nelle collezioni del Nord imprenditoriale, rendendo così sempre più problematica la reperibilità delle opere e la possibilità di studiarle. Oggi quell’ambiente culturale e quell’epoca appaiono miracolosamente – ancorché temporaneamente – rievocati sulla scia di un progetto culturale perseguito nell’ultimo quindicennio dalla Fondazione Bano: fin dalla prima mostra dedicata ai Macchiaioli nel 2003, cui seguirono quelle su Giovanni Boldini nel 2005 e Telemaco Signorini nel 2009. 

Passeggiando tra le sale e soffermandosi sui ritratti, le marine e i paesaggi increspati dai magnifici giochi di luce, si ha l’impressione di rivivere l’Italia degli entusiasmi postunitari: forse più ingenua ma anche più vitale e meno disillusa, ancora influenzata dagli ideali del Risorgimento a cui molti artisti presenti in mostra avevano preso parte in prima persona. Allora anche la visita a una mostra si può rivelare – secondo le intenzioni di organizzatori e curatori – un augurio di fiducia e e uno stimolo verso il riscatto, oggi più che mai opportuni.


I Macchiaioli. Capolavori dell’Italia che risorge

Fino al 18 aprile 2021 a Palazzo Zabarella, Padova

www.zabarella.it/mostre/i-macchiaioli-2020

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