La transizione energetica non sarà un pranzo di gala. Questo è il messaggio che traspare da un recente rapporto dell’Agenzia internazionale sull’energia (IEA, 2021) che illustra un possibile percorso per contenere l’aumento delle temperature entro 1,5°C rispetto al periodo pre-industriale. Le opzioni che abbiamo di fronte a noi per ridurre la traiettoria delle emissioni – differenti per le ipotesi relative alle tecnologie disponibili – evidenziano due punti fermi: la Transizione energetica richiede ingenti investimenti (nell’ordine delle migliaia di miliardi di euro all’anno) e comporterà, almeno nel medio termine, maggiori costi dell’energia. Quest’ultimo effetto potrebbe ridurre la capacità di alcuni soggetti ad accedere a un insieme minimo di servizi energetici: l’aumento dei prezzi dell’energia implica effetti distributivi rilevanti su famiglie (e imprese) che non possono esser ignorati, pena il ripetersi di fenomeni di dissenso, anche violenti, come i gilet jaunes in Francia del 2019.
Il dilemma è che la transizione possa accrescere il numero di famiglie in condizioni di “povertà energetica” quelle che risulteranno maggiormente colpite dall’aumento dei prezzi dell’energia per la loro difficoltà di modificare la loro domanda di energia, già prossima ai livelli minimi di consumo. Uno studio di alcuni ricercatori dell’Osservatorio italiano sulla povertà energetica (OIPE) presso il Centro Studi Levi-Cases (Università di Padova) definisce le famiglie in povertà energetica come quelle che, avendo una spesa totale (che ne approssima il livello di benessere) “bassa” hanno una spesa energetica “eccessiva” (sono costrette a stressare il loro bilancio mensile) oppure una spesa per riscaldamento nulla (devono comprimere i consumi essenziali). In sostanza, il primo tipo di famiglie è in povertà energetica perché spende troppo per scaldarsi rispetto alle sue possibilità, il secondo invece lo è perché si trova di fronte al dilemma “to eat or to heat” spegnendo il riscaldamento (che da solo vale circa due terzi della spesa energetica domestica). Benché il Governo italiano non abbia un indicatore ufficiale, questa misura è stata presa a riferimento nei due principali documenti governativi in materia di energia e clima, la Strategia energetica nazionale del 2017 e il Piano integrato energia e clima del 2019.
L’OIPE redige annualmente - sin dalla sua fondazione nel Febbraio 2019 - un report che contiene una prima parte dedicata alla misurazione della povertà energetica e una seconda alle politiche di contrasto. L’ultimo Rapporto sullo stato della povertà energetica in Italia (qui le slides) è uscito prima che i dati sul 2019 fossero disponibili. In questo breve articolo aggiorniamo la misura della povertà energetica con questi dati.
Secondo questo indicatore, alla fine del 2019 vi erano in Italia 2,2 milioni di famiglie in povertà energetica (8,5 per cento del totale), un numero in lieve riduzione rispetto all’anno precedente (circa 80 mila famiglie in meno, pari a una riduzione di 0,3 punti percentuali, Figura 1). La ricchezza informativa dei microdati Istat consente di studiare in dettaglio le determinanti di questa riduzione, mostrando che, verosimilmente a causa di un inverno 2019 eccezionalmente rigido in alcune regioni del Mezzogiorno, numerose famiglie in difficoltà economica (intese come quelle con una spesa totale inferiore alla mediana) che avevano spesa per riscaldamento nulla hanno dovuto sostenere spese addizionali per difendersi dal freddo eccezionale. Trattandosi di famiglie in condizioni di vulnerabilità, è probabile che questo abbia comportato la riduzione di altre voci di spesa essenziali, quali cibo o medicine, determinando una generalizzata perdita di benessere. Questo fenomeno sarebbe inoltre sottostimato per il significativo aumento delle erogazioni dei bonus elettrico e gas (+5,8%) che avrebbe consentito di affrontare il maggior ricorso ai servizi di riscaldamento senza un eccessivo aumento della spesa. Si segnala inoltre che delle 2,2 milioni di famiglie in PE, il 37% è in affitto. Di queste, circa un terzo alloggiava in immobili di proprietà di IACP/ATER o altro ente pubblico (circa un ottavo del totale delle famiglie in PE
Questa circostanza dimostra come anche a fronte di una marginale riduzione dell’incidenza del fenomeno, sia sempre necessario monitorare con attenzione questa problematica, anche alla luce dei citati maggiori costi della decarbonizzazione. La sfida dei governi è di gestire la transizione, predisponendo dei meccanismi di tutela per le fasce più deboli, favorendo così il consenso sociale necessario a superare la “tragedia degli orizzonti” che rischia di bloccare i progressi di una transizione necessaria per il benessere nostro e delle generazioni future. Possiamo fare di più; dobbiamo fare di più.