SCIENZA E RICERCA
Il pericolo dell’inquinamento da plastica: fermarlo è possibile?
Foto: Tim Mossholder/Unsplash
L’uomo – specie che ha fatto della capacità di adattare l’ambiente alle proprie esigenze il segreto del proprio successo evolutivo – è divenuto, nel corso di poche decadi, uno dei principali agenti di modificazione della biosfera. Tra le numerose conseguenze dell’attività umana dell’ultimo secolo, ve n’è una che spaventa particolarmente: la massiccia immissione di rifiuti plastici negli ecosistemi terrestri e acquatici. Questo fenomeno ha raggiunto, soprattutto negli ultimi anni, proporzioni colossali: residui di materie plastiche (macroscopici e microscopici) si trovano ormai in ogni ambiente, dal monte Everest alla Fossa delle Marianne.
Stando ai dati raccolti e analizzati dal sito Our World in Data, dal 1950 ad oggi sono stati prodotti circa 8.300 milioni di tonnellate di plastica; 5.800 milioni di queste non sono più in uso, ma solo il 9% è stato riciclato, mentre il restante 91% è stato bruciato o disperso nell’ambiente.
La situazione è drammatica: lo ricorda, ancora una volta e con dovizia di particolari, uno studio a più mani pubblicato su Science, nel quale viene presentata una proiezione sul futuro della plastica che, applicando un modello quantitativo, indaga cinque possibili scenari di gestione dell’“emergenza plastica” da oggi al 2040. Si va da un modello Business As Usual (BAU), nel quale non viene modificato in alcun modo né il tasso di produzione né quello di stoccaggio e riciclo delle materie plastiche attuali, a modelli che implementano gli interventi a monte del processo produttivo – ad esempio attraverso la strategia Reduce and Substitute – e quelli alla fine del ciclo di vita dei prodotti (Recycling e Collect and Dispose); infine, viene analizzata l’eventualità dell’attuazione congiunta di tutti questi interventi, che si realizzerebbe in un contesto di “mutamento sistemico” (System Change).
Il flusso dei materiali plastici e la crescita della domanda entro il 2040 sono stati calcolati, partendo dai dati relativi al 2016, tenendo conto di diversi fattori: tra questi, la dimensione delle popolazioni nazionali, la quantità di rifiuti urbani di macroplastiche totale e pro capite prodotta in un anno, i diversi livelli di reddito nella popolazione mondiale. Esaminando i risultati delle diverse proiezioni, gli autori evidenziano innanzitutto come la perpetuazione di un modello Business as Usual genererebbe danni gravissimi sia per la salute ambientale, sia per quella umana: non modificando in alcun modo le strategie odierne, infatti, il tasso di macro- e microplastiche immesse annualmente nella biosfera salirebbe di 2,6 volte rispetto al tasso del 2016 negli ambienti acquatici, e di 2,8 volte negli ambienti terrestri. Non implementando le attuali politiche di mitigazione dell’inquinamento da plastica, questo si ridurrebbe, nel 2040, solo del 6,6% negli ecosistemi marini e del 7,7% negli ecosistemi terrestri rispetto ai valori del 2016: chiaramente, si tratta di percentuali del tutto insufficienti per limitare i danni già da tempo annunciati. È dunque necessario potenziare gli interventi di mitigazione per far fronte all’enorme mole di inquinamento plastico che si prospetta nei prossimi anni.
Interventi upstream come la riduzione della produzione di plastica vergine e la sua sostituzione con materiali non inquinanti (si tratta dello scenario definito dagli autori Reduce and Substitute) porterebbero, secondo le stime presentate nello studio, a una riduzione dei rifiuti plastici del 59% rispetto al modello BAU; a loro volta gli interventi downstream, come l’implementazione del corretto smaltimento e del riciclo, ridurrebbero di circa il 50% la massa dei rifiuti plastici rispetto al BAU model. Tuttavia, in entrambi i casi, le percentuali che si raggiungerebbero risultano insufficienti: «Né gli interventi a monte né quelli a valle del processo produttivo possono, da soli, risolvere il problema della plastica. Combinare insieme, nel modo più efficiente possibile, entrambi i tipi di interventi – pre- e post-consumo – rappresenta la soluzione più efficace possibile, date le attuali possibilità tecnologiche».
Foto: Hermes Rivera/Unsplash
Ecco perché la prospettiva d’azione sostenuta dai firmatari dello studio è quella di un System Change, che consiste nel mettere in atto tutte le tecnologie disponibili implementandole quanto più possibile: in tal modo, la riduzione dei rifiuti plastici raggiungerebbe addirittura tassi del 78%, nel 2040, rispetto ad uno scenario Business as Usual, con una parallela riduzione dei costi di produzione e di gestione delle materie a fine vita (-18%). L’obiettivo di un simile piano di interventi è la realizzazione di un modello di economia circolare, in cui convergano la riduzione della produzione di plastiche, l'aumento nell’utilizzo di materiale riciclato e di materiali alternativi e una generale minimizzazione dei rifiuti. Nonostante l’indubbio miglioramento del benessere ambientale che l’attuazione di un simile scenario comporterebbe, le prospettive non sono comunque rosee, secondo gli studiosi: anche se, fin dal 2020, si facesse ogni sforzo per realizzare le strategie qui suggerite, le proiezioni mostrano che, entro il 2040, i rifiuti dispersi nell’ambiente aumenteranno rispettivamente di circa 250 milioni di tonnellate negli ecosistemi acquatici e di 460 in quelli terrestri.
Le tecnologie, dunque, non potranno veramente fare la differenza se non saranno affiancate da un mutamento molto più radicale: a cambiare dovranno essere i modelli aziendali, le priorità politiche, le abitudini di consumo degli individui. Raggiungere l’obiettivo di un mondo libero dalla plastica è una questione non solo ambientale, ma anche sociale ed economica: ecco perché riguarda ognuno di noi, e ci impone delle responsabilità.