MONDO SALUTE

In Salute. Sla: “Il problema in Italia è la domiciliarità”

Il 18 settembre 2006 a Roma ebbe luogo il primo sit-in dei malati di sclerosi laterale amiotrofica. Lo scopo era quello di sensibilizzare le massime autorità del Paese sui problemi che i pazienti si trovavano ad affrontare, dalla disomogeneità dei trattamenti assistenziali, alla carenza delle prestazioni di assistenza domiciliare, fino alla difficoltà di accesso alle sperimentazioni cliniche e ai farmaci di uso compassionevole. Si chiedeva un’appropriata gestione della malattia e un’adeguata presa in carico. Proprio per ricordare quel momento, da allora nello stesso periodo si celebra la Giornata nazionale Sla. Quest’anno la ricorrenza si è tenuta il 17 settembre e fino alla prima settimana di ottobre l’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica (Aisla) promuove diverse iniziative in tutta Italia per tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica e della autorità politiche e sanitarie sui bisogni di cura e assistenziali dei malati di Sla. 

Ne abbiamo parlato con Adriano Chiò, professore di neurologia all’università di Torino, responsabile del Centro regionale esperto per la Sla e le malattie del  motoneurone di Torino e vicepresidente della Commissione medico-scientifica di Aisla. Oltre a soffermarci sulle possibili cause della malattia, sulle terapie e le sperimentazioni in corso, abbiamo discusso anche sulle criticità dal punto di vista assistenziale. 

La sclerosi laterale amiotrofica

La Sla interessa circa 6.000 persone in Italia, con un’incidenza di circa 1,5-2 casi ogni 100.000 abitanti all’anno e una prevalenza di 6-8 malati ogni 100.000 abitanti. È una patologia neurodegenerativa che colpisce i motoneuroni, cioè le cellule nervose che consentono i movimenti volontari. A essere interessati sono sia i neuroni motori centrali che si trovano nella corteccia cerebrale (primo motoneurone), che quelli periferici nel midollo spinale (secondo motoneurone): gli uni inviano l’ordine del movimento agli altri che, a loro volta, lo trasmettono ai muscoli. La malattia è caratterizzata da una perdita progressiva di funzione muscolare che può coinvolgere gli arti, la deglutizione, la fonazione e purtroppo anche la respirazione. L’aspetto forse più drammatico della patologia è che i pazienti non perdono la capacità di pensare e la volontà di rapportarsi con gli altri, nonostante il corpo diventi gradualmente immobile. 

Intervista completa ad Adriano Chiò. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar

Cause non ancora note e sintomi inizialmente vaghi

Le cause alla base della sclerosi laterale amiotrofica non sono ancora note, anche se è ormai accertato che la patologia è determinata dal concorso di più fattori. L’eccesso di glutammato, per esempio, un amminoacido usato dalle cellule nervose come segnale chimico, è stata una delle prime ipotesi addotte per spiegare la degenerazione dei motoneuroni. Chiò spiega poi che le alterazioni dei mitocondri, responsabili delle funzioni energetiche della cellula, possono incidere sui processi che portano alla degenerazione dei motoneuroni. Potrebbero giocare un ruolo importante nella Sla anche l’accumulo di proteine anomale all’interno dei motoneuroni o il deterioramento dell’attività del “proteasoma”, un insieme di enzimi che smaltisce le proteine da eliminare. Si ritiene possa esservi una relazione anche tra la patologia e un eventuale danno al trasporto assonale, cioè il sistema di trasporto di nutrienti, rifiuti e componenti cellulari dal nucleo del neurone alla periferia. “Questa complessità è ulteriormente ampliata dall'esistenza di una serie di mutazioni geniche che interessano una quota ridotta di pazienti, circa il 15%, ma che sono molto eterogenee, dato che oggi conosciamo circa 40 geni correlati alla malattia”.

La diagnosi della patologia si basa sul dato clinico e su un esame strumentale che è l'elettromiografia ad ago. “Inizialmente – spiega Chiò – i sintomi sono molto vaghi, si può verificare la perdita di funzione di una mano, di un piede, qualche volta si assiste alla difficoltà nel pronunciare alcune parole. Si tratta tuttavia di sintomi generici che possono comparire anche in altre patologie più banali come una mielopatia cervicale, cioè una compressione del midollo cervicale o altro. Ciò che è estremamente importante è la progressione della malattia: il disturbo iniziale via via si sposta e si estende, e questo è sicuramente un campanello d’allarme fondamentale”.

Quali le terapie possibili?

Attualmente non esiste una terapia capace di guarire i malati di Sla, ma solo farmaci che rallentano la progressione della patologia. Ormai da più di 20 anni viene impiegato il Riluzolo che agisce interrompendo l’eccessivo rilascio di glutammato, che come si è visto è una delle possibili cause alla base della patologia. 

“Una serie di farmaci poi sono in esame da parte degli enti regolatori. L’European Medicine Agency (Ema) sta rivalutando un farmaco (AMX0035) che è la combinazione di due principi attivi, il fenilbutirrato e l’acido tauroursodesossicolico, già approvato dalla Food and Drug Administration (Fda) negli Stati Uniti. Teniamo conto che l’Agenzia europea dei medicinali è molto più rigida di quella americana, quindi spesso i farmaci non vengono approvati in Europa ma solo negli Stati Uniti, e non solo per la Sla”. Lo scorso giugno Ema ha infatti bocciato l’approvazione di AMX0035, chiedendo ulteriori prove a conferma della sua efficacia e sicurezza.

Esiste poi un farmaco specifico per il trattamento di pazienti con sclerosi laterale amiotrofica causata da mutazione del gene SOD1. Si tratta di Tofersen, una molecola (in termini tecnici un oligonucleotide antisenso) in grado di ridurre la sintesi delle proteine “tossiche” associate al gene SOD1 mutato. L’obiettivo dunque è di neutralizzare l’attività anomala di SOD1 alla base della malattia. Lo scorso aprile la Fda ha approvato il farmaco, ad oggi il quarto per i pazienti con Sla (oltre a Riluzolo e AMX0035, anche Edaravone approvato nel 2017).

Tofersen non è ancora stato approvato in Europa da Ema, tuttavia nel nostro Paese le persone con Sla causata da mutazione del gene SOD1 possono già essere sottoposte alla terapia grazie a un programma di accesso anticipato al medicinale (regolato dal decreto 7 settembre 2017).  “Il farmaco è disponibile in tutte le neurologie o i centri per la sclerosi laterale amiotrofica, perché l'azienda farmaceutica lo fornisce gratuitamente ai soggetti con la mutazione. Oggi credo che in Italia ci sia un'ottantina di persone in trattamento con questo farmaco”. Questa forma della malattia interessa complessivamente circa il 2% dei pazienti affetti da Sla a livello globale.

Se questi sono i farmaci attualmente disponibili o in fase di approvazione da parte degli enti regolatori, anche altre sono le opzioni terapeutiche in fase di studio per il trattamento della Sla. Stando alle informazioni fornite da GlobalData, i trial clinici attualmente in corso sono 121. Al vaglio della scienza, oltre a farmaci “classici”, oligonucleotidi antisenso e terapia genica, ci sono anche le staminali. “Della terapia con cellule staminali si parla ormai da più di vent'anni, ma fino ad ora non ha dato risultati di efficacia. Vi sono interessanti studi di sicurezza per alcuni tipi di cellule staminali, come le neurali, quindi già evolute. Al momento vi sono studi di fase 1, ma per dimostrarne l’efficacia servono anche studi di fase 2 e 3. Non sono ancora state utilizzate invece le tecniche Crispr, cioè la modificazione genica vera e propria. Ci sono incoraggianti dati preclinici su modelli cellulari o animali, ma il passaggio all'essere umano non è ancora avvenuto. È probabile che avverrà in tempi non troppo lunghi, sebbene non prima di due o tre anni”.

Carenze della domiciliarità

Le Regioni da molti anni hanno riconosciuto dei centri specifici per la Sla che prendono in carico il paziente per la diagnosi e il trattamento della patologia. “L’Italia è un Paese privilegiato sotto questo aspetto – spiega Chiò –. Di paragonabile c'è poco in Europa: la Francia ha una buona rete, ma la Germania per esempio ha molte lacune. Il problema reale nel nostro Paese è rappresentato dalla domiciliarità, che ha le carenze maggiori. Il paziente vive la malattia nella propria casa che è il posto migliore in cui può stare, ma la famiglia deve avere un appoggio per assistere il malato in questo contesto. In molte Regioni esistono assegni di cura, aiuti finanziari anche cospicui, a seconda della gravità della malattia, ma questo probabilmente non è ancora sufficiente: occorrerebbe per esempio un appoggio infermieristico maggiore, la presenza di assistenti sociali, anche se è molto difficile in questo momento, considerata la carenza importante di fondi sia nella sanità che nell'assistenza”.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012