Si può sempre trovare una buona occasione per incontrare o reincontrare un’italiana interessante e misteriosa, migrante e sfuggente come Tina Modotti. Fate come se fosse Monica Bellucci, un secolo prima ovviamente. Assunta Adelaide Luigia Tina Modotti Mondini, era nata nel 1896 a Udine ed è considerata una fra le più grandi fotografe del ventesimo secolo. Figlia battezzata della sarta “cucitrice” Assunta Mondini (1863-1936) e del carpentiere tornitore “tuttofare” socialista Giuseppe Saltarini Modotti (1863-1922), terzogenita di sei sorelle e fratelli, Tina non poté studiare a lungo; fece presto a dodici anni l’operaia in una filanda e in una fabbrica tessile; nella bottega dello zio Pietro imparò a essere fotografata e a scattare foto, poi a realizzare o a gestire negativi e positivi. Nel 1913 decise di lasciare l’Italia e raggiunse a San Francisco il padre emigrato (per le idee politiche e la carenza di lavoro), nei decenni successivi divenne poi una grande fotografa del Novecento e una famosa rivoluzionaria in vari continenti.
La prima fase della vita “friulana” di Modotti (c’è tutta una storia dei doppi nomi e cognomi in quell’area) può essere distinta in due differenti periodi: l’infanzia e l’adolescenza. Dal 1898 al 1905 la famiglia emigrò in Carinzia dove il padre, precario, avventuroso e creativo, trovò lavoro come meccanico. Tornati a Udine, nel 1907 il padre e la figlia maggiore quindicenne emigrarono negli Usa; Tina li raggiunse qualche anno dopo a San Francisco viaggiando sola, in treno fino a Genova, in nave fino a Napoli e poi alla costa orientale americana, in treno fino a Oakland, in traghetto fino alla baia dove la aspettavano i familiari. Ebbe così inizio la seconda cruciale fase esistenziale: all’inizio visse con loro, lavorava in una fabbrica di camicie e poi di cappelli, si appassionò alla vita culturale, teatrale e artistica californiana, finché nell’autunno 1917 conobbe a New York il poeta e pittore Robo Roubaix de l’Abrie Richey, col quale si sposò nel 1917 e visse per cinque anni a Los Angeles, divenendo definitivamente donna, artista, cosmopolita. Aveva capelli scuri, un ovale perfetto, un corpo morbido e ben proporzionato, uno sguardo intenso e malinconico, risultava affascinante per tutti (più ancora che semplicemente bella), fu protagonista di qualche film muto a Hollywood.
All’inizio del 1922, a distanza di un mese l’uno dall’altro, morirono il marito e il padre, le successive fasi della vita furono ancor più erranti e migranti, contrassegnate dai luoghi dove le capitò in prevalenza di vivere, sempre intensamente e lasciando tracce pubbliche e artistiche: nel Messico post-rivoluzionario dal 1923 al 1930 (a lungo con il grande maestro fotografo Edward Weston, lei più fotografa sociale militante, spesso con Diego Rivera e Frida Kahlo, dal 1928 col grande amore cubano Julio Antonio Mella, ucciso in un agguato); da comunista a Berlino nel 1930; per il Comintern e il Soccorso Rosso Internazionale tra Mosca e Parigi fino al 1935 (con Vittorio Vidali); nella Spagna della guerra civile fino al 1939 (quando aiutò a fuggire migliaia di profughi); in Messico (come traduttrice) fino a una prematura scomparsa anch’essa sottoposta a illazioni, sospetti e pettegolezzi. Durante la notte tra il 5 e il 6 gennaio 1942 morì sola in taxi per un infarto (dopo una cena da e con amici), aveva solo 45 anni. Fu sepolta due giorni dopo al Panteon Civil de Doloressotto una lapide dello scultore Méndez accompagnata da versi meravigliosi di Pablo Neruda, amico compagno fratello: “Tina Modotti sorella, non dormi, no, non dormi… Forse il tuo cuore sente crescere l’ultima rosa di ieri, la nuova rosa. Riposa dolcemente… Non muore il fuoco”.
Ad agosto 2019 avete due ottime occasioni per capirla meglio. In Friuli Venezia Giulia a Palazzo Frisacco di Tolmezzo (Udine) fino al 25 agosto troverete allestita la mostra fotografica “Tina. Arte e libertà fra Europa e Americhe“. Nelle Marche, fino al primo settembre a Palazzo Bisaccioni di Jesi (Ancona) potrete visitare un’altra mostra “Tina Modotti. Fotografa e rivoluzionaria“. Sono stato a Jesi domenica 29 luglio. La mostra è curata dal tedesco Reinhard Schultz con testi di Francesca Macera e Christiane Barckhausen, sul manifesto e sulla copertina del catalogo la celebre foto di Weston a Modotti del 1923, le proprie mani femminili sul delicato volto struggente e gli occhi chiusi. Le immagini (ovviamente in bianco e nero) ripercorrono l’intera vita, raggruppata in sei periodi cronologici da Little Italya Mosca, perlopiù in piccolo formato; circa la metà fattele, circa la metà sue; non tantissime ma estremamente significative e ben commentate. In un angolo del piccolo fresco spazio, un televisore proietta i tre film da lei interpretati. Ingresso gratuito e libera possibilità di prendere quattro foto in cartolina.
Nessuna delle due mostre aggiunge materiali introvabili, entrambe arricchiscono conoscenze e curiosità intorno a una personalità straordinaria di origini italiane e radicamento mondiale. Tina crebbe proletaria nel punto d’incontro fra tre grandi culture europee (latina, slava, germanica), cantava in friulano e conosceva almeno sei lingue. All’estero fu un’italiana indimenticata, a lungo più conosciuta là che qui. Faceva la messicana nei film degli Studios senza ancora aver toccato il Messico. Era di casa in tutti gli ambiti artistici americani, realizzandosi attraverso immagini rimaste memorabili nella storia della fotografia. Le sono stati attribuiti amori e storie con tanti uomini e donne, risultando comunque molto attraente per l’insieme della sua identità culturale e sociale. Fu femminista a suo modo, a quei tempi. A Jesi è in mostra uno dei bei nudi che Weston le fece nella serie “Tina sull’azotea” (intorno al 1923-1924), obliqui naturali sensuali signorili, posata su un tessuto di cotone grezzo, appunto sul tetto piatto della loro residenza messicana.
L’auspicio è che ve ne innamoriate, qualunque sia il vostro orientamento sessuale e credo politico, vale la pena. Potrete allora pure leggere la magnifica documentata biografia “Tinissima” dedicatale dalla scrittrice e giornalista messicana Elena Poniatowska (discendente di nobili polacchi) oltre venti anni fa, con ricche variegate lunghe interviste, a fine 2016 finalmente tradotta integralmente in italiano per Nova Delphi Edizioni. E molto altro, visto che memorie, ricostruzioni, raccolte di lettere, cataloghi di foto sono apparsi in tutto il mondo, alcuni importanti anche di autori italiani (come la biografia di Cacucci per Feltrinelli del 2005). A lei sono state dedicate canzoni e poesie, documentari e spettacoli, ricerche e saggi, voci d’enciclopedie e rassegne critiche (grazie anche alle attive intraprendenti mediateche friulane e al comitato sorto in suo onore).
Non è finita qui. Tina Modotti dovrebbe essere impersonata in una mini serie televisiva da Monica Bellucci, pare che abbia chiesto proprio lei di girarla e interpretarla. L’uscita è prevista entro la fine del 2019, sei puntate ambientate tra Messico, Stati Uniti e Italia. La breve e tumultuosa vita diventerà così una serie diretta dal regista napoletano Edoardo De Angelis e significativamente intitolata Radical Eye, The Life and Times of Tina Modotti. Un paio di occhi, uno sguardo, una visione del mondo di carattere “radical” (radicale all’americana), tutti consapevoli che anche l’occhio è un organo culturale e ideologico, ne era convinta innanzitutto Tina che fotografava le mani al lavoro per descrivere un popolo contadino e operaio. Sembra che, prima di Bellucci, si era candidata a raccontare la storia di Tina addirittura Madonna, identificandosi in quello spirito irrequieto e coerente. La sceneggiatrice è Paola Vaccaro (la vita di Modotti “è talmente intensa e varia… che la forma narrativa migliore è quella della serie”), sarà una coproduzione italo-americana, le riprese sono iniziate ad agosto 2018 (e a quella data risale anche la prima e finora rara foto di Monica nei panni di Tina).