SOCIETÀ

Il Salone del libro non sarà un campo di battaglia

Oggi a Torino comincia il Salone del Libro, una manifestazione di spicco per molti addetti ai lavori, ma anche per tutti gli appassionati della carta stampata e non solo.
Quest'anno, però, ancora prima dell'inizio del Salone, è scoppiata una polemica che ha quasi monopolizzato stampa e televisioni: pochi sanno quali sono le case editrici presenti alla fiera di Torino, ma tutti ormai conoscono AltaForte, una casa editrice vicina a Casa Pound: l'editore Francesco Polacchi, è un'attivista di questo partito, e con orgoglio non esita a dichiararsi fascista di fronte alle telecamere.

AltaForte ha pubblicato Io sono Matteo Salvini. Intervista allo specchio, il libro di uno dei più discussi vicepremier degli ultimi anni, un politico decisamente distante dallo spirito del Salone che invece ha sempre portato l'attenzione su valori di democrazia e inclusione e che, anche per questo, non avrebbe potuto lasciare fuori Altaforte. O forse sì?

Quello che molti si chiedono è come abbia fatto questa casa editrice, nel silenzio iniziale, ad approdare al Salone. "Ho un'idea in proposito: dichiara Lorenzo Tomasin, linguista e collaboratore delle pagine culturali del Sole 24 ore – in un evento di questo tipo c'è una divisione commerciale e una editoriale. Quella commerciale si occupa della raccolta delle iscrizioni di chi ha i requisiti formali e tecnici e mette in atto gli adempimenti per procedere. Naturalmente l'ufficio commerciale non può mettersi a controllare la specifica attività di ogni casa editrice, specie se non è conosciuta come in questo caso, almeno prima che questa polemica le desse visibilità. Il Comitato di Indirizzo, formato da scrittori e operatori dell'editoria, fa invece degli inviti mirati e sicuramente la presenza di AltaForte non dipende da loro. Infatti quando l'editore ha proposto di fare una presentazione del libro di Salvini, il Comitato di Indirizzo giustamente si è opposto. Qualcuno però deve aver segnalato che fra le centinaia di case editrici presenti alla manifestazione c'era anche AltaForte, ma a quel punto i tempi per elaborare una qualsiasi strategia sembravano troppo stretti".

Poteva finire così, con Halina Birenbaum, sopravvissuta ai campi di sterminio, che teneva la sua lezione fuori dal Lingotto Fiere in segno di protesta, con il boicottaggio di altri autori che andavano da Zerocalcare a Wu Ming passando per Ginzburg, ma anche altri meno conosciuti che forse avevano più da perdere e che nonostante questo avrebbero portato avanti i loro ideali in modo coraggioso.

Oppure poteva finire anche peggio. Il problema è che una manifestazione culturale si stava trasformando in un campo di battaglia. Ideologico, ma neanche tanto: "Il salone rischiava di diventare il teatro di uno scontro tra fazioni – continua Tomasin – ed era stato raggiunto un livello di aggressività nei toni che mi ha lasciato allibito, e molto preoccupato. Venivano utilizzate metafore belliche in quantità allarmante e il risultato poteva essere la divisione tra gli antifascisti che boicottavano il salone e quelli che invece non lo facevano, preferendo manifestare il proprio dissenso in altro modo: per quanto mi riguarda, erano posizioni entrambe degne di rispetto".

Era una gara infantile ma piuttosto pericolosa all'insegna del motto "io sono più antifascista di te" e che non faceva altro che alimentare l'idea di un fronte antidemocratico coeso da una parte, e di un fronte che portava avanti ideali sacrosanti ma che procedeva diviso dall'altra. Il problema è che di fronti non sarebbe il caso di parlare, come non si dovrebbe parlare di fascismo nel 2019, visto che la nostra Repubblica è fondata su principi di segno opposto.

D'altro canto, il fatto che la casa editrice di Polacchi trovasse spazio al Salone non avrebbe dovuto mettere in contrasto due lati della stessa medaglia, l'antifascismo come boicottaggio e l'antifascismo come protesta in praesentia: "Torino, – conferma Tomasin – è la città non solo di Emanuele Artom ma anche di Guido Rossa e di Carlo Casalegno: non poteva diventare il teatro di nuove forme di violenza politica, comunque intesa e comunque orientata. Sarebbe stato assurdo".

Nel frattempo le istituzioni si muovevano: tramite ANSA il ministro della Cultura Alberto Bonisoli era stato chiaro: "Il Salone del Libro è un luogo di democrazia, perché i libri sono idee. I toni si sono alzati troppo. Anche la difesa della libertà di espressione è un valore dell'antifascismo." In mattinata, comunque, la sindaca Appendino e il presidente della Regione Piemonte Chiamparino avevano denunciato AltaForte per apologia del fascismo, proprio a partire dalle esternazioni verbali rilasciate a mezzo stampa dallo stesso Polacchi, che ha definito l'antifascismo il male del nostro paese.

Ma alla fine non c'è stato bisogno di attendere che gli ingranaggi della giustizia si mettessero in moto: in serata è arrivata la notizia che su richiesta della città di Torino e della Regione Piemonte il contratto con la casa editrice è stato rescisso. "Una buona conclusione – conclude Tomasin – che non deve però far abbassare la guardia. Un risultato che sarebbe stato impossibile senza le proteste di questi giorni, sia da parte di chi aveva deciso di disertare il Salone, sia da parte di chi aveva rivendicato l’importanza della partecipazione e deplorato con altrettanta forza le presenze nocive. È una vittoria di tutti coloro che si riconoscono nei valori della libertà nella sua declinazione storica e civile italiana. Ma non è una vittoria definitiva".

E Polacchi? Ha dichiarato che farà causa al Salone. Tanto visti i suoi trascorsi, e in particolare il processo che lo vede imputato e che verrà dibattuto proprio il 9 maggio, sembra che con i tribunali non abbia problemi.

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