CULTURA

Roman Opałka e la rappresentazione dell'infinito

In Campo Santa Maria Formosa, nel cuore di Venezia, al secondo piano dell'antico palazzo della famiglia Querini (che nei primi decenni del Cinquecento, in laguna, godeva di grande prestigio), oggi sede della fondazione che, proprio nel 2019, compie 150 anni (e che al pian terreno è attraversata dall'inconfondibile segno di Carlo Scarpa), passato e presente dialogano, invitando il visitatore ad attuare una sorta di "caccia al tesoro", tra arte e pensiero. Le sale della Fondazione Querini Stampalia accolgono la mostra Dire il tempo (fino al 24 novembre), a cura di Chiara Bertola (che ha allestito anche la sezione milanese nella primavera scorsa), mettendo al centro la ricerca di Roman Opałka e Mariateresa Sartori, le cui opere spuntano qua e là, tra il corridoio, il portego, le stanze e il boudoir. 

Roman Opałka nasce nel 1931 a Hocquincourt, in Francia, da una famiglia di origini polacche che, nel 1935, torna in Polonia e viene poi deportata in un campo di lavoro in Germania fino al termine della guerra. Un breve passaggio in Francia e, infine, il trasferimento a Varsavia, dove Roman inizia a studiare grafica, arte e design, per poi spostarsi nel 1957 a Parigi. A partire dal 1965, Opałka inizia a occuparsi del tempo, del suo scorrere inesorabile: approfondisce, indaga, sviluppa un preciso progetto, nel tentativo di rappresentare e circoscrivere l'infinito, di fissare una sorta di eternità. Una ricerca ambiziosa e totalizzante, la sua, che ne condizionerà l'esistenza, impegnandolo fino alla morte avvenuta il 6 agosto 2011, a Chieti.

La prima sala è quella della musica, lì, tra i violini esposti in una antica vetrina, si presentano due Esercizi su carta su cui Opałka, nel 1965, sperimenta e indaga il gesto della scrittura, l'utilizzo dello spazio, la composizione dei numeri, la stesura del colore, prima di iniziare a dedicarsi ai suoi grandi Détails, in tutto 237, due dei quali presenti nella sala della Maniera, due tele della stessa dimensione della porta del suo primo studio a Varsavia: 196x135 cm. Detail n.1, dal Muzeum Sztuki, Łódź in Polonia, e Last Detail, rimasto incompiuto, proveniente da una collezione privata. Sono due parti di un unico pensiero, Opałka 1965/ 1-∞, che riassume il senso della ricerca dell'artista, dal primo all'ultimo atto. Sono l'Alfa e l'Omega, quadri dipinti a distanza di 46 anni uno dall'altro, spiega la curatrice Chiara Bertola, e "vederli insieme per la prima volta, potendo cogliere il disegno completo di quella trama che l'artista un giorno ha deciso di tracciare, è un'emozione fortissima e commovente. Lui non c'è più, c'è l'opera compiuta". Una fitta sequenza di numeri, in bianco di titanio, dall'uno e verso l'infinito, dipinti fino a 5607249 su un fondo grigio che si fa sempre più chiaro, di tela in tela, fino a raggiungere il bianco candido dell'ultimo quadro che vediamo esposto e che, annullando il contrasto, non permette più di distinguere i numeri stessi. Dal 1968 ogni Détail è accompagnato dalla registrazione della voce dell'artista che, in polacco, elenca i numeri dipinti. A questo progetto si affianca la serie degli autoritratti fotografici realizzati, sempre con la stessa inquadratura, al termine di ogni seduta di pittura. A questi scatti Opałka si dedica a partire dal 1972: qui è il volto dell'artista a mostrare il tempo che passa.

In mostra, accanto alle opere di Opałka si sistemano quelle della veneziana Mariateresa Sartori, classe 1961, che con l'artista polacco ha lavorato e che, grazie a un interesse per le neuroscienze, la musica e il linguaggio, alla Querini Stampalia offre, a sua volta, un percorso sui temi del tempo, della durata e della contingenza. "La sua opera crea dei vuoti, degli spazi inediti di percezione e di comprensione della realtà, al di là dei significati precostituiti, consegnando la chiave d'accesso a nuove lingue. Grazie ad accostamenti, scarti, sovrapposizioni, intersezioni tra alfabeti diversi, intercetta il filo sottile delle relazioni che intercorrono tra natura e artificio, epico e quotidiano, visibile e invisibile, passato e presente", ha spiegato la curatrice. Ecco allora gli undici audiolibri de Il suono della lingua che ci regalano suoni nuovi, ritmo e melodia, attraverso una serie di registrazioni sonore di poesie, brani teatrali e letterari in 11 diverse lingue del mondo, rielaborate spostando le consonanti di ogni parola ma mantenendo inalterati lunghezza e accento, rima e metrica. E ancora, il ciclo di disegni Tutti quelli che vanno, realizzato in collaborazione con il fisico teorico Bruno Giorgini del gruppo di ricerca dell'Università di Bologna, Fisicadellacittà, che studia i flussi pedonali dal punto di vista fisico-matematico: da qui Sartori è partita per tracciare su un foglio il percorso di ogni pedone a Piazza San Marco in un preciso periodo di tempo, piccioni inclusi, riuniti attorno a un mucchietto di grano, costruendo infine una mappa collettiva dei passi. Infine, il video Omaggio a Chopin, proiettato nella stanza degli armadi, accanto al boudoir, dove è esposto il ciclo Feuilles, a cui Sartori ha lavorato confrontandosi con lo stesso Opałka: qui si consuma il dialogo tra un uomo e una donna, ripresi di profilo, le cui parole diventano note, è una conversazione che, seguendo la circolarità del brano di Chopin, finisce come inizia, suggerendo una comunicazione senza esito né soluzione, un confronto senza fine. Siamo di fronte a due artisti che hanno "creato un sistema, inventato una metafora, un nuovo codice, un meccanismo, un modello, pur di avvicinarsi e sfiorare l'infinito".

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