CULTURA

Marco Balzano vince il Rigoni Stern

In epigrafe la frase di Montale "una storia non dura che nella cenere", il romanzo Resto qui di Marco Balzano (Einaudi, 2018) si aggiudica il Premio Mario Rigoni Stern, alla nona edizione quest'anno, raccontando una storia poco conosciuta con il fascino e l'irrequietezza della tragedia che poteva essere evitata ma non lo fu. Un Vajont voluto dall'uomo.

Al lago di Resia ci siamo stati quasi tutti, lassù, nel nord del Paese, dove non si parlava l'italiano perché Italia non era, e dove, come in altri luoghi, la vita era inestricabilmente legata alla natura, per chiunque. Così quando arriva l'invasore, cambia i toponimi e persino le scritte sulle lapidi dei cimiteri, impedisce che si faccia scuola nella lingua  madre di chi lì ci vive, fino a decidere che "per il progresso" si debba allagare il paese e costruire una diga con relativo bacino artificiale: elettricità per l'Italia, e guadagni per la Montecatini.

Ecco: chi ci pensa, vedendo il campanile svettare dalle acque, che quella non è Alleghe, dove il lago si è formato a seguito di una frana e che se c'è un paese sommerso, ciò non è dovuto a una disgrazia, ma il frutto di una programmatica azione dell'uomo?

Marco Balzano questo racconta, immedesimandosi in Trina, maestra sudtirolese costretta a insegnare di nascosto, e in suo marito, disertore. Fuggono tra le montagne, soli, perché i figli altro hanno preferito o dovuto fare, e presto imparano la dura legge della natura, e infine quella ancora peggiore dell'uomo. Ad attenderli al ritorno, infatti, l'acqua dell'invaso che sale di centimetro in centimetro, pronta a erodere quell'unica certezza che ciascuno merita di avere: un luogo dove stare.

La giuria del Premio, composta da Ilvo Diamanti, Marco Albino Ferrari, Paola Maria Filippi, Mario Isnenghi e Daniele Jalla, col coordinamento di Margherita Detomas, ha deciso di premiare l'autore milanese, già Premio Campiello nel 2015 con L'ultimo arrivato, che ha fatto sua una storia di pochi eppure universale: "In un lungo racconto, che è anche uno spaccato di storia" – scrivono – "l’autore ricostruisce, con scrittura densa e fluida al tempo stesso, una pagina controversa e difficile della storia altoatesina/sudtirolese. L’acqua che sommerge il paese di Curon Venosta/Graun im Vinschgau all’estremo nord d’Italia è una metafora delle decisioni politiche dei regimi fascista e nazista che travolgono una intera comunità creando insanabili fratture in un tessuto familiare e sociale che faticherà decenni a ritrovare una nuova coesione. L’esplicita volontà dell’autore di realizzare un’opera di finzione, a cui la cronaca fornisce le coordinate per una storia più intima e personale, fa sì che il romanzo si legga con grande partecipazione ed empatia".

La letteratura serve anche a questo, soprattutto a questo.

Una storia non dura che nella cenere Eugenio Montale

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