I libri in legno della xiloteca di San Vito di Cadore, foto: Elisa Speronello
+++Aggiornamento, 22 gennaio 2024. Scoperto l'autore della xiloteca conservata a San Vito di Cadore: si tratta di Eugenio Trevisan. Il merito della scoperta va riconosciuto del Cam - Centro di ateneo per i musei. Qui l'articolo del professor Franco Viola+++
Il Centro studi per l'ambiente alpino di San Vito di Cadore (Belluno) accoglie "una biblioteca molto particolare”, una xiloteca con opere uniche, tra scienza, tecnica e bellezza artigiana. Si tratta di una collezione di libri in legno che, come scriveva in un articolo del 1969 Germano Gambi, incaricato di botanica forestale dell'università di Padova, rappresentano "il gusto di un'epoca che amava unire all'esattezza scientifica il senso un po' mondano ma compiaciuto del bello, la partecipazione dell'animo umano, colla sua intuizione artistica".
Costruiti a metà Ottocento “da artigiano ignoto”, sono veri e propri capolavori naturali di piccole dimensioni: 19 x 12.5 x 3.5 centimetri. “Ogni libro sembra estratto dal tronco, dall’interno dell’albero - spiega Tommaso Anfodillo, docente di Ecologia forestale al dipartimento Tesaf dell’ateneo di Padova e coordinatore del Centro studi L. Susmel di San Vito -. Il dorso è la corteccia, con il nome in latino e il nome scientifico. La bellezza si scopre all'apertura di questi libri, che non contengono pagine ma, in modo ordinato, numerato, ben studiato, tutte le caratteristiche dell'albero scelto". Aprendolo, dunque, troviamo tutte le parti della pianta: "Un rametto, a cui si aggiunge anche una sezione trasversale, un semenzale, cioè la piantina piccola, il fiore, la radice, anche in questo caso con una sezione trasversale, un blocchetto di legno per l'utilizzo tecnologico. E poi troviamo dei contenitori: uno contiene i semi, un altro la segatura, il terzo contiene la cenere, che si ottiene dalla combustione, ed è affiancato da un pezzettino di carbone". Tutte queste parti vengono indicate in un fogliettino conservato al centro di ogni libro, "nel foglio vi è la descrizione delle caratteristiche della specie, per esempio l'abete bianco, albero sempreverde di legno di qualità".
Riprese e montaggio: Elisa Speronello
"Utilizzando tecniche di dendrocronologia è possibile stabilire quando questi libri siano stati realizzati, misurando lo spessore degli anelli e, grazie a una curva di riferimento, realizzata dal nostro dipartimento per le conifere dell'ambiente alpino, considerando le variazioni annuali che l'albero manifesta a seconda della stagione, è possibile sincronizzare questa serie di incrementi rispetto a una serie unitaria. Questa procedura di sincronizzazione ci dice che, grosso modo, dovrebbero essere stati costruiti tra gli anni Venti e Quaranta dell'Ottocento, epoca in cui la moda di questi libri si è diffusa in Europa", racconta Anfodillo, che aggiunge: "Rispetto a libri simili realizzati in Germania o in Svezia, si nota un dettaglio particolare: oltre a essere evidenti l'abilità e l'esperienza di chi li ha costruiti, qui sono state seguite con pazienza le fasi ontogenetiche della pianta. Sono state raccolte le piantine piccole, i semi e i fiori in stagioni diverse: si tratta di un lavoro pluriennale di raccolta. Questo è il progetto di un vero esperto".
Inizialmente costituita da un centinaio di pezzi, la collezione oggi ne conta poco più della metà. Si racconta che, negli anni Cinquanta del secolo scorso, a salvare i 55 pezzi (quelli che oggi possiamo ancora ammirare) da un falò, acceso da alcuni operai presso il cantiere della nuova facoltà di Agraria, fu il professor Susmel, emerito di Ecologia e fondatore proprio del Centro studi di San Vito di Cadore, casa della stessa xiloteca.
Infine, sulla misteriosa e mai risolta questione relativa all’autore ignoto, scrive Franco Viola, già docente di Ecologia e pianificazione territoriale a Padova, nel libro Gli alberi ricordano (Antiga edizioni, 2020). "Nel Registro d'inventario dei beni contenuti nell'Orto Agrario dell'Università di Padova, steso alla fine del 1870, v'è precisa descrizione di libri col dorso fatto di corteccia spesso coperta dai vari licheni [...] e coi lati di legno levigato [..] Qualcuno sostiene che questo capolavoro d'arte e di scienza sia opera di Pietro Arduino, che verso la meta del '700 fu dapprima curatore dell'Orto Botanico e poi, dal 1765 e per primo al mondo, professore di Agricoltura nell'Università padovana (Cathedra ad Agriculturam Exsperimentalem). Qualcun altro sostiene, invece, che quella raccolta sia opera di un anonimo artigiano, che operò qualche anno dopo la morte di Arduino, quando la direzione dell'Orto Agrario, sotto il nuovo governo asburgico, passò a Luigi Configliacchi. Certo è che per concepire e per realizzare questo capolavoro d'intelligenza non basta la perizia tecnica, ma è richiesta una profondissima conoscenza della natura e la capacità di coglierne la più intima essenza".