MONDO SALUTE
Medicina a Padova nei secoli: Domenico Guglielmini, fiumi come esseri viventi
Ritratto a mezzo busto di Domenico Guglielmini, stampa (acquaforte e bulino); incisore: Francesco Rosapina (1762-1841). Biblioteca Pinali antica, ritratti di medici
I contributi di Domenico Guglielmini in campo medico, a cavallo tra Seicento e Settecento, furono innovativi e originali. Nato il 27 settembre del 1655 a Bologna, apprese l’anatomia, la biologia e le tecniche d’uso del microscopio da Marcello Malpighi, ma fu anche introdotto alla matematica, alle scienze fisiche e all’astronomia da Geminiano Montanari. Si laureò in medicina nel 1678 e l’anno successivo gli fu concessa la lettura onoraria di matematica, ovvero senza stipendio.
Guglielmini non operò solo nel campo degli studi medici. Compì ricerche astronomiche, sulla formazione delle comete tramite moti vorticosi della materia celeste (De cometarum natura et ortu epistolica dissertatio, Bologna 1681). Diede raffinati contributi alle scienze chimiche: fu tra i primi infatti a interessarsi alla cristallizzazione dei sali. Al microscopio misurò gli angoli, costanti, costituiti dalle facce dei cristalli, la cui formazione dipendeva dall’aggregazione di particelle primigenie aventi la medesima forma (De salibus dissertatio, Venezia 1705).
La sua opera più importante e apprezzata, che ebbe otto riedizioni, riguardò gli studi di idraulica e fu pubblicata a Bologna nel 1697, con il titolo Della natura de’ fiumi, trattato fisico-matematico. Con questo lavoro Guglielmini si ascrisse a pioniere nello studio della meccanica dei fluidi, che poi avrebbe applicato alle ricerche sul corpo umano.
Il trattato venne accolto come un modello del primato italiano nell’idraulica e divenne un classico dell’ingegneria. Ma Guglielmini lo aveva concepito come un testo di fisica, di nuova fisica, un’estensione della scienza del moto galileiano in un contesto, quello fluviale, che teneva insieme elementi matematici e naturalistici, risalendo alle cause e alle regole che governano il comportamento dei fluidi e definendo i contorni di una vera e propria scienza delle acque.
Il denominatore comune dei suoi interessi era la costante ricerca delle cause dei fenomeni, animati e inanimati. La sua indagine travalicava i confini disciplinari che oggi conosciamo. Nella sua introduzione al volume del 1690 sulla “misura delle acque correnti” (Aquarum fluentium mensura nova methodo inquisita) è presente un vastissimo programma di ricerca, che va dal moto dell’acqua nei fiumi fino a quello dei fluidi nei vasi sanguigni. Secondo Guglielmini, lo studio del “corpo idraulico” e del “corpo umano” doveva avvalersi degli stessi metodi, che collegavano quindi tra loro i settori di ricerca. Nessuna delle scienze fisiche, tra le quali includeva la medicina, poteva essere affrontata prescindendo dalla meccanica, dalla geometria e dall’aritmetica.
Dal 1690 affiancò all’attività accademica di professore di matematica all’Università di Bologna quella di sovraintendente delle Acque del bolognese, ruolo che nel 1686 il Senato di Bologna gli aveva conferito per ripristinare la navigazione tra questa città e Ferrara. Nel 1694 gli venne assegnata sempre dallo stesso ateneo anche la prima cattedra di idrometria in Europa.
Uno scritto del 1691 (Aquarum fluentium mensura) recensito dagli Acta eruditorum Lipsiae attirò l’attenzione di Leibniz, con il quale iniziò un carteggio, protrattosi negli anni successivi. I due si incontrarono a Bologna nel dicembre 1689, quando Leibniz visitò Malpighi. Di particolare interesse fu il loro confronto sull’applicabilità dei teoremi fisico-matematici alla fisiologia (la cosiddetta “medicina razionale”), dunque sulla validità del modello meccanicistico nell’ambito delle “scienze della vita”. La medicina è una disciplina complessa, ma se potessero essere note tutte le infinite variabili che compongono un fenomeno organico, spiegava Guglielmini, sarebbe in grado di produrre conclusioni certe come avviene nello studio del moto dei gravi.
Aiutò Gian Domenico Cassini, direttore dell’Osservatorio reale di Parigi, a perfezionare la meridiana costruita quarant’anni prima nella Chiesa di S. Petronio. La conoscenza di Cassini gli valse l’accesso a due importanti istituzioni scientifiche: nel 1696 fu ammesso all’Académie royale des sciences di Parigi e, l’anno successivo, alla Royal Society di Londra. Dedicò proprio a Jean Paul Bignon, presidente dell’accademia parigina, il trattato fisico-matematico sulla natura dei fiumi del 1697.
Il successo di questo lavoro gli valse, nel 1698, la chiamata all’Università di Padova per occupare la cattedra di matematica e astronomia, lasciata vacante dalla morte di Stefano degli Angeli. Parallelamente conservava anche il ruolo di professore a Bologna. La Repubblica di Venezia gli avrebbe affidato diversi incarichi: nel 1700 sarebbe toccato a lui sovraintendere al restauro delle fortificazioni di Castelnuovo nel golfo di Cattaro in Dalmazia, città dell’attuale Montenegro.
Frontespizio dell'opera del 1701 De sanguinis natura et constitutione. Biblioteca universitaria (A.95.a.134.3). Frontespizio dell'opera del 1697 Della natura de' fiumi, trattato fisico-matematico. Biblioteca universitaria (A.81.a.56)
Il progetto di applicare le teorie idrauliche alla medicina prese forma definitiva nel trattato sulla natura del sangue, De sanguinis natura et constitutione, pubblicato a Venezia nel 1701. Guglielmini prese in prestito i principi di meccanica corpuscolare, già studiati nei sali in chimica e in idraulica, e li traspose in medicina per studiare i meccanismi di coagulo: spiegò il fenomeno con l’interazione tra i globuli rossi e la fibrina, una proteina che forma una sorta di rete, assieme alle piastrine, sopra le ferite, e che oggi sappiamo essere implicata nelle trombosi e nelle emorragie.
Nel 1702 ottenne la cattedra di medicina teorica a Padova. Succedette a Pompeo Sacchi, e mantenne l’insegnamento di matematica. Nell’orazione inaugurale tenuta a Padova il 2 maggio 1702 (Pro theorica medica adversus empiricam sectam praelectio) si pronunciò in favore di una “scienza integrata dell’uomo”, una concezione interdisciplinare del corpo umano (derivata dal maestro Malpighi) da cui si sarebbero dovuti trarre i principi della pratica medica.
Il prestigio ottenuto dall’assegnazione di una delle cattedre più importanti dell’ateneo patavino gli permise di condurre la sua battaglia in favore della medicina razionale, contrapposta a quella galenica ancora in voga a Padova (e nella maggior parte delle università europee).
Diede spazio al giovane anatomista Morgagni, che da Guglielmini derivò parte delle sue teorie: la composizione chimica, salina, dei fluidi corporei poteva irritare il cuore e stimolare la contrazione dei vasi. Morgagni redasse anche una biografia del maestro, uscita nel 1715 a Norimberga sulle Ephemerides dell’Accademia Cesarea Leopoldina (mentre un’altra biografia di Guglielmini fu curata da Apostolo Zeno). Morgagni e Guglielmini si erano conosciuti di persona nel 1706 e da lì in avanti avevano stabilito una stretta amicizia. Nel campo dell’anatomia, Guglielmini si espresse in favore della ricerca delle cause delle malattie, approccio che trovò compiuta realizzazione proprio nel De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis di Morgagni. Guglielmini fu anche sostenitore della “iatromeccanica”, concezione che spiegava le patologie sulla base d’un disturbo della circolazione dei fluidi, e del sangue in particolare, all’interno del sistema idraulico del corpo.
Nel 1707 venne dato alle stampe a Venezia il Symposium medicum, sive quaestio convivalis de usu mathematum in arte medica, scritto che ribadiva la centralità dell’approccio razionale e dell’uso della matematica in medicina. L’opera, pubblicata sotto lo pseudonimo di Josephus Donzelinus, nella biografia curata da Morgani, veniva attribuita proprio a Guglielmini.
È dello stesso anno la Exercitatio de idearum vitiis, stampata a Padova e poi a Leida nel 1709, un’opera di semiologia e semeiotica in cui Guglielmini esortava i medici moderni a elaborare una nuova classificazione delle malattie in modo analogo a quanto facevano i botanici per la classificazione delle piante. Delineava così un’idea di salute come risultante di tutte le proprietà non solo del corpo umano, ma anche di animali, piante, oggetti inanimati, quali fiumi o macchine.
La figura di Guglielmini fu di particolare rilievo per la scienza italiana tra Sei e Settecento: non solo promosse il dialogo tra alcune delle più eminenti personalità scientifiche nazionali ed europee (come Leibniz, per esempio), ma anche influenzò medici e ricercatori che vennero dopo di lui e fu punto nodale tra mondo universitario, magistrature tecniche e patriziato illuminato.
La malattia che uccise Domenico Guglielmini iniziò a manifestarsi nel 1709 con vertigini, convulsioni e stati confusionali che lo obbligarono a sospendere le lezioni universitarie. Morì nel 1710 per emorragia cerebrale, a 54 anni. La sua Opera omnia mathematica, hydraulica, medica et physica fu pubblicata postuma, in due volumi, a Ginevra, nel 1719.
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