SOCIETÀ

La pioggia "artificiale" del Messico (e non solo) e lo scetticismo della scienza

Sparare sostanze chimiche all’interno delle nuvole, utilizzando aerei, droni o addirittura razzi da terra, per far aumentare le precipitazioni in determinate zone, particolarmente aride. È la tecnica chiamata cloud seeding, letteralmente “inseminazione delle nuvole”, un sistema che da oltre settant’anni viene studiato, sperimentato e anche applicato in diversi paesi del mondo (dalla Cina agli Emirati Arabi, passando per gli Stati Uniti, Israele, Giappone e India) senza però che mai sia emersa una concreta prova scientifica della sua reale efficacia. Secondo il governo del Messico, tra i più strenui sostenitori del metodo, che dal 2020 esegue almeno un ciclo di “inseminazione” l’anno, resta questo il sistema migliore per affrontare e, almeno in parte, contribuire a risolvere il problema della siccità che sta colpendo oltre il 75% del territorio del paese dell’America meridionale, con gravissimi danni alle colture, agli allevamenti, che sta portando all’esaurimento le riserve di acqua potabile, oltre a provocare incendi e frequenti black out delle linee elettriche. Così il ministero dell’Agricoltura e dello sviluppo rurale, con la collaborazione dei tecnici della Commissione nazionale delle zone aride (Conaza), ha appena annunciato l’avvio di una nuova fase del progetto (fino all’inizio del 2024) che prevede la “stimolazione delle precipitazioni” con aerei in volo tra le nuvole in 10 aree nel nord e nel nord-est del paese (da Sonora a Baja California, da Aguascalientes a Chihuahua). I tecnici stimano che il piano dovrebbe portare benefici alle attività agricole e zootecniche in 62 Comuni. L’agenzia Conaza ha poi tenuto a precisare: «La sostanza che sarà spruzzata all’interno delle nuvole è composta da molecole di ioduro d’argento sovra-raffreddate in acetone, che genera nuclei di condensazione, che a loro volta generano pioggia. È una tecnologia al cento per cento messicana e rispettosa dell’ambiente». Punto, quest’ultimo, confermato anche dal ministero dell’Agricoltura: «Il processo di irrorazione di ioduro d’argento e molecole di acetone non causa alcun impatto ambientale o inquinamento dell’acqua, data la sua composizione salina e minerale».

Il primo test nel dopoguerra

Eppure resiste una sostanziale diffidenza che, a distanza di decenni dai primi test, relega ancora oggi la tecnica nell’ambito della pura sperimentazione. Perché, secondo un parere ampiamente condiviso nella comunità scientifica, «l’inseminazione delle nuvole non è così semplice come sembra, e potrebbe non essere così promettente come la gente desidera». In cosa consista la tecnica lo spiega, con parole chiare, il quotidiano messicano El Debate, in un articolo pubblicato pochi giorni fa: «È una forma di manipolazione del clima mediante la quale le nuvole vengono bombardate da sostanze nell’aria che fungono da nuclei di condensazione delle nuvole e alterano i processi all’interno della microfisica delle nuvole. Di solito viene utilizzato ioduro d’argento o ghiaccio secco. Perché funzioni, le nuvole devono contenere acqua liquida super-raffreddata, cioè in uno stato liquido inferiore a zero gradi Celsius. Introducendo una sostanza come lo ioduro d’argento, è possibile condensare l’umidità in goccioline, producendo pioggia». Il primo a sperimentare il metodo, nel 1946, fu un americano, Vincent Schaefer, chimico e meteorologo, che all’epoca lavorava nell’impianto di ricerca industriale della General Electric a Schenectady, nello stato di New York. Ma l’idea gli venne tre anni prima, nel 1943: «Vincent Schaefer eseguì molti esperimenti al Mount Washington Observatory, nel New Hampshire, dove iniziò a trovare la sua "scatola fredda" troppo calda per alcuni test di laboratorio che voleva eseguire. Determinato a proseguire con il suo lavoro, trovò del ghiaccio secco e lo mise sul fondo della "scatola fredda". Creando una nuvola con il suo respiro osservò un'improvvisa e fino ad allora invisibile foschia bluastra che improvvisamente si trasformò in milioni di microscopici cristalli di ghiaccio. Scoprì l'effetto stimolante di un improvviso cambiamento di calore/freddo, umidità, in acqua super-raffreddata che produce spontaneamente miliardi di nuclei di ghiaccio. Attraverso decine di esperimenti ripetuti sviluppò rapidamente un metodo per seminare nuvole super-raffreddate con ghiaccio secco». Da lì Schaefer cominciò a collaborare con il fisico e chimico Irving Langmuir, che nel 1932 aveva vinto il Nobel per la chimica, e con un altro suo collega della General Electric, Bernard Vonnegut (fratello maggiore dello scrittore Kurt Vonnegut). I primi test sul campo, o per meglio dire in cielo, furono condotti a Schenectady, a Porto Rico e nel New Mexico. E fu proprio Vonnegut a scoprire che lo ioduro d’argento, a temperature inferiori a -20 gradi centigradi, poteva essere utilizzato più facilmente al posto del ghiaccio secco per produrre pioggia e neve.

La diffidenza della comunità scientifica

Resta la domanda cruciale: funziona davvero? La variabilità naturale delle precipitazioni non favorisce una risposta univoca, come non sono ancora valutabili al millimetro i rischi ambientali dell’utilizzo del cloud seeding. Ma il governo messicano non ha dubbi: e addirittura sostiene che i suoi progetti abbiano raggiunto, complessivamente, un’efficacia stimabile al 98% (su 72 missioni in volo finora effettuate, in 71 casi si sono registrate successive precipitazioni). Per gli scienziati invece la questione è assai più complessa, nonostante abbiano supervisionato il più lungo progetto al mondo in materia, proprio del governo messicano, che si è protratto dal 1948 al 1970, oltre ai casi più recenti. Fernando García e Guillermo Montero Martínez, del dipartimento di Fisica delle Nuvole dell’Instituto de Ciencias de la Atmósfera y Cambio Climático (UNAM), hanno scritto in una recente pubblicazione: «Non ci sono prove che le tecniche di inseminazione delle nuvole consentano l’aumento delle precipitazioni su importanti zone economiche, né vi è certezza sugli effetti al di fuori della zona presa di mira». Mentre William R. Cotton, professore emerito di meteorologia alla Colorado State University, ha scritto l’anno scorso su The Conversation: «Come scienziato atmosferico, ho studiato e scritto sulla modificazione del clima per 50 anni. Gli esperimenti di inseminazione delle nuvole che producono neve o pioggia richiedono il giusto tipo di nuvole con abbastanza umidità e le giuste condizioni di temperatura e vento. Gli aumenti percentuali delle precipitazioni sono piccoli ed è difficile dire quando la neve o la pioggia sono cadute naturalmente e quando sono state innescate dalla semina».

È vero però che non è emersa neanche la prova opposta, vale a dire che il metodo non funzioni. C’è un altro studio, più recente, del 2015, che ha analizzato un esperimento durato 6 anni nelle montagne del Wyoming mirato a stabilire le condizioni ideali per l’inseminazione delle nuvole (per produrre neve) tra novembre e aprile: il risultato è che il manto nevoso è “probabilmente aumentato” non più dell’1,5% circa per ogni stagione. Per sintetizzare: un impatto positivo, ma non statisticamente significativo. Come dire: se non c’è scienziato pronto a scommettere sull’efficacia del sistema, non c’è neanche chi si espone per negarla. Semmai bisognerebbe valutare se i benefici, esigui, giustificano i costi di realizzazione del cloud seeding, che comunque sono molto più contenuti rispetto alle alternative per combattere la siccità (come ad esempio la costruzione di impianti di desalinizzazione). Come sintetizza Álvaro Bours Cabrera, presidente dell'Associazione delle organizzazioni degli agricoltori del sud di Sonora, intervistato dal Guardian: «Siamo aperti a qualsiasi soluzione possa portare più pioggia. Ma preferiremmo che il governo tornasse a incrementare gli investimenti nelle reti di distribuzione dell’irrigazione per aumentare l’efficienza e risparmiare acqua». Posizione che in fondo ricalca la conclusione espressa dai fisici dell’Instituto de Ciencias de la Atmósfera y Cambio Climático: «Il cloud seeding dovrebbe essere considerato solo come un elemento di una strategia integrata per la gestione delle risorse idriche».

Alla ricerca delle “nuvole giuste”

È bene comunque rimarcare che non si tratta di creare “nuvole artificiali” per far piovere, ma di stimolare maggiori precipitazioni dalle nuvole che naturalmente arrivano (e solo se arrivano) su determinati territori. E le nuvole variano, in base alle latitudini, alle conformazioni del suolo, alle temperature, alla pressione atmosferica. Come spiega Abdullah Al Mandoos, direttore del Centro nazionale di meteorologia e sismologia negli Emirati Arabi Uniti: «Qualsiasi paese che abbia un piano per implementare progetti di inseminazione delle nuvole deve studiare le proprietà fisiche e chimiche delle nuvole frequenti e disponibili nel loro territorio». Scriveva, ancora nel 2017, l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO): «Parte della ricerca delle nuvole “giuste” dipende dalla temperatura. L’aumento delle precipitazioni richiede uno dei due approcci per aiutare le particelle d’acqua a collidere, fondersi e crescere: la semina glaciogenica e la semina igroscopica. La semina glaciogenica utilizza agenti, come lo ioduro d’argento, che avviano la formazione di ghiaccio in “nuvole fredde”, quelle più fredde di 0° C e che hanno acqua super-raffreddata. Poiché lo ioduro d'argento ha una forma cristallina simile al ghiaccio naturale, può creare ghiaccio prima nella vita di una nuvola, dandogli più tempo per far crescere particelle di dimensioni di precipitazione. Nelle “nuvole calde”, nubi convettive con grandi parti più calde di -10° C, gli scienziati possono usare la semina igroscopica, generalmente con un semplice sale. Il sale aiuta le goccioline d’acqua a scontrarsi e produrre pioggia». «Ma anche lo smog può avere la sua influenza», spiega il dottor Roelof Bruintjes del National Center for Atmospheric Research degli Stati Uniti e presidente del WMO Expert Team on Weather Modification. «Le nuvole in diverse regioni con diversi livelli di inquinamento possono sviluppare precipitazioni in modo diverso, anche in una stessa regione a seconda dell’inquinamento in un giorno specifico: tutto ciò che altera la composizione delle nuvole può influenzare la semina. Migliorare la nostra comprensione dei processi di nuvole e precipitazioni è la priorità numero uno: meglio li comprenderemo, meglio potremo potenzialmente avere un impatto positivo con il cloud seeding».

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