SOCIETÀ

Il Portogallo torna alle urne con l'incognita estrema destra

Il Portogallo potrebbe essere a un passo dal voltar pagina, dal mandare in archivio il governo dell’alleanza di sinistra, la Geringonça, il “marchingegno” assemblato nel 2019 dal premier uscente Antonio Costa, leader del Partido Socialista (PS), con la partecipazione del Bloco de Esquerda (BE) e del Partido Comunista Português (PCP). Alleanza che s’era spezzata in malo modo lo scorso autunno quando Costa aveva presentato una legge di bilancio indigesta per i suoi alleati: «Il governo insiste nel lasciare più di due milioni di lavoratori privati ​​dei loro diritti, alla mercé del grande capitale», aveva sostenuto il leader comunista Jerónimo de Sousa. «Il governo ha sostituito la negoziazione con un ultimatum», aveva incalzato Catarina Martins del “blocco di sinistra". I due alleati, invece di astenersi, avevano votato contro, mandando gambe all’aria il governo e su tutte le furie il premier, che aveva aperto immediatamente la crisi senza lasciare alcuno spiraglio per una nuova intesa. 

Una crisi “fatta in casa”. Meglio elezioni anticipate, deve aver pensato Costa, sperando così di ottenere la maggioranza assoluta e disfarsi una volta per tutte della zavorra ingombrante della sinistra radicale. Ma le cose, a quanto pare, stanno andando diversamente. L’ultimo sondaggio a poche ore dal voto (le urne saranno aperte domenica 30 gennaio) indica un sorpasso che nessuno, ancora la settimana scorsa, avrebbe pronosticato: con i Socialisti accreditati di un 33,6% (nel 2019 avevano ottenuto il 36,8) ma scavalcati per la prima volta dai socialdemocratici del PSD (partito di centrodestra a dispetto del nome) con il 34,4% di potenziali voti. La sinistra radicale perderebbe diversi punti, con un’opinione pubblica che li addita come responsabili per aver aperto la crisi. Mentre cresce, e tanto, la destra estrema e populista di Chega: l’ultimo sondaggio stima i suoi voti attorno all’8%, il che ne farebbe la terza forza in Parlamento, e l’ago della bilancia. Il Portogallo, uno dei Paesi che in Europa aveva affrontato con più stabilità e “compostezza politica” la crisi economica dovuta alla pandemia, sembrava aver sviluppato una sorta di immunità al fiorire dei populismi: evidentemente non è più così.

La retromarcia dell’ex premier

I sondaggi non andrebbero mai calcolati al millimetro: ma se le intenzioni di voto sono corrette, nessun partito riuscirà da solo ad avere la maggioranza (116 seggi, sui 230 del Parlamento monocamerale, l’Assembleia da República). E se una coalizione tra partiti sarà necessaria, è assai probabile che quella di centrodestra possa avere i numeri per ottenere la maggioranza (oltre a Chega, con il Partito Popolare e Iniziativa Liberale). Numeri che hanno sorpreso e spaventato il premier uscente Antonio Costa, che all’inizio della breve campagna elettorale, probabilmente in un eccesso di spavalderia, aveva detto di escludere accordi a sinistra, promettendo un aumento del salario minimo a 900 euro e l’introduzione progressiva della settimana lavorativa a 4 giorni: «Per servire bene il Portogallo, e servire bene i portoghesi, non abbiamo bisogno di una vittoria qualsiasi: abbiamo bisogno di una vittoria a maggioranza assoluta», aveva detto in un intervento a Madeira. Un proposito finito rapidamente in fondo al cassetto dei desideri. In un’intervista di pochi giorni fa a Rtp, la tv pubblica portoghese, Costa ha (malvolentieri) corretto il tiro: «Ho ascoltato i portoghesi e penso che ciò che hanno detto chiaramente è che vogliono, dopo domenica, un dialogo tra le diverse forze politiche. Da parte mia, quello che saprò sicuramente fare è parlare con tutti. E’ necessario voltare pagina e non accumulare rancori, conflitti e tensioni». Parlare con tutti, tranne con Chega. Per poi lanciare un appello al leader dei socialdemocratici: «Spero che Rui Rio capisca che il dialogo che dovrebbe avere non è con l’estrema destra». Lasciando aperto uno spiraglio per un possibile dialogo tra i due principali partiti.

Un’ipotesi che al momento, sull’onda dell’entusiasmo per il “sorpasso”, i socialdemocratici non sembrano intenzionati a esplorare. Tra Rui Rio e Costa è ancora il tempo del fioretto verbale, della punzecchiatura. Al punto che il leader di centrodestra ha prima accusato l’ex premier di aver «sistematicamente denigrato e travisato le proposte del PSD sul salario minimo, sul servizio sanitario e sul rapporto con Chega, con l’obiettivo di ingannare gli elettori». Come dire: troppo comodo chiedere ora il nostro appoggio. Per poi criticarlo per il suo modo di procedere, confuso e a zig-zag. Ma i giochi veri saranno fatti a urne chiuse, e a seggi assegnati, quindi con numeri certi. Secondo il politologo José Adelino Maltez, «un accordo tra PS e PSD è oggi possibile e con concrete possibilità di realizzarsi». «C’è una porta socchiusa», concorda la ricercatrice Paula do Espírito Santo, la quale sostiene tuttavia che la strada maestra per Antonio Costa sarebbe quella di riunire l’intera sinistra, dando vita a una “ecogeringonça”, comprendendo al suo interno non soltanto Partido Comunista e Bloco de Esquerda, ma anche i verdi di PAN (People Animals Nature), gli eco-socialisti di Livre e il Partido Ecologista "Os Verdes” (PEV). Lo stesso Costa ha annunciato che qualora dovesse perdere le elezioni lascerà la guida dei Socialisti.

Molto, comunque, dipenderà dall’approccio che il centrodestra deciderà di tenere con la formazione populista di Chega, che in portoghese vuol dire “Basta” (basta con il “sistema”, basta con la tolleranza, populismo allo stato puro), che da un seggio passerà probabilmente a 9 rappresentanti in Parlamento. Chega è il terminale di una crescente frustrazione, di una politica che si perde in ripicche e in bracci di ferro, mentre i problemi reali del Paese sono altri, spesso di natura economica. Con gli insegnanti, per fare un solo esempio, costretti a lasciare il loro impiego perché «lo stipendio non copre nemmeno i costi dell’alloggio e del carburante», al punto che uno studio dell’Universidade Nova de Lisboa prevede una “pandemia accademica” per il Portogallo entro il 2030, quando sarà necessario reperire oltre 34mila nuovi insegnanti. E, se le condizioni salariali non cambieranno, sarà impossibile colmare il gap.

L’ago (razzista) della bilancia

Quindi Chega come (probabile) ago della bilancia. Il suo leader, André Ventura, 39 anni appena compiuti, ex giornalista sportivo (che l’Espresso ha definito “il gemello portoghese di Matteo Salvini”) snocciola tutto il classico repertorio del populismo di estrema destra, affermando convintamente di rappresentare “la voce del popolo”: razzista, antiabortista, antifemminista, intransigente nell’applicazione delle parole chiave “ legge e ordine”. Ma con in più un’ossessione manifesta, e più volte platealmente manifestata, verso le comunità rom che vivono in Portogallo (circa 50mila persone), accusate di essere una “minaccia per la salute pubblica”, arrivando addirittura a proporre, nel periodo più acuto della pandemia, un “piano di confinamento e di sorveglianza per tutte le comunità rom”. Scrive la ricercatrice Lea Heyne su World Politic Review: «Il Portogallo sta perdendo la sua immunità al richiamo dell’estrema destra». Arrivando poi a tracciare un identikit dell’elettore-tipo di Chega: «Giovani, in maggioranza maschi, istruzione inferiore alla media nazionale, provenienti più dalle zone rurali che dalle grandi città. Non spinti dalla nostalgia per il passato autoritario del Portogallo, ma rappresentanti di una nuova generazione di elettori attratti dall’estrema destra». La forchetta dell’8-9% di voti conferisce certamente a Chega un inedito ruolo centrale nella politica portoghese. Bisognerà tuttavia vedere se riuscirà a tradurre questo exploit nell’eventuale costruzione di alleanze. Soprattutto, se i socialdemocratici correranno il rischio (perché di rischio si tratta) di formare un governo con l’estrema destra. Rui Rio continua a ripetere che non porterà Chega al governo. Ma potrebbe anche accontentarsi di un appoggio esterno, come già avviene nell'assemblea regionale delle Azzorre.

L’elettorato portoghese appare comunque instabile, non radicato, più portato a seguire l’umore dell’ultimo momento, con un 16% di elettori che si dichiara ancora indeciso. Un’altra incognita è data dall’astensione, storicamente molto alta in Portogallo (nelle legislative del 2019 ha toccato il 51,4%, mentre nelle ultime presidenziali, esattamente un anno fa, ha superato il 60%). Ma oltre alla disaffezione, c’è da considerare anche la pandemia, con oltre un milione di portoghesi attualmente colpiti dal virus (il 10% della popolazione). A Lisbona la Protezione Civile ha organizzato un voto “porta a porta” (riservato agli elettori che ne fanno richiesta), tra abitazioni private e soprattutto case di riposo. In alternativa, il governo ha deciso che le persone positive al Covid potranno interrompere l’isolamento e uscire dalle loro case per andare a votare, a patto di seguire tutte le indicazioni sanitarie: mascherina Ffp2, mantenere le distanze, usare gel disinfettante e usare la propria penna. Ai contagiati, è stato consigliato di andare a votare tra le 18 e le 19.

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