Perché in alcuni casi il tumore alla prostata, il più frequente tra gli uomini, è resistente alle terapie? Esistono nuove cure al vaglio? Lo stile di vita influisce sullo sviluppo della malattia? E la genetica che posto occupa? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Alimonti, docente all’università di Padova e all’università della Svizzera italiana, e ricercatore all’Istituto veneto di medicina molecolare, che da tempo si occupa di questi argomenti e che negli ultimi mesi con il suo gruppo ha pubblicato alcuni studi su Nature che fanno luce su questi aspetti.
Prof. Alimonti, nonostante negli anni siano stati compiuti progressi in ambito terapeutico, in molti casi la malattia evolve in una forma resistente e aggressiva e diventa fatale. Perché?
Abbiamo scoperto che un particolare tipo di cellula immunitaria detta cellula mieloide, normalmente presente anche negli individui sani, aumenta in modo marcato nel sangue dei pazienti affetti da carcinoma alla prostata, entra all’interno del tumore e inizia a secernere interleuchina 23 (IL23). Questa rende il tumore più aggressivo e soprattutto resistente alla terapia anti-androgenica. È la prima volta che si identifica un meccanismo per cui una cellula del sistema immunitario è in grado di rendere resistente alla terapia anti-androgenica una cellula tumorale.
L’aspetto interessante è che in commercio esiste già un anticorpo capace di bloccare l’interleuchina 23, utilizzato da molti anni per la terapia delle malattie reumatologiche e per alcune forme di psoriasi. Abbiamo somministrato ad animali affetti da carcinoma prostatico, resistenti alla terapia anti-androgenica, questo anticorpo e abbiamo visto che l’anticorpo blocca efficientemente l’interleuchina 23. Si assiste a una incrementata risposta tumorale e soprattutto a una riattivazione della sensibilità di queste cellule tumorali alle terapie standard che bloccano l’androgeno, come l’abiraterone o l’enzalutamide. Ora stiamo cercando di portare in clinica questo tipo di scoperte. A breve dovrebbe partire un trial multicentrico in cui valuteremo l’efficacia di questo anticorpo in combinazione con terapie anti-androgeniche, le terapie ormonali standard.
Tra quanto potranno essere disponibili le nuove terapie?
Sulla base di precedenti esperienze, penso nel giro di tre anni. Già nel 2014 il mio gruppo aveva identificato un inibitore delle cellule mieloidi (un antagonista del recettore CXCR2 delle cellule stesse) che impedisce loro di espandersi nel sangue dei pazienti con tumore della prostata o di entrare all’interno del tumore stesso. Grazie a questa scoperta in quattro anni abbiamo attivato un trial clinico e in questo momento, in Svizzera e a Londra, stiamo trattando pazienti affetti da tumore della prostata metastatico con questo inibitore in combinazione con una terapia ormonale standard (enzalutamide).
Lo stile di vita influisce sullo sviluppo di questi tumori?
Sì, esiste una connessione tra stile di vita e sviluppo del tumore alla prostata e ora conosciamo anche i meccanismi che ne stanno alla base. Sull’argomento il mio gruppo, in collaborazione con l’università di Harvard, ha condotto uno studio pubblicato recentemente su Nature Genetics. Per la prima volta abbiamo messo in connessione il rischio di sviluppo del carcinoma della prostata metastatico a una dieta ricca di grassi. Già in passato si sapeva che i pazienti affetti da questo tipo di neoplasia che seguivano una dieta ricca di grassi avevano una sopravvivenza più breve e un rischio maggiore di sviluppare metastasi, rispetto a pazienti che invece facevano una dieta cosiddetta vegetariana.
Ciò che ora abbiamo scoperto è che le cellule tumorali della prostata sono estremamente “ghiotte” di grassi, ne hanno bisogno per poter proliferare e metastatizzare. Abbiamo dimostrato che esiste la possibilità di bloccare un enzima chiave coinvolto nel metabolismo lipidico (l’enzima mitocondriale PDC) e che grazie a questa inibizione si ha una riduzione del tumore e delle metastasi. Si tratta di un inibitore che abbiamo sviluppato noi, ma non ancora disponibile in clinica.
La genetica che peso ha?
Nel tumore della prostata esistono cause genetiche che per molti anni sono state un po’ neglette. È noto il caso di Angelina Jolie, portatrice di una mutazione genetica che predispone a un rischio molto elevato di sviluppo del carcinoma della mammella. Donne che hanno questa mutazione talvolta scelgono di sottoporsi a mastectomie preventive.
Gli stessi tipi di alterazioni genetiche, nello specifico dei geni Brca 1 e Brca 2, ma anche di altri geni coinvolti nel riparo del DNA possono essere associati al rischio di tumore alla prostata. Per il futuro si sta cercando di identificare queste alterazioni genetiche nei pazienti affetti da carcinoma prostatico, soprattutto nei pazienti che sviluppano questo tipo di neoplasie in età giovanile, una popolazione di pazienti considerevole in cui di solito la malattia ha un andamento molto aggressivo. È, di fatto, un filone aperto che in futuro porterà sicuramente in pratica clinica anche allo screening dei pazienti.