CULTURA

UniversoPoesia: "Rizomi" nella poesia di Montale

Rizomi, ovvero quei fusti perenni e sotterranei che sembrano radici ma recano foglie. Promesse di nuova vita, organi di riserva per il futuro, germogli invisibili, simbolo di rinascita silenziosa e ostinata. Rizomi è il nome scelto per la collana di libri di piccolo formato ideata dalla Padova university press, nata con l'obiettivo di "rimettere in circolazione lavori seminali di alcune tra le più significative voci dell'ateneo patavino". Si tratta di un progetto editoriale di altissimo valore intellettuale che offre a un lettore preparato, attento e appassionato una serie di testi fondamentali collocandoli in "contesti nuovi e in continua mutazione".

La vita mi ha sempre fatto pensare a una pianta che vive del suo rizoma: la sua vera vita è invisibile, nascosta nel rizoma C.G. Jung

Dopo Trasformare il mondo, breve guida alla lettura delle Metamorfosi di Ovidio, firmata da Emilio Pianezzola (1935-2016), nel 2019 la Pup ha (ri)pubblicato, a cura di Sergio Bozzola, il profilo d'insieme de La poesia di Eugenio Montale di Pier Vincenzo Mengaldo, autore di un ricco testo critico, dedicato al poeta di Ossi di seppia, comparso una prima volta nel 1995 in Letteratura italiana. Le opere IV. Il Novecento, I, L'età della crisi, diretta da A. Asor Rosa, Torino, Einaudi, e poi ristampato nel 2000 in La tradizione del Novecento. Quarta serie, Torino, Bollati Boringhieri.

Il nome di Mengaldo è strettamente legato all'Università di Padova: già docente di Storia della lingua italiana, è riconosciuto come uno dei massimi interpreti del Novecento. Al lettore è qui offerta l'occasione di godere di una vera e propria lezione sulla poesia di Montale: una lunga, precisa, accurata riflessione critica attorno all'opera di un gigante della letteratura italiana del Novecento. La capacità di analisi così puntuale ci permette di entrare in profondità e assistere, passo dopo passo, a ogni cambiamento, arrivando a comprenderne le scelte e le necessità, a constatarne il gusto, riuscendo a riconoscere anche il dettaglio più sotterraneo. 

"Dell'Opera in versi di Montale non si può propriamente parlare come di un complesso veramente unitario per genesi, quale il Canzoniere di Saba o la stessa Vita d'un uomo di Ungaretti - esordisce Mengaldo -. Essa infatti, in quanto raccolta completa, riunita in un solo libro, delle poesie pubblicate dall'autore, nasce da una quasi postuma iniziativa filologico-editoriale (a cura di Rosanna Bettarini e Gianfranco Contini), certo col consenso anzi la collaborazione dell'autore. Non mancano però chiari pronunciamenti di Montale stesso a favore dell'unità di tutta o parte della sua produzione poetica. A Giulio Einaudi che gli propone d'arricchire una nuova edizione degli Ossi di seppia con 'quaranta poesie nuove' (poi nucleo delle Occasioni), Montale risponde che preferisce fare un 'libro nuovo', ma vede la possibilità di una futura 'fusione dei due canzonieri in un unico libro'". Nel 1962 definisce i primi tre libri "tre parti della stessa autobiografia" e nel 1975, di fronte alla possibilità di unire gli Ossi alle raccolte recenti, Montale risponde: "Credo di sì, ho scritto un solo libro, di cui prima ho dato il recto ora do il verso". 

Non ha fretta Mengaldo, chiede di seguire il suo tempo: l'analisi procede paziente, soffermandosi sulla lingua, le forme poetiche, i temi, i modelli, lo stile. Così, pagina dopo pagina, le evoluzioni della poetica montaliana si fanno evidenti, si svelano. Le lezioni dei grandi professori hanno questo indiscutibile pregio: aprono vie di comprensione, guidano verso la conoscenza, articolando un discorso totale, complesso a tal punto da indurti talvolta a cedere, ma così intenso, ricco e "sfidante" da invitarti con determinazione a proseguire.

Meriggiare pallido e assorto / presso un rovente muro d'orto, / ascoltare tra i pruni e gli sterpi / schiocchi di merli, frusci di serpi Eugenio Montale

"Come per tutti i grandi artisti longevi, non uno ma molti Montale ci guardano dalle sue raccolte poetiche". La riflessione di Mengaldo si concentra sui titoli e le varianti, sull'utilizzo delle date, "abitudine che ha riscontri illustri nella poesia del Novecento, basti pensare ai testi o sezioni esplicitamente diaristici dell'Allegria di Ungaretti o del Diario d'Algeria sereniano, ma mentre qui date e luoghi, sempre collocati in calce, fanno strettamente parte del testo, in Montale le datazioni, confinate nella Nota o nell'Indice, hanno più il valore di promemoria o di istruzioni per l'uso". E ancora, la lezione si sposta sulla poesia metafisica, fondata da Baudelaire e Browning, a cui Montale sentiva di appartenere (quella che "nasce dal cozzo della ragione con ciò che ragione non è"), sull'alternarsi di liriche brevi e testi diffusi, "opposizione tra forme di liricità più concentrata, consumata fulmineamente nell'attimo, e un'affabulazione più distesa nella durata che può accogliere in sé (come in tanta ottima poesia moderna) elementi schiettamente narrativi", sull'uso della rima ("è probabile che nessun poeta del Novecento abbia fatto un uso né così intenso - è stato calcolato che il cinquanta per cento dei versi degli Ossi sia rimato - né soprattutto così originale della rima"), sui punti di riferimento "non necessariamente di tipo verbale", sulle fonti e i modelli come Dante, Pascoli e D'Annunzio. "Il dantismo montaliano è unico nel nostro Novecento per intensità, assimilazione a fondo, capacità di attualizzazione, senza frammentismi né gusti puramente citatori. Ed è significativo che già tutta tramata di echi danteschi sia la più antica poesia degli Ossi, Meriggiare pallido e assorto, prova generale di paesismo petroso e di energia stilistica". 

Illuminando tutti i volti del poeta, Mengaldo ne ripercorre l'esperienza definendone l'identità, poggiando sulla solida base dello studio, della meticolosa e paziente ricerca. "Fra i contemporanei - scrive, in chiusura - egli (Montale, ndr) è certamente il poeta che più assume in sé echi, elementi, stimoli della tradizione italiana, antica e recente, al punto da parerne, ed esserne, in sostanza, una sorta di punto d'arrivo ed epitome; ma nella sua essenza più profonda, psichica ed immaginativa, Montale a ben guardare è un poeta assai poco italiano (mentre lo sono perfettamente Saba e Ungaretti), molto più assimilabile invece ai poeti di lingua inglese che ha ammirato e tradotto". Ed ora, con nuovi occhi e rinnovati strumenti di comprensione, il desiderio di tornare sui suoi testi si fa più urgente.

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