A 200 anni dalla pubblicazione del romanzo di Mary Wollstonecraft Godwin Shelley, arriva in libreria Frankenstein. Il mito tra scienza e immaginario, (Carrocci Editori 2018), ultimo lavoro di Marco Ciardi, storico della scienza e scrittore, docente all’università di Bologna, in questi giorni a Padova in occasione del Cicap Fest, e Pier Luigi Gaspa, biologo, saggista ed esperto di fumetti. Gli autori ripercorrono la fortuna del romanzo nei secoli, ricostruendo innanzitutto lo sfondo culturale dell’epoca in cui è stato concepito. E raccontano genesi e sviluppo del mito di Frankenstein, fra cinema, teatro, fumetti e televisione.
Marco Ciardi non è nuovo al tema del mito. Con lo stesso editore nel 2017 pubblica Il mistero degli antichi astronauti e qualche anno prima, nel 2011, Le metamorfosi di Atlantide. Nel mito vive la memoria di eventi storici e naturali lontani nel tempo, tramandati a volte per millenni anche se con trasfigurazioni fantastiche. Vengono veicolati valori e credenze della civiltà in cui hanno origine, ma rimangono nel tempo di profonda attualità, espressione in chiave simbolica di tematiche universali.
Professore, cosa fa di un personaggio, di una civiltà, di una storia un mito?
Il mito diventa una tradizione che si sviluppa nel tempo fino ad assumere le caratteristiche di patrimonio collettivo di un’intera società, al punto tale da divenire un’idea a volte neanche più riconoscibile rispetto a quello che era o il messaggio originario o la storia originaria di partenza.
Il mito affonda le proprie radici indietro nel tempo, ma rimane sempre di profonda attualità. È capace di suscitare attrazione anche a distanza di tempo. Perché questo accade?
Perché il mito va a toccare generalmente le grandi domande della nostra esistenza. Nel caso di Frankenstein, ad esempio, l’origine della vita, del bene, del male, la capacità di esprimere pensieri, emozioni. Secondo alcuni il romanzo di Mary Shelley può essere considerato il primo romanzo di fantascienza, anche se inizierà ad avere successo dal punto di vista commerciale solo alla fine dell’Ottocento. Questo perché Frankenstein non è più il romanzo gotico dei fantasmi, ma una storia in cui si cerca di suscitare terrore, orrore attraverso le nuove acquisizioni scientifiche. E ciò lo rende anche un’opera in cui si riflette molto sulla scienza, sul valore etico della scienza, sul comportamento dello scienziato.
Un altro grande mito è quello di Atlantide che rimanda alla civiltà perduta, al paradiso originario. Tutti argomenti, questi, che ci suscitano emozione ed interesse.
Dai suoi lavori si evince che il mito si intreccia spesso con la storia del cinema, della letteratura, del fumetto, del teatro. Qual è il suo fascino?
Il fascino del mito è quello di poter scavalcare la sede originaria in cui ha avuto origine, per diventare un tema che può essere affrontato da tutti i mezzi di comunicazione. Nel caso di Frankenstein il primo vero grande successo non è quello letterario, ma quello teatrale. Quando lo si porta in scena il personaggio assume una serie di caratteristiche che nel romanzo non ci sono, ma che poi diventano quelle per noi abituali fino al famoso film del 1931 diretto da James Whale. Qui Frankenstein è uno scienziato che dà vita a una creatura interpretata dal famoso attore Boris Karloff. Quando si pensa al mostro si pensa a quel volto, a quell’immagine che è poi stata ripresa continuamente nei fumetti e nel cinema. Ne è esempio Lurch, il maggiordomo della famiglia Addams, palesemente ispirato al modello di Frankestein del 1931.
Nel mito realtà e fantasia si mescolano e si confondono. Questo può influire in qualche modo nella diffusione di teorie pseudoscientifiche?
Sì, influisce molto perché si dimentica la dimensione storica e l’evoluzione del mito. Ciò che dovremmo fare di volta in volta, che si tratti di fake news o di un mito di grande diffusione, è andare a ricostruirne l’origine, che poi è il lavoro che a me piace particolarmente. Diversamente le idee si confondono, si perdono e vanno ad alimentare approcci di tipo pseudoscientifico.
Consideriamo il mito di Atlantide. Già in Platone, nel 300 avanti Cristo, è chiaro che si tratta di una civiltà, forse vissuta in un’isola esistente oltre le colonne d’Ercole, che assomiglia più o meno a quella dell’antica Grecia. Nel corso del tempo però diventa una civiltà ipertecnologizzata da cui nascono le mitologie degli ufo, della Terra cava e tutta una serie di argomenti pseudoscientifici che travisano completamente il messaggio originario, reinterpretandolo a seconda della situazione.