È il 29 agosto 1952, alla Maverick Concert Hall di Woodstock, nello stato di New York, il pubblico attende il pianista David Tudor per assistere alla prima esecuzione di un'opera di John Cage dal titolo 4' 33'', la somma in termini di durata dei tre movimenti indicati nel programma: 30'', 2' 23'' e 1' 40''. Tudor sale sul palco, si siede al pianoforte, estrae e fa partire un cronometro, lasciando la sala nel silenzio, prima per trenta secondi, poi per due minuti e ventitré, infine per un minuto e quaranta. Il suo spartito riporta una sola parola: Tacet.
Non era mai accaduto qualcosa di simile a un concerto e a raccontarlo, ora, è il fisico, saggista e docente universitario Gianni Zanarini nel suo recente libro Silenzio (Doppiavoce), una lettura breve ma densa, ricca di spunti per una riflessione rigorosa e al tempo stesso poetica, tra scienza ed emozioni, partendo dalle increspature dello sfondo neutro dei suoni, dallo studio degli stimoli sonori alle percezioni, creazioni di mondi e legami tra sensazioni, ricordi e fantasie nate dagli impulsi nervosi che l'orecchio invia al cervello.
Ritornando a quella sera d'estate di inizio anni Cinquanta, Zanarini prova, dunque, a calarsi nei panni del pubblico: immagina la reazione di sorpresa e incredulità e intercetta il nervosismo dei colpi di tosse e il fruscio delle pagine del programma sfogliate per cercare una spiegazione, i respiri profondi, i bisbigli, i piccoli movimenti. Si immerge in una vasca di silenzio vivo, in un "paesaggio sonoro" improvvisamente animato da quella che Cage definiva la sua opera preferita e a cui continuava sempre a tornare.
La musica e la poesia del silenzio, il silenzio è musica ed è poesia. Sul rituale delle sale da concerto Zanarini ritorna per approfondire la relazione tra silenzio ed emozioni, portando un esempio vicino all'esperienza di molti. Sul palco, poco prima dell'inizio di un concerto, gli orchestrali provano gli strumenti, in particolare si concentrano sui passaggi più difficili, generando una musica che, infine, converge nell'unica nota dell'oboe ripresa dal primo violino. Lo fanno di fronte al pubblico presente in sala, sfumando nel silenzio che precede l'inizio del concerto vero e proprio, "il silenzio emozionato di chi non conosce i brani in programma ed è aperto ad ogni possibilità, il silenzio attento e consapevole di chi già conosce la musica che verrà eseguita e prefigura l'attacco: quell'attacco che enuncerà, in un attimo, un'intera interpretazione". Culminando nell'attimo muto, carico di intensità e gratitudine, che precede l'esplosione dell'applauso.
“ Mi è sempre parso che la musica dovrebbe essere solo l'eccesso di un grande silenzio Marguerite Yourcenar
"Nella poesia e nella musica ci sono più silenzi: i silenzi di chi propone e quelli di chi ascolta un testo poetico o una composizione musicale. Da parte degli ascoltatori, non c’è solo un silenzio passivo, una neutra disponibilità ai suoni possibili, ma ci sono altri e più significativi silenzi: il silenzio della trepida attesa di un inizio, il silenzio emozionato che sottolinea la parola o la frase musicale appena enunciata, il silenzio consapevole che prefigura una cadenza armonica che forse non verrà, il silenzio intenso dell’eco e della meditazione quando le parole o la musica sono cessate…". Il compositore estone Arvo Pärt prescrive il numero di battute di silenzio al termine della musica e nel suo Silentium del 1977 invita a non limitarsi all'ascolto delle note: "Il silenzio - dice - è sempre più perfetto della musica. Bisogna imparare ad ascoltarlo". Nel brano per pianoforte Für Alina (1976), tra le sue composizioni più note insieme a Fratres (1977) e Spiegel Spiegel (1978), non indica i silenzi in maniera esplicita, "ma la libertà del dialogo tra musica e silenzio è lasciata all'interprete, attraverso l'assenza delle abituali prescrizioni di metro - spiega Zanarini - (numero di pulsazioni all'interno di ogni battuta e tipo di nota corrispondente a una pulsazione)". Non solo, "il tempo non è indicato come numero di pulsazioni al minuto ma in modo qualitativo, come Ruhig, erhaben, in sich hineinhorchend, cioè Calmo, sublime, introspettivo".
In un libro che, ancora una volta, si intitola Silenzio (Il Mulino), anche il violoncellista Mario Brunello ha riflettuto in maniera approfondita sulla condizione necessaria all'ascolto, riconoscendo al silenzio l'assoluta centralità come cuore pulsante dell'esperienza musicale: "Spesso sono proprio il silenzio, la pausa in musica, l'assenza di suoni che danno il via alla reazione emotiva". Ecco allora che, in musica e poesia, il silenzio si fa attivo, caricandosi di emozioni. Se nel mondo fisico il suono è l'increspatura di un silenzio piatto e vuoto, siamo noi a fare la differenza, è la nostra percezione a trasformare lo spazio tra suono e silenzio.
Nel finale di Volumina, brano per grande organo di György Ligeti del 1962, ci si ritrova dentro una "eternità di musica silenziosa", afferma Zanarini, "emotivamente ben diversa da una semplice assenza di suono". Nel 1980 il compositore veneziano Luigi Nono presentava Fragmente-Stille: an Diotima, quartetto per archi, e suggeriva agli esecutori di cantare, in silenzio, alcuni frammenti di testo dall'opera del poeta Friedrich Hölderlin per intrecciare poesia, note e silenzi.
La musica porta con sé un'idea di contemplazione e la necessità di svincolarsi dall'ascolto semantico in cui i silenzi corrispondono a non detti, a dimenticanze o reticenze. Nell'ascolto non semantico della musica, il silenzio è pieno, è parte integrante del paesaggio sonoro, è esso stesso musica dell'attesa, della meditazione.
L'incontro di parole e musica anima il territorio abitato dalla poesia: se i musicisti compongono note e silenzi, i poeti scrivono parole e silenzi. In entrambi i casi, il silenzio è un ingrediente essenziale, è protagonista muto e profondamente umano, lo scrive anche la poetessa Chandra Livia Candiani in Il silenzio è cosa viva (Einaudi): "Caro silenzio, aiutami a non parlare di te, aiutami ad abitarti".