È ormai chiaro che l’obiettivo dell’eliminazione delle armi nucleari si è allontanato dall’orizzonte e appare oggi un’utopica speranza (da mantenere sempre viva!): a parte affermazioni di principio e continui, rinnovati auspici, delle varie proposte per un approccio operativo al disarmo nucleare presentate nel corso degli anni rimane ora solo l’“iniziativa di Stoccolma” stepping stones approach (“pietre per guadare”), che coinvolge 16 paesi guidati da Germania e Svezia ma non ha trovato considerazione da alcuna delle potenze nucleari.
Anche la stagione del controllo degli armamenti nucleari, con la difesa e il rafforzamento dei trattati esistenti, la ricerca di nuovi accordi che costringano a ulteriori riduzioni delle armi e cancellazione di programmi destabilizzanti, e per la prevenzione di nuove corse agli armamenti risulta un “paradigma” di fatto superato, data l’indisponibilità cinese a negoziati sulle forze nucleari, la resistenza di paesi non nucleari e nucleari a vincoli rafforzati per il regime anti-proliferazione e la volontà di Russia e Stati Uniti di garantirsi una piena libertà nelle proprie politiche nucleari.
Conseguentemente, obiettivi meno ambiziosi ma più urgenti diventano di primaria importanza: i lavori più recenti degli studiosi dei problemi delle armi nucleari riguardano l’analisi del rischio dell’impiego, volontario o accidentale, di un’arma nucleare, con l’obiettivo di trovare vie per la sua riduzione. Il “rischio nucleare” sembra diventato appunto il nuovo “paradigma” su cui impegnarsi. A sostegno dell’importanza di queste ricerche è l’opinione diffusa fra gli studiosi che il rischio nucleare si sia andato acutizzando negli ultimi anni fino a raggiungere un livello analogo a quello esistente nei momenti più tesi della guerra fredda.
Naturalmente questo confronto non può essere quantificato, non esistendo una misura per questo rischio, e, d’altra parte, le situazioni attuali sono sostanzialmente differenti rispetto agli anni ‘80. Un aiuto a comprendere gli attuali aspetti del pericolo nucleare sono importanti studi recenti dell’istituto di ricerca per il disarmo delle Nazioni unite (UNIDIR), dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), alcuni lavori specifici per il contesto europeo di The British American Security Information Council (BASIC), gli atti di un convegno sul tema promosso dal Center for Global Security Research di Livermore e un volume di Daedalus dedicato a Meeting the Challenges of a New Nuclear Age.
Se il passaggio dalla ricerca per il disarmo nucleare a quella per la riduzione del rischio di esplosioni nucleari appare una grave e rassegnata rinuncia, dovuta alla tragica realtà delle attuali relazioni internazionali, c’è già chi ritiene che ormai anche questa battaglia sia persa e ci si debba piuttosto preoccupare degli effetti di una guerra nucleare globale e occorra impegnarsi a fare in modo da ridurre le prospettive di un inverno nucleare con i conseguenti danni ambientali e climatici al pianeta; simulazioni con modelli atmosferici avanzati degli effetti climatici di un conflitto nucleare fra Russia e USA con le armi attualmente disponibili secondo il trattato New START presentano prospettive mostruose, con tutto l’emisfero nord per lunghi anni a temperature costantemente sotto zero, anche nei mesi estivi. Secondo questo paradigma di estremo pessimismo si dovrebbe individuare il numero massimo di armi nucleari e il limite della loro potenza che impedirebbe l’inverno nucleare anche se impegnate in una guerra.
La nuova era del rischio
La differenza fondamentale del presente confronto nucleare rispetto alla guerra fredda sta nel superamento dell’ordine bilaterale USA–URSS, sostanzialmente simmetrico per quanto riguardava le strategie, le capacità di attacco e di reazione, la percezione del rischio e l’accettazione di forme di mitigazione del rischio stesso sia con misure informali che accordi legali. A livello globale, la Cina gioca ora un ruolo di co-protagonista accanto a Russia e Stati Uniti, e il confronto nucleare trilaterale presenta relazioni più complesse fra i protagonisti e complica i loro piani e le possibili strategie, generando nuove forme di rischio nucleare.
La diffidenza fra le potenze nucleari, che sta da alcuni anni caratterizzando le loro relazioni, si è ulteriormente accresciuta durante la presente pandemia, non solo per le accuse reciproche sulla responsabilità della pandemia stessa, ma anche perché sono venuti meno tutti i contatti diretti fra le varie sub-comunità internazionali che rendono i rapporti transnazionali fruttuosi a diminuire differenze di vedute e a creare uno spirito di collaborazione su problemi specifici; in particolare sono saltati le conferenze internazionali della varie comunità scientifiche e la stessa attività di ricerca in laboratori internazionali, gli incontri diretti dei diplomatici, dei militari e degli operatori economici nella varie sedi istituzionali, ma anche le attività artistiche, culturali e sportive e il turismo che pongono in contatto diretto le diverse popolazioni.
Ma è cambiata sostanzialmente anche la “geografia” del rischio nucleare: mentre prima il confronto si riduceva al contesto euro-atlantico, sono ora emersi anche altri distinti subsistemi, tutti tipicamente trilaterali e fortemente asimmetrici, con caratteristiche e problematiche specifiche. Sono appunto le asimmetrie presenti a rendere inadeguate le soluzioni messe a punto durante la guerra fredda e ad aggravare conseguentemente il rischio nei vari contesti.
A livello regionale, anche nell’Asia meridionale il grave confronto India–Pakistan deve venir riconsiderato tenendo conto del ruolo della Cina nello scacchiere, delle sue questioni aperte con l’India, in particolare le dispute territoriali sull’Himalaya, e le sue strette relazioni col Pakistan. L’acquisizione da parte indiana di missili in grado di colpire importanti obiettivi cinesi aumenta il rischio nucleare nella regione, come pure le nuove armi pakistane per il diretto impiego in battaglia.
Nell’Asia nord-orientale, le relazioni ostili della Corea del Nord con gli USA e i suoi alleati coinvolgono anche gli interessi russi e cinesi in un sistema nucleare quadrilaterale, con rapporti bilaterali estremamente differenti fra i protagonisti e con obiettivi contrastanti, che rendono difficilissima la gestione della presente crisi. Cruciale è il confronto sino-americano sul controllo del Mar cinese meridionale; a metà luglio due squadre navali americane (delle portaerei Nimitz e Reagan) con unità di paesi alleati vi hanno compiuto manovre congiunte, a rifiutare le pretese cinesi su tali acque, mentre è iniziato un “conflitto dei consolati” fra i due paesi, segnale di un’ostilità crescente a ogni livello.
Nel travagliato Medio oriente il rischio nucleare ha un duplice aspetto: da una parte la politica di “opacità nucleare” di Israele che genera incertezza sulla sua precisa strategia e incoraggia nei suoi avversari analisi da caso peggiore con conseguenti strategie militari, dall’altra la presenza attiva nell’area di paesi con armi nucleari a sostegno di gruppi contrapposti di attori locali, con la possibilità di scontri diretti: oltre a Russia e USA, in particolare in Siria, e i stretti rapporti fra Arabia Saudita e Pakistan, anche Francia e Inghilterra sono attive in vari paesi. Di fatto ci sono almeno 41 installazioni militari straniere nella regione, inclusa una base cinese a Gibuti.
Va osservato che se i vari sub-contesti presentano caratteristiche specifiche del rischio nucleare, essi sono comunque correlati fra di loro e sviluppi (negativi o positivi) si riverberano fra uno e l’altro e a livello globale.
Gli studi correnti hanno identificato in generale quattro modalità di rischio nucleare:
• l’impiego dottrinale si riferisce al ricorso all’arma nucleare come indicato nelle politiche dichiarate esplicitamente, principalmente basate sulla ritorsione a fronte di vari tipi di comportamenti avversari; il rischio viene amplificato dalle ambiguità in tali politiche;
• l’uso da escalation è collegato all’aggravamento di una tensione o conflitto in corso e all’introduzione di armi nucleari in tempi di crisi;
• l’uso non autorizzato si riferisce all’impiego senza l’autorizzazione del governo o da parte di attori non statali, o forze deviate;
• l’uso accidentale può avvenire per un errore, un malfunzionamento tecnico o a causa della fallibilità umana.
Di conseguenza, gli approcci alla riduzione del rischio devono individuare le fonti e le condizioni che determinano ciascuno di questi percorsi in modo da trovare forme per minimizzare il rischio complessivo.
Il rischio nucleare nel contesto euro-atlantico
Il contesto euro-atlantico è molto mutato negli ultimi trenta anni, caratterizzato ora dalla permanenza della guerra al suo interno, dal rafforzamento del ruolo delle armi nucleari per la difesa, dalla fine delle politiche di cooperazione con la Russia e la manipolazione del rischio attraverso gli strumenti di comunicazione di massa e social media.
Il contesto di rischio nella regione è al tempo stesso complesso e volatile: instabile a causa di importanti cambiamenti politici in corso e complesso per la diversa natura e i differenti interessi dei molteplici attori presenti, dall’Atlantico fino agli Urali a est, l’Oceano glaciale artico a nord, il Mediterraneo e la Turchia a sud, nonché per i vari livelli di competizione.
Accanto ai singoli stati giocano un ruolo importante, e non sempre coerente e coordinato, strutture multinazionali, come l’Unione Europea, la NATO e l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO) e l’Unione doganale euroasiatica guidate dalla Russia. Coesistono rapporti di confronto/deterrenza nucleare bi-laterali (Regno Unito–Russia, Francia–Russia, NATO–Russia), stati coperti dalla deterrenza estesa degli USA (25 membri della NATO), paesi che partecipano attivamente alla condivisione di armi nucleari (Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia), paesi neutrali e stati che lottano per l’abolizione globale delle armi nucleari (come Austria e Irlanda).
Le percezioni del rischio nucleare degli attori sono asimmetriche a livelli strategici, regionali e sub-regionali, risultato di asimmetrie nelle capacità, errate percezioni riguardo alle reciproche dottrine nucleari e scarsa analisi del rischio, con particolari percezioni di insicurezza nel Caucaso, nella zona baltica (inclusa l’enclave russa di Kaliningrad) e nel contesto del Mar Nero.
L’attuale inasprimento del rischio strategico dipende da diversi fattori, fra di loro concatenati e rafforzati a vicenda; i principali sono:
- le tensioni internazionali e la reciproca diffidenza tra gli attori europei, in particolare gli stati con armi nucleari;
- le presenti dottrine nucleari basate su una “deterrenza” estesa dalla risposta ad attacchi nucleari a reazione a una varietà di ostilità, anche da parte di paesi privi di armi di distruzione di massa, non esclusi attacchi informatici;
- l’assetto nucleare russo e americano finalizzati entrambi di fatto al “controllo dell’escalation” (escalation dominance), ossia la capacità di mantenere la supremazia militare a tutti i livelli del confronto militare, da scontri convenzionali di varia intensità a scambi nucleari di differente potenza;
- l’ambiguità nella politica d’impiego di armi nucleari “tattiche” per operazioni sul campo di battaglia e di nuove armi di teatro continentale;
- l’ulteriore erosione dell’attuale regime di controllo degli armamenti nucleari, vanificato e incompatibile con una strategia basata su escalation dominance;
- aspetti particolari della presente modernizzazione/sviluppo qualitativo degli arsenali nucleari, compresi i sistemi nuovi ed esotici, dai vettori con capacità duali (convenzionali e nucleari) alle armi nucleari di limitata potenza, che abbassano la soglia dell’impiego nucleare, dai sistemi antimissile a testate in grado di raggiungere l’obiettivo con traiettorie non balistiche;
- nuove forme di vettori autonomi con testate che potrebbero compromettere e destabilizzare l’equilibrio strategico, o minarne la fiducia;
- potenziali forme di escalation esacerbate dalla comunanza di sistemi nucleari e convenzionali, in particolare per il comando e controllo;
- contatti ravvicinati e provocazioni reciproche, in particolare navali e aeree;
- forme di guerra non-convenzionale, inclusi attacchi cibernetici alle forze nucleari e azioni contro i satelliti dedicati al loro controllo.
Gli Stati Uniti e la Russia appaiono presi in una spirale crescente confronto che sta portando a una corsa agli armamenti nucleari e rende ogni crisi estremamente più esplosiva.
Se, come sembra, la riduzione del rischio nucleare è il massimo obiettivo che oggi possiamo ragionevolmente perseguire, è necessario esaminare in dettaglio le varie cause e cercare per ciascuna le azioni necessarie a ridurne gli effetti verso uno stato di stabilità a rischio minimo.
Chiaramente, i problemi sono squisitamente di natura politica e possono venir attenuati solo con un cambiamento di atteggiamento fra la Russia e le controparti europee e gli Stati Uniti, basato sulla ripresa del dialogo a tutti i livelli senza precondizioni di sorta, la comprensione delle reciproche percezioni di insicurezza e il riconoscimento del comune rischio nucleare, la sospensione degli sviluppi militari più destabilizzanti. Data l’attuale politica americana di chiusura al dialogo, i singoli paesi europei e la Comunità europea dovrebbero essere protagonisti in quest’opera di alleviamento dell’ostilità e della diffidenza con la Russia.
Compito di tutti coloro che sentino la gravità del rischio nucleare è quindi di fare le necessarie pressioni sui propri governanti per una nuova fase di distensione in Europa e la costruzione di una comune sicurezza.