SOCIETÀ

Nucleare, le tensioni con Iran e Medio Oriente

L’accordo con l’Iran sulla questione nucleare, noto come Joint Comprehensive Plan Of Action (JPCOA) è stato sottoscritto da USA, Russia, Cina, Regno Unito, Francia, Germania e dall’Unione Europea. È entrato in vigore nel 2015. Non si è scelto di definire il JCPOA un “trattato” per evitare complessi problemi di ratifica, specialmente per quanto riguarda gli Stati Uniti. Vediamo in estrema sintesi alcuni aspetti dell’accordo:

  1. L’accordo impone all’Iran vincoli sull’attività nucleare civile che non vengono imposti a nessun altro paese: limiti sul numero di centrifughe per l’arricchimento dell’uranio, limiti sul quantitativo di uranio arricchito a disposizione, massimo arricchimento consentito dell’uranio (3,67% di U-235), limitazione del numero di centrifughe per l’arricchimento (con collocazione delle centrifughe in eccesso in depositi controllati dalla IAEA - l’agenzia di Vienna per l’energia atomica), trasformazione del reattore ad acqua pesante di Arak per limitare drasticamente la produzione di plutonio, proibizione del riprocessamento per estrarre plutonio dal combustibile nucleare utilizzato, ecc. 
  2. Inoltre l’Iran si impegna a rendere operativo fin da subito il protocollo addizionale con la IAEA, e a consentire in ogni caso un accesso del tutto straordinario agli ispettori della IAEA .
  3. Le limitazioni imposte all’Iran dal JCPOA hanno una durata lunga (10-15-20 anni).
  4. Per un paese con una grande sensibilità nazionalistica come l’Iran, l’avere accettato limitazioni estreme e non applicate a nessun altro paese, può essere solo giustificato da un beneficio tangibile per le condizioni economiche e per i rapporti finanziari e commerciali del paese. L’accordo JCPOA infatti prevede l’eliminazione (progressiva) delle sanzioni commerciali e finanziarie imposte all’Iran.
  5. Il JCPOA non prevede alcuna limitazione ai progetti missilistici dell’Iran, né tantomeno discute la politica estera, compresa la politica iraniana nel Medio Oriente. È un accordo che limita pesantemente le possibilità iraniane di costruire armi nucleari.

Ora è necessaria una riflessione sull’efficacia delle limitazioni imposte dal JCPOA per prevenire la costruzione di armi nucleari iraniane. La separazione tra attività nucleari civili e attività nucleari militari non è assolutamente rigida. Ad esempio il lavoro richiesto per arricchire l’uranio al 3,67% è circa la metà del lavoro necessario per arricchire l’uranio al 90% ed oltre. La costruzione di una bomba nucleare “semplice” non richiede particolari conoscenze tecniche, solo la disponibilità di uranio arricchito al 90% o di plutonio.  Per avere un programma nucleare civile ampio occorre avere a disposizione molte centrifughe per l’arricchimento, mentre per costruire alcune bombe bastano relativamente poche centrifughe. È quindi il JCPOA irrilevante per impedire al costruzione di bombe? Assolutamente no! Perché l’elemento essenziale per impedire la dimensione militare delle attività nucleari è il controllo internazionale. Alla IAEA nel JCPOA vengono assegnati poteri di controllo molto forti. Se questi poteri venissero seriamente indeboliti, allora il JCPOA verrebbe svuotato di significato, perché nulla impedirebbe all’Iran di costruire laboratori segreti per l’arricchimento dell’uranio oltre I limiti fissati dal JCPOA. Esiste però in vari ambienti  la convinzione che i vincoli tecnici imposti siano “insufficienti” per prevenire l’acquisizione di armi nucleari iraniane. Questa convinzione è chiaramente falsa: il JCPOA con il controllo previsto da parte della IAEA è assolutamente in grado di prevenire la costruzione di una bomba nucleare iraniana. Si noti che l’IAEA ha finora sempre certificato il rispetto letterale da parte dell’Iran delle condizioni imposte dal JCPOA. D’altra parte in medio oriente sono già presenti bombe nucleari (quelle israeliane soprattutto, ma anche  le bombe nucleari americane a Incirlik in Turchia). Inoltre vi sono paesi come l’Arabia Saudita, che sarà coinvolta in una cooperazione nucleare con gli Stati Uniti, che non hanno sottoscritto il protocollo addizionale con la IAEA. Questo sottolinea il carattere “eccezionale” delle limitazioni imposte dal JCPOA all’Iran.

Di fronte ad un eventuale collasso del JCPOA ci saranno forti incentivi che potrebbero spingere l’Iran a una ripresa di fatto del programma nucleare militare. In ogni caso la reazione iraniana ad un eventuale collasso del JCPOA sarà probabilmente dura, anche perché il governo che ha sostenuto fortemente il JCPOA, si troverebbe senza prospettive di fronte ad una crescente crisi economica del paese.

Lo smantellamento del JCPOA

Lo scorso maggio il presidente Trump ha deciso la fuoriuscita degli Stati Uniti dal JCPOA, la reinstallazione delle sanzioni che erano state abolite o in via di abolizione secondo l’accordo stesso. Inoltre Trump sta programmando un blocco sostanziale dell’esportazione del petrolio iraniano (e forse anche del gas naturale iraniano). Ma gli Stati Uniti non sono certo gli unici firmatari con l’Iran del JCPOA. I paesi dell’Unione Europea cofirmatari dell’accordo, la Russia e la Cina non hanno intenzione di abbandonare l’accordo e di reinstallare le sanzioni contro l’Iran. Il problema principale in questo contesto sono le cosiddette sanzioni secondarie. Gli Stati Uniti possono imporre sanzioni e varie forme di pressioni economiche (e non) contro stati, società o enti che non rispettino le sanzioni  americane. In questo modo possono scoraggiare pesantemente le società che lavorano sia con l’Iran che con gli Stati Uniti. 

Può l’Unione Europea in particolare difendere la validità del JCPOA cercando di resistere alle pressioni americane? La questione è da capire anche se un certo pessimismo è d’obbligo. C’è innanzitutto una determinazione politica da verificare. È l’Unione Europea in condizione di contrastare gli Stati Uniti, convinta che una crisi del JCPOA potrebbe generare crisi molto pericolose nel medio oriente? L’Unione Europea è in grado di prendere appropriate contromisure, come ad esempio promuovere il ruolo delle Banche centrali nelle transazioni finanziarie-commerciali con l’Iran, tenendo conto che le banche centrali sono – sembra -  meno condizionabili da sanzioni (secondarie)? La Russia non sembra essere in grado di contrastare efficacemente le scelte americane. Anche nel caso della Cina il pessimismo è d’obbligo. Ci sono certamente molte cose da comprendere, ma sembra che l’abbandono da parte degli Stati Uniti del JCPOA potrebbe implicare la riduzione drastica se non la cessazione degli effetti positivi dell’accordo stesso.  

 Potrebbe il JCPOA essere ridiscusso e “ampliato” in modo da soddisfare le richieste americane? 

La risposta è essenzialmente negativa. Introdurre nuovi vincoli di natura diversa nel JCPOA,  come la limitazione delle attività missilistiche oppure vincoli sulle attività militari iraniane non sarebbe probabilmente accettabile da parte iraniana. Imporre vincoli ancora più forti sulle attività nucleari, oltre a essere irrilevante dal punto di vista del rischio nucleare iraniano, avrebbe il significato di “umiliare” il governo iraniano. Infine cambiamenti cosmetici e sostanzialmente irrilevanti del JCPOA non soddisferebbero assolutamente gli americani e sarebbero comunque visti con diffidenza dagli iraniani. 

Quale potrebbe essere la reazione iraniana di fronte al collasso del JCPOA?  

Innanzitutto l’Iran non si sentirebbe più vincolato dal JCPOA e quindi potrebbe ad esempio:

  1. arricchire l’uranio al 20% (come aveva fatto in precedenza) e anche oltre;
  2. tenersi nel proprio territorio tutto l’uranio arricchito, il combustibile nucleare prodotto e anche il combustibile già utilizzato nelle centrali nucleari;
  3. rimettere in funzione tutte le centrifughe ed acquisire nuove centrifughe di efficienza superiore;
  4. studiare il modo di costruire una bomba ad implosione (e in generale riprendere lo studio dei disegni delle armi nucleari);
  5. abbandonare l’attuazione del protocollo addizionale e porre seri ostacoli alla verifica delle attività nucleari da parte della IAEA.

Le attività indicate sopra non violerebbero comunque gli impegni propri dei paesi membri del TNP (Trattato di Non Proliferazione). Non è escluso poi che l’Iran consideri la possibilità di uscire dal TNP (seguendo il modello della Corea del Nord): una generica dichiarazione di questo tenore è stata fatta anche da Rouhani.  

Oltre alle contromisure nel campo nucleare, l’Iran potrebbe considerare altre iniziative che contribuirebbero in modo grave alla tensione nel medio oriente. Di fronte alla prospettiva del blocco della esportazione del petrolio iraniano, l’Iran ha già ventilato la prospettiva di bloccare il transito del petrolio attraverso lo stretto di Hormuz, che porterebbe al massimo livello la tensione tra Iran e Arabia Saudita (e tra Iran e USA). 

Che iniziative potrebbero prendere gli altri Paesi del medio oriente che si oppongono all’Iran? 

Seguendo l’esempio dell’attacco israeliano a un reattore in costruzione in Siria (settembre 2007), le installazioni nucleari in Iran potrebbero essere attaccate, anche se la risoluzione della assemblea generale della IAEA del 1990 proibisce l’attacco contro installazioni nucleari civili in funzione o in costruzione. Da notare che la convinzione che l’Iran stia muovendosi con determinazione nella direzione di dotarsi di armi nucleari, potrebbe accelerare I tempi di questa iniziativa militare. È evidente però che un attacco alle installazioni nucleari iraniane, troverebbe, a differenza della Siria del 2007, una risposta militare decisa da parte iraniana.

La guerra commerciale sulle limitazioni delle esportazioni di petrolio e gas iraniano potrebbe compiere una escalation sotto la spinta in particolare degli USA. Già Trump ha chiesto all’Arabia Saudita di aumentare la produzione di greggio, in vista di un blocco delle esportazioni del petrolio iraniano. Da notare tra parentesi, per quanto riguarda il gas naturale, che i principali possessori di riserve di gas sono la Russia, l’Iran e il Qatar e i due ultimi paesi hanno rapporti ostili con l’Arabia Saudita.

Le prospettive

I rischi sono abbastanza chiari: rottura del regime di non proliferazione, possibilità di gravi conflitti in medio oriente in aggiunta a quelli esistenti (Siria, Yemen, Palestina, ecc.). La visione del presidente Trump sembra essere quella di promuovere, attraverso l’aggravarsi delle condizioni economiche, una rivoluzione popolare in Iran. Di fronte alla minaccia esterna, molto più probabilmente, una classe politica più conservatrice ed aggressiva si farà strada in Iran, con conseguenze difficili da valutarsi ora, ma certo non portatrici di maggiore “democrazia” nello stesso Iran. 

Cosa si può sperare che avvenga? Innanzitutto ci si può augurare che, con l’esclusione degli Stati Uniti, tutti i paesi firmatari del JCPOA ribadiscano la volontà’ di mantenere il JCPOA in funzione. Perché l’esistenza del JCPOA non sia solo una esistenza “formale”, occorre che i paesi diversi dagli Stati Uniti cerchino in tutti modi possibili, di garantire il più possibile rapporti commerciali e finanziari regolari con l’Iran. In particolare l’Unione Europea deve comprendere che deve mettere in moto politiche di protezione contro le sanzioni secondarie americane. In un quadro di guerre di dazi sempre più accese, bisogna capire che l’impatto del fallimento del JCPOA non è solo un problema commerciale ma un rischio molto serio per l’Europa in termini di possibili conflitti in una zona molto vicina a noi. È anche importante stabilire contatti con chi negli Stati Uniti, verrebbe danneggiato da un blocco dei rapporti commerciali con l’Iran (la Boeing tanto per citare un caso), con chi è contrario in generale ad un uso sconsiderato delle sanzioni commerciali, ecc. L’Iran è in linea di principio interessato a mantenere il JCPOA, assumendo che i rapporti commerciali e finanziari con il “mondo esterno” (senza contare gli Stati Uniti) possano contribuire al miglioramento delle condizioni economiche dell’Iran. Purtoppo, come abbiamo detto più volte, le prospettive ottimistiche non sono garantite.

Paolo Cotta Ramusino è Secretary General of Pugwash Conferences on Science and World Affairs (Nobel Peace Prize 1995)

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