CULTURA

Storie di attesa per Matteo Bussola

Matteo Bussola, stavolta, scrive una raccolta di racconti (Il tempo di tornare a casa, Einaudi 2022). Sono storie brevi, frammenti di vite, sguardi sul mondo (italiano) in cui è molto facile identificarsi. E non tanto perché l’autore sia in cerca di un plauso collettivo (è già molto amato, dal popolo dei lettori come da quello dei social e della radio) ma perché, in una sorta di epilogo spiega, le storie servono a “dare un senso alle nostre attese”.

Bussola – lo racconta spesso – passa gran parte della vita in treno, e chi va in treno impara ad aspettare. Dentro al convoglio, in piedi o seduto, con o senza mascherina (cioè ora come allora), sulla banchina, davanti al tabellone, in sala d’attesa, al binario, nella libreria in androne o al bar. C’è un ritardo, una mancata coincidenza, c’è chi arriva in anticipo per non perderlo chi invece lo perde proprio, il treno, perché è lui stesso in ritardo, e allora tocca aspettare. Oppure c’è la neve (e i relativi disagi), qualcuno che pensa di farla finita sui binari: le ragioni dell’attendere sono le più disparate. E la metafora del treno è solo apparentemente facile. Così come la chiusa: “[le storie servono] a farci capire che c’è sempre un treno da prendere, nonostante tutto. A farci sentire che siamo ancora in tempo”.

Non è consolatorio.

È davvero il principio dell’esistenza. E se l’arte ne è in qualche modo la mimesi, la letteratura non può che imbattersi in innumerevoli storie, che continuano, ricominciano, s’intrecciano, rappresentano come exempla o sono singolarità, brandelli di pensieri, di parole, di fatti accaduti.

Qui l’autore ne isola 19, di racconti, in cui il punto di vista è interno a ogni singola storia, ma poi la steadycam si sposta, e quella stessa vicenda che l’autore ci aveva presentato letta e narrata con gli occhi di lei passa a comporre la visione di lui, le ragioni del figlio si disciolgono quando si schiudono quelle del padre, la donna con le tre borse della spesa ora “sta” ora “va” ora ha una sua intima forza che la muove. Nello stesso modo “è il tempo perso per la tua rosa che rende la tua rosa così importante” di Saint-Exupéry passa da un foglietto alla parete di un bagno ai sogni di un bigliettaio, di una ragazza, di un ragazzo, e trascende. Si aspetta tutti di morire, di mangiare un panino, di incontrare l’uomo o la donna della propria vita, di scendere alla fermata giusta o di salire, il passaggio sotto un ombrello grande abbastanza per percorrere pochi metri: Bussola qui “inventa” alla sua maniera (il precedente era un romanzo dal titolo L’invenzione di noi due, e, anche in questa nuova fatica, Milo e Nadia, i due protagonisti dell’altro, s’affacciano per il tempo di un racconto), cioè trova, e restituisce con la sua innata facilità di raccontare. Quel che c’è: le vite degli altri che sono le storie di tutti. Perché: “Fra un incontro e un addio non c’è alcuna differenza. Si tratta sempre di lasciar andare una parte di te, di vivere con quel che resta”.

Abbiamo intervistato l'autore.

Intervista a Matteo Bussola di Valentina Berengo

Ci sono persone che passano la maggior parte della vita ad aspettare. […] Poi un giorno, senza preavviso, si alzano in piedi tra la folla e decidono che è ora Matteo Bussola

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