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UniversoPoesia: Leopardi non così pessimista

“Hanno questo di proprio le opere di genio, che quando anche rappresentino al vivo la nullità delle cose, quando anche dimostrino evidentemente e facciano sentire l’inevitabile infelicità della vita, quando anche esprimano le più terribili disperazioni, tuttavia ad un’anima grande che si trovi anche in uno stato di estremo abbattimento, disinganno, nullità, noia e scoraggimento della vita, o nelle più acerbe e mortifere disgrazie (sia che appartengano alle alte e forti passioni, sia a qualunque altra cosa); servono sempre di consolazione, raccendono l’entusiasmo, e non trattando né rappresentando altro che la morte, le rendono, almeno momentaneamente, quella vita che aveva perduta”.

Lo scrive Leopardi, nello Zibaldone, un’opera sterminata (più di 4.000 pagine) che l’autore mise insieme tra il 1819 e il 1832, raccogliendovi pensieri e riflessioni in una sorta di diario. Questo è il passo che Massimo Natale, docente di letteratura italiana all’Università di Verona e autore di diversi testi sul poeta tra cui Il canto delle idee. Leopardi fra “Pensiero dominante” e “Aspasia” (Marsilio), mette in evidenza quando gli abbiamo domandato quanto abbia inciso la sua fin troppo nota infelicità sulla poetica di Leopardi. Di seguito l'intervista allo studioso: una chiacchierata che restituisce uno sguardo più lieve sul poeta celebre per il suo pessimismo.

 

Hanno questo di proprio le opere di genio [...] servono sempre di consolazione, raccendono l’entusiasmo, e non trattando né rappresentando altro che la morte, le rendono, almeno momentaneamente, quella vita che aveva perduta Giacomo Leopardi, Zibaldone

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