Giovanni Verga con Luigi Capuana. Foto: Archivio GBB/Contrasto
27 gennaio 2022: sono passati cento anni dalla morte di Giovanni Verga, il padre del verismo.
Dalla Sicilia in su, sono previsti vari eventi celebrativi, tra cui anche l'emissione di un francobollo commemorativo.
Eppure, anche se nessuno ha mai negato la portata rivoluzionaria del verismo nella letteratura italiana, Verga è un autore che in vita non ha riscosso il successo che meritava, anche se non gli mancarono gli estimatori nell'ambiente culturale dell'epoca.
A fronte di una copiosa e varia produzione letteraria, è ricordato dai più per le opere che si studiano a scuola: Rosso Malpelo e I Malavoglia, da cui tra l'altro si è fatto ispirare Luchino Visconti per il suo film La terra trema.
A pensarci bene, però, di questi tempi Verga è un autore che potrebbe rivelarsi molto vicino alla nostra sensibilità: in fondo rappresentava nelle sue opere una società che viveva una profonda crisi dei valori, in cui la solidarietà non era vista come un'opzione possibile e in cui i più deboli venivano invariabilmente lasciati indietro.
Certo, oggi come oggi ci sono persone e associazioni che si occupano della difesa delle minoranze, cosa che ai tempi dei Malavoglia mancava, ma poi nella pratica la situazione effettiva non cambia di molto: i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri non rimane che lottare. Vanamente nella maggior parte dei casi.
Ma è stato proprio il pessimismo radicale di Verga a renderlo poco appetibile agli occhi dei lettori o c'è qualcos'altro?
Per comprendere meglio le ragioni del suo parziale insuccesso, ma anche per riscoprire quello che Giovanni Verga può ancora dare ai lettori di questo secolo, abbiamo intervistato Emanuele Zinato, critico letterario e docente di letteratura italiana contemporanea all'università di Padova.
Montaggio di Elisa Speronello
Giovanni Verga è un autore profondamente radicato nel suo tempo, ma che riesce a essere, nel contempo, molto attuale. La sua modernità emerge sia dai temi che dalla forma, anche se rimane un sostrato di tradizione: da una parte ci sono le storie ambientate nel suo paese d'origine, la Sicilia e in particolare Catania, ma dall'altra c'è la vivacità intellettuale di Milano, che lo ha portato a quella che è a tutti gli effetti una rivoluzione letteraria: "La sua scrittura matura - spiega Zinato - non è pensabile se non consideriamo Milano, che nel secondo Ottocento era il cuore pulsante della modernità italiana. E proprio a Milano lui discuteva con Capuana di come realizzare un romanzo davvero sperimentale, come stava accadendo in Francia con Zola e Maupassant, nonostante il contesto arretrato dell'epoca".
Le opere mature di Verga, quindi, sono frutto di queste due tendenze opposte che si integrano a vicenda in modo estremamente efficace: l'ambientazione rurale della Sicilia della giovinezza va a esaltare la modernità stilistica resa possibile dal dibattito intellettuale milanese, che aveva cominciato a nutrire le formidabili intuizioni dell'autore.
Paradossalmente è stata proprio la modernità a ostacolare il suo successo, perché, spiega Zinato, il grande pubblico era abituato a personaggi facilmente incasellabili, mentre i suoi erano molto più complessi e ambivalenti: i Malavoglia, così come Mastro-don Gesualdo mal si adattavano alle mode dell'epoca, che non prevedevano personaggi sfaccettati nella loro psicologia. Anche gli intrecci verghiani mancavano di tutti quegli stereotipi che avevano fatto grande una certa narrativa, presto dimenticata, come quella ispirata allo stile di D'Annunzio. Per non parlare, poi, dell'eclisse del narratore, che mandava in crisi quello che era sempre stato un punto fermo per i lettori.
Al di là del grande pubblico, comunque, Verga ha influenzato anche autori successivi, come Pirandello, che non a caso nel 1920 a Catania ha pronunciato un discorso in suo onore, ma anche Calvino, che ne Il sentiero dei nidi di ragno dichiara il suo debito nei suoi confronti. I grandi scrittori, infatti, sono quelli che sono stati maggiormente in grado di apprezzarlo, a differenza della critica: "Benedetto Croce - conferma Zinato - che era il principale critico letterario e filosofo del primo Novecento italiano certamente canonizza Verga, ma lo fa attenuando proprio gli elementi più innovativi e perturbanti della sua scrittura".
Anche alla luce di questo, l'anniversario della morte potrebbe essere una buona scusa per avvicinarci a un autore che ha ancora molto da dare a noi lettori del 2022, che siamo in qualche modo più attrezzati per apprezzare quelle dinamiche non scontate che abbiamo visto. "In Verga - spiega Zinato - ci sono tre elementi riconoscibili e attualizzabili. Uno riguarda la lotta per la vita, che era tanto forte a fine Ottocento nel mondo arcaico siciliano quanto lo è oggi nel mondo globalizzato, che è fondato su una lotta all'ultimo sangue per il dominio economico dell'uomo sull'uomo. Poi c'è la capacità della grande letteratura di dare voce non solo in maniera manichea o stereotipata al rapporto complesso tra vittime e carnefici. Verga lo fa eliminando ogni intento moralistico, mettendo in evidenza questo rapporto in maniera verista, ma verista attualizzata. Infine c'è l'impasto dialettale e la valorizzazione dei dialetti a contatto con l'italiano".
Per tutte le ragioni che abbiamo visto, Verga è un autore meno facile di altri, ma affrontarlo senza pregiudizi varrebbe il piccolo sacrificio, a partire dalla scuola dell'obbligo. "Pensiamo a quello che succede a scuola - conclude Zinato - quando l'insegnante storicizza Rosso Malpelo mettendolo in relazione con l'arcaico mondo meridionale post unitario, e lo studente lo sente lontano. In realtà Verga scrive di quel mondo con una lente moderna, perché è a Milano mentre concepisce il verismo e Milano è la città delle banche e delle imprese industriali; quindi quando lui mette in scena un personaggio emarginato e perturbante come Rosso Malpelo non intende soltanto rappresentare l'arretratezza meridionale, ma vuole anche realizzare un'estrema modernità di scelte stilistiche. Malpelo non è soltanto storicamente un lavoratore di una cava sulle pendici del vulcano siciliano, ma è anche, per molti aspetti, un personaggio paradossale che ci mostra la fragilità della vita umana, che ci mostra i limiti della soglia tra la vita e la morte. Il suo mondo è un mondo demoniaco, un mondo sotterraneo. È una sorta di inferno terrestre che ha qualcosa di archetipico e valido per ogni epoca e abbiamo un tema, quello del lavoro minorile, che non è soltanto di pertinenza storica, ma è anche soprastorico: possiamo riconoscere elementi attuali non solo sociali, ma anche dell'immaginario antropologico".