La genesi di un vulcano è nota. Può nascere occasionalmente in alcuni ambienti di intraplacca e, molto più frequentemente, lungo fasce ben definite della superficie terrestre (i margini delle placche tettoniche) per risalita e decompressione di mantello caldo, oppure per iniezione di componenti bassofondenti rilasciati in profondità da fondali oceanici idrati che “affondano” verso l’interno della Terra (quest’ultimo è il caso dei vulcani dell’arcipelago giapponese la cui formazione è associata alla subduzione della placca Pacifica al di sotto del continente asiatico). Esistono poi edifici vulcanici di ambiente di intraplacca che non sono inquadrabili in questa classificazione come quelli formatesi in Cina su un’area molto estesa. Uno di questi è il Changbai, situato al confine tra Cina e Korea del Nord a più di 1000 km ad Ovest del margine di placca giapponese. Infine esiste un altro gruppo di edifici vulcanici “anomali”, i petit-spot individuati sui fondali dell’Oceano Pacifico fino a 600 km ad Est del margine di placca giapponese, che sono dei vulcani sottomarini di piccole dimensioni.
È proprio la genesi di questi vulcani situati a centinaia di km ad Est e a Ovest del margine di placca giapponese a essere oggetto di un lungo dibattito poiché non è riconducibile né al rilascio di fluidi da parte della placca Pacifica in subduzione né alla risalita di mantello più caldo.
Il professor Manuele Faccenda e il dottor Jianfeng Yang del dipartimento di Geoscienze dell’università di Padova hanno pubblicato sulla rivista Nature l’articolo Intraplate volcanism originating from upwelling hydrous mantle transition zone che fornisce una chiave di lettura per comprendere la composizione del mantello terrestre e i processi dinamici che vi avvengono.
Il mantello terrestre (una regione che occupa l’85% in volume della Terra e che si estende dalla base della crosta - circa 6-80km - fino al tetto del nucleo – 2.900 km) è composto per lo più da minerali che tendono a fondere con l’aggiunta di piccole quantità di acqua, in genere inferiori al litro per metro cubo di roccia.
Tuttavia, tra i 410 e i 660 km di profondità, in una regione detta “zona di transizione del mantello”, esistono minerali come la wadsleyite e la ringwoodite che riescono ad accogliere all’interno del loro reticolo atomico quantità maggiori di acqua, fino a 10 litri per metro cubo di roccia.
Potenzialmente quindi esiste un enorme oceano “profondo” accolto nelle rocce del mantello. Qui l’acqua arriva trasportata dalle placche oceaniche che frequentemente si depositano nella zona di transizione e rilasciano parte dei fluidi che hanno immagazzinato in superficie. L’acqua incorporata nei minerali idrati presenti sui fondali oceanici viene cioè trasportata verso l’interno della Terra a causa dei moti convettivi che interessano il nostro pianeta. Più si scende e più aumenta la temperatura causando la decomposizione dei minerali idrati e il rilascio dei fluidi nel mantello circostante.
Lo studio dimostra che la zona di transizione al di sotto del Giappone e della Cina orientale è effettivamente ricca in acqua e che le porzioni di mantello adiacenti a quelle della zona di transizione sono caratterizzate dalla probabile presenza di magma che alimenterebbe i processi vulcanici “anomali” in superficie.
“Ci sono numerose evidenze che indicano come la zona di transizione possa ospitare una frazione cospicua dell’acqua terrestre e attraverso la simulazione computerizzata abbiamo compreso quali sono i meccanismi che portano alla risalita in superficie di queste riserve di acqua profonde con la comparsa di vulcani anomali”, spiega Jianfeng Yang.
“I risultati delle simulazioni suggeriscono come la formazione dei “petit-spot” e dei vulcani come il Changbai sia riconducibile all’interazione della placca Pacifica con il mantello della zona di transizione ricco in acqua. L’affondamento di una placca oceanica all’interno della zona di transizione, già ricca d’acqua, viene compensata dalla risalita a centinaia di chilometri di distanza di mantello idrato che, a profondità minori, comincerebbe a fondere producendo magma - dice Manuele Faccenda - Non solo, la maggior parte dell’acqua trasportata in superficie dal magma viene poi immessa nell’atmosfera durante le eruzioni, dando vita a episodi di degassamento del mantello molto importanti che andrebbero a compensare l’acqua “persa” durante la subduzione dei fondali oceanici idrati. Questo contribuirebbe a mantenere costante la quantità di acqua presente sulla superficie terrestre nel corso di milioni di anni, conclude Faccenda.
Lo studio ha importanti conseguenze anche per l’interpretazione di fenomeni vulcanici anomali osservati in altre regioni del nostro pianeta, come ad esempio nel Mediterraneo centrale. A questo riguardo, i ricercatori hanno cominciato una nuova serie di simulazioni volte a riprodurre l’evoluzione recente di questa regione dove accanto alla presenza di edifici vulcanici situati nei pressi di una zona di subduzione (le isole Eolie), ve ne sono altri la cui genesi è di difficile interpretazione.