SOCIETÀ

La prima conferenza mondiale sulla giustizia climatica

Dal 12 al 15 ottobre scorsi si è tenuta a Milano la prima Conferenza mondiale sulla giustizia climatica. È stata ospitata negli spazi dell’Università Statale di Milano e nello storico centro sociale Leoncavallo, ed è stata organizzata dal basso dai movimenti e dai collettivi, come per esempio Extinction Rebellion, Fridays For Future, Ultima Generazione, il gruppo di Ecologia Politica della Statale e molte altre realtà. Come aveva anticipato Alex Foti, uno degli organizzatori nonché storico fondatore di Agenzia X a Milano, l’evento milanese avrebbe segnato la nascita di una “Internazionale Rivoluzionaria del Clima”, uno spazio politico largo che raggruppi esperienze e militanze anche molto diverse tra loro ma che hanno un punto in comune profondo: finora i movimenti per il clima hanno parlato alla politica e alle istituzioni chiedendo che intervenissero ma le risposte sono state insufficienti.

A chi sosteneva che la spinta di Fridays For Future, il movimento fondato da Greta Thunberg nel 2018, fosse entrato in una fase di difficoltà, complice anche la pandemia di Covid-19, la risposta è stata la folta presenza di persone che hanno seguito le sessioni parallele nei diversi chiostri della sede centrale della Statale di Milano e nel nutrito corteo che venerdì 13 ottobre, a lavori chiusi, ha sfilato fino allo Scalo di Porta Romana. Qui è previsto che sorga il villaggio per le olimpiadi invernali del 2026 e i lavori sono già in corso. Ma per la comunità della Conferenza, l’idea di tenere una manifestazione sportiva invernale in epoca di surriscaldamento globale e mancanza cronica di neve suona come assurda. Non a caso, quelli di Milano e Cortina, sono indicati da uno striscione come “Giochi insostenibili”.

Una nuova consapevolezza e una sfida

Emanuele Leonardi, sociologo dell’Università di Bologna, ha appena scritto (con Paola Imperatore) L’era della giustizia climatica. Prospettive politiche per una transizione ecologica dal basso. Si tratta di un libro che propone una lettura dello stato attuale del movimento per clima e, quindi, si pone come utile lente con la quale inquadrare il momento. I due autori sostengono che oggi ci troviamo di fronte a una nuova fase del confronto sulle questioni climatiche. Se fino a poco fa, gli interlocutori di chi scendeva in piazza erano le istituzioni, dalle amministrazioni e dai governi fino agli organismi internazionali, oggi il fronte si è allargato. Anzi, dicono Leonardi e Imperatore, si è necessariamente dovuto allargare, perché le proposte di taglio delle emissioni, di implementazione di nuove strategie più sostenibili e di un passo deciso verso una transizione ecologica non hanno funzionato.

Oggi, invece, sembra quasi che questi movimenti, che in parte si sono ritrovati a Milano, stiano dicendo: “grazie per il tentativo, non è andata, lasciate spazio a noi”. La critica che si sente in diversi interventi durante la Conferenza e che attiviste e attivisti sottolineano è soprattutto al sistema delle Conferenze delle Parti, le cosiddette COP. Nonostante gli accordi di Parigi, quelli della COP21, le emissioni di gas climalteranti non sono scese a sufficienza per raggiungere gli obiettivi fissati. Anzi, le emissioni sono cresciute. Questo punto è per la Conferenza di Milano il punto di partenza fattuale per la costruzione di una proposta politica, tutta da discutere e inventare, che vada oltre le proposte e i tentativi fatti fin qui e che, nell’analisi portata avanti dai delegati e dalle delegate, non ha davvero intaccato i problemi alla base della crisi climatica. Ovvero, non ha messo in discussione in nessun modo l’organizzazione sociale capitalista attuale.

L’internazionalità dell’evento milanese è stata sottolineata anche da un collegamento con Marrakech, la città del Marocco dove negli stessi giorni si è tenuto l’incontro annuale del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e della Banca Mondiale. E dove sie è tenuta anche una contracumbre, cioè un controevento e una manifestazione di protesta, a cui hanno partecipato più di 70 organizzazioni africane e non solo. Il tema centrale è il debito che limita la libertà di azione dei governi di paesi ex-colonie europee. Per fare un esempio, il Marocco - ha raccontato il delegato del Committee for the Abolition of Illegitimate Debt (CADTM) marocchino - è diventato indipendente dalla Francia (e dalla Spagna) nel 1956, ma ha finito di pagare il debito verso Parigi solamente nel 1994. Come nel caso anche degli investimenti per lo sviluppo economico dei paesi, si tratta di una zavorra non indifferente sulle potenzialità di crescita dei singoli paesi. Oltre che una ingerenza, sostengono gli attivisti, nella politica da parte di chi è creditore, come nel caso del FMI e della Banca Mondiale. Una situazione che colpisce anche i piani di transizione energetica, perché la maggior parte delle infrastrutture, anche rinnovabili, sono comunque di proprietà privata straniera.

La riflessione sulle cause della crisi climatica attuale hanno raggiunto anche le università  che devono essere decarbonizzate. Lo sostiene End Fossil, il movimento universitario che chiede l’uscita dall’accademia dei finanziamenti delle aziende petrolifere. In Italia, raccontano le attiviste e gli attivisti di End Fossil Milano, un’azienda come ENI ha rapporti con oltre 20 università. Ci sono i fondi per il finanziamento di ricerche sull’estrazione e la lavorazione di petrolio e gas, agenti alla base dell’attuale crisi climatica. Ma ci sono anche i problemi di condizionamento della stessa attività di ricerca e di critica, che invece l’università dovrebbe esercitare nella massima libertà possibile. Il rapporto con le università e l’accademia, inoltre, per End Fossil non è che uno strumento di legittimazione sociale e culturale.

Un pezzo di comunità scientifica scende in campo

Ma è tutta la scienza che dovrebbe fare un passo in più. A sostenerlo è Officina Ricerca per l’Ambiente (ORA). Un gruppo di ricercatori e ricercatrici del Centro Nazionale per le Ricerche (CNR) di Bologna che ha raccolto più di mille firme attorno a un appello nato all’indomani dell’alluvione che ha colpito la Romagna lo scorso maggio. Nel documento si legge che “da decenni la comunità scientifica lancia appelli ai governi ed alle istituzioni per fermare l’emissione di gas climalteranti, la distruzione della biosfera e il consumo di suolo, con scarsi risultati. Nel frattempo, però, il messaggio è stato raccolto da chi ha voluto ascoltarlo: è grazie ai movimenti per il clima, soprattutto dei più giovani, se ora in molti hanno preso coscienza del problema ed esiste un dibattito pubblico sulla questione”. Una revisione del ruolo di chi lavora nell’ambito scientifico, molto spesso visto come lontano dalla politica. Le ricercatrici e i ricercatori di ORA invece sostengono, al contrario, che bisogna sporcarsi di più le mani, uscendo dai laboratori e unendosi ai movimenti.

La proposta è, quindi, quella di non lasciarsi relegare a un ruolo consulenziale o di depositari della verità scientifica, ma di decidere di far parte della società a tempo pieno. D’altra parte, per tornare al libro di Leonardi e Imperatore, appare chiaro che in un primo momento i movimenti storici per il clima si confrontavano con un conflitto sociale che riguardava l’asse nord-sud del mondo: da una parte l’Occidente ricco e inquinatore, dall’altra il Sud più povero e che si stava affacciando alla contemporaneità. Oggi la situazione si è evoluta, intersecandosi inevitabilmente con il tema della disparità anche interna alle società dei singoli paesi: una minoranza ricca e potente che può decidere per la maggioranza che sta già subendo sulla propria pelle le conseguenze peggiori della crisi climatica, in una spirale che non può far altro che allargare la distanza tra le due parti. A Milano i movimenti per il clima hanno deciso di mettersi insieme per costruire un’alternativa a questo status quo.

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