Il telescopio Hubble. Foto: NASA/Unsplash
A Roma, si sa, antico e moderno si susseguono senza soluzione di continuità. E dunque, proprio in questo spirito, quale luogo migliore per ospitare il Planetario, finestra sull’infinità dell’universo, degli imponenti palazzi fascisti che ospitano il Museo della Civiltà Romana? Passato e presente si incontrano, si intersecano e dialogano; e il loro intersecarsi è tutto qui, nell’apparente contraddittorio accostamento tra i fasti di una civiltà passata e le scoperte sullo spazio profondo, mediate dalle tecnologie più avanzate.
Il Planetario della capitale è uno dei più antichi d’Europa: aperto nel 1928 nella storica sede all’interno delle terme di Diocleziano, vicino alla stazione Termini, era dotato di un sofisticatissimo planetario di marca Zeiss, allora uno strumento d’avanguardia, offerto dalla Germania allo Stato italiano come riparazione dei danni subìti nel corso della Prima Guerra Mondiale. Quel gioiello della tecnica accompagnò romani e turisti alla scoperta dei misteri del cosmo fino al 1984, quando il museo venne chiuso. Venne riallestito, dopo circa vent’anni, nell’attuale sede all’EUR, in un’ala del Museo della Civiltà Romana, dove trovò posto anche il Museo dell’astronomia. Nel 2014, tuttavia, il Planetario venne nuovamente chiuso per lavori di riqualificazione. Dopo otto anni di assenza, il 22 aprile 2022 – in occasione del 2775° Natale di Roma – il Planetario ha nuovamente aperto i battenti, rinnovato e pronto ad accogliere nuovamente i visitatori.
Il Planetario di Roma, rinnovato e con un cartellone ricco di eventi, accompagna dunque gli spettatori in incredibili viaggi nell’universo. Sotto la grande cupola digitale – 14 metri di diametro, 300 mq di schermo – ci si addentra in un viaggio di “ritorno alle stelle”. Ritorno, sì, perché la narrazione scientifica (guidata da cinque astronomi e divulgatori scientifici di grande perizia) non perde mai di vista quella dialettica tra passato e futuro che a Roma è quasi palpabile.
E, d’altronde, già i popoli antichi studiavano il cosmo, si interrogavano su cosa nascondesse quella volta celeste che li sovrastava. La risposta, in mancanza di strumenti sofisticati come quelli di cui oggi disponiamo, era spesso una via di mezzo tra la scienza e il mito: tra mondo umano e mondo celeste non si percepiva una separazione incolmabile, poiché quest’ultimo era la sede delle divinità, che degli uomini governavano l’esistenza. Di questo profondo e sacro legame con il cosmo, i Romani hanno lasciato numerose testimonianze terrene anche nella capitale del loro impero – tracce che sono ancora oggi ben visibili, ad un occhio attento.
Tenendo bene a mente il nostro passato, è possibile librarsi verso nuovi orizzonti: in questo caso, al di là dell’atmosfera terrestre, alla scoperta del nostro Sistema solare, con i suoi pianeti vicini e lontani dalla stella comune, solidi o gassosi, gelidi o infernali; e poi sempre più lontano dalla Terra, superando la nostra galassia, ammirando – con un po’ di vertigine, perché vedere (anche se in una trasposizione digitale) è ben più efficace del semplice conoscere – la quantità di galassie, di pianeti, di satelliti, di possibili altre Terre e altre vite. Si ha così, pur rimanendo seduti su una poltrona reclinata, un assaggio dell’immensità in cui siamo avvolti.
Le nostre guide non mancano, nel corso di questo viaggio, di riportarci spesso al presente. Questa bramosia di conoscenza, che oggi ci ha già portato sulla Luna, su Marte e nell’infinità dello spazio cosmico (la sonda spaziale Voyager I, lanciata quasi 45 anni fa, è ancora attiva e fluttua nello spazio a una distanza siderale dal nostro pianeta), non è soltanto fine a se stessa: quando, infatti, una volta lasciata la Terra, abbiamo nuovamente puntato gli obiettivi verso quel pianeta blu e bianco, è stata una folgorazione: un ‘pallido puntino blu’ nell’incommensurabilità dell’universo, di cui abbiamo in un attimo compreso la fragilità e l’importanza. C’è chi addirittura sostiene che siano state proprio due immagini spaziali della Terra a risultare determinanti per il diffondersi del movimento ambientalista.
Movimento, quello che da decenni lotta perché sia riconosciuta l’importanza di tutelare l’ambiente dai danni che le nostre azioni provocano, di cui solo oggi, nostro malgrado, apprezziamo veramente la lungimiranza. Ecco allora che guardare lontano – nel passato remoto della nostra storia, così come nelle distanze abissali che ci separano dagli altri corpi celesti – ci spinge inevitabilmente a guardare con nuovi occhi, e ad apprezzare con nuova consapevolezza, ciò che ci circonda da vicino.