SCIENZA E RICERCA

Vaccini: "L'obbligo aiuta, ma servono nuove politiche"

Se non si può parlare di inversione di marcia, in merito al recente decreto legge sui vaccini atteso alla Camera il prossimo 24 luglio per la discussione generale, sicuramente si può parlare di rallentamento. Approvato lo scorso giugno, il decreto che introduce l’obbligo ad alcune vaccinazioni per l’accesso a nidi, scuole dell’infanzia e dell’obbligo, entrerà in vigore il prossimo settembre in concomitanza con l’inizio delle scuole. Di concessioni, limature, proposte di modifica a questo testo così discusso fin dalle prime bozze, ne sono state fatte diverse. Le ultime andrebbero a intervenire su alcuni punti fondamentali: la riduzione del numero delle vaccinazioni obbligatorie da 12 a 10 (emendamento approvato ieri in Commissione sanità del Senato), la riduzione delle sanzioni pecuniarie da 500 a 3.500 euro per chi non adempie all’obbligo (prima la multa prevista variava dai 500 ai 7.500 euro), l’eliminazione della perdita della patria potestà e l’introduzione di un nuovo sistema di verifica che periodicamente indichi se, raggiunta la copertura vaccinale ideale, quella vaccinazione sia da considerarsi non più obbligatoria.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, per ottenere la cosiddetta immunità di gregge, la soglia di copertura vaccinale dev’essere pari al 95%. I dati forniti dal ministero della Salute mostrano però per l’Italia livelli di copertura più bassi della soglia raccomandata dall’OMS, che toccano punte preoccupanti per malattie come la rosolia, per cui la percentuale è oggi attestata all’87,2%, o la varicella, per cui la copertura raggiunge il 46,1%. Caso a parte lo fa il morbillo che, dall’inizio del 2017, ha colpito oltre 2.800 soggetti, il 500% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

“Il Veneto (che ha sospeso l’obbligatorietà vaccinale pediatrica dal 2007) è sempre stata una regione virtuosa in ambito vaccinale, ma non tutte le regioni possono vantare situazioni rosee; in questo senso il decreto ha contribuito a prendere in mano la situazione a livello nazionale dal momento che le differenze tra le regioni possono essere pericolose. Le malattie infettive, infatti, non hanno un confine geografico. In alcuni casi, come nel caso dell’epidemia di morbillo che sta interessando l’Europa ora, sarebbe importante proporre un piano su scala sovranazionale” spiega Giorgio Palù, professore di Microbiologia e Virologia all’università di Padova e presidente della Società europea e italiana di virologia.

In Italia l’obbligo di vaccinazione per l’ammissione a scuola è decaduto nel 1999 e, fino all’introduzione del nuovo decreto, erano quattro le vaccinazioni previste dalla legge. La nuova norma porta invece a 10 il numero dei vaccini obbligatori per i bambini nati dal 2017, che diventano vincolanti per i bimbi da 0 a 6 anni che intendano iscriversi al nido o alla scuola dell’infanzia e obbligatori invece, ma con la possibilità di effettuare le vaccinazioni anche nel corso dell’anno, per gli studenti da 6 a 16 anni. Il non adempimento prevede diverse tipologie di sanzioni: dal divieto di iscrizione (per nidi e scuole dell’infanzia), a sanzioni pecuniarie nel caso di mancata presentazione del certificato di vaccinazione anche dopo sollecito delle Asl, fino alla segnalazione al Tribunale dei minori in caso di opposizione permanente al rispetto della norma da parte dei genitori. “Il vero problema che sperimentiamo oggi in Italia, sono le basse coperture vaccinali e questo decreto da un lato mostra la buona intenzione di porre rimedio a una situazione pericolosa, dall’altro mi sembra in parte incompleto. Penso alla scelta delle vaccinazioni che esclude, a mio avviso, malattie importanti. Penso poi che quattro vaccini con virus vivi (morbillo, parotite, rosolia e varicella) non andrebbero somministrati tutti assieme e solo in determinati periodi. Ritengo infine che questo decreto dovrebbe parlare anche di altri doveri, ad esempio l’obbligo, a mio parere essenziale, di vaccinazione per i professionisti della salute, i sanitari, i primi ad essere a contatto con eventuali virus”, continua Palù. Ma come funziona nel resto del mondo? Secondo uno studio di VENICE (Vaccine European New Integrated Collaboration Effort) condotto nel 2012, dei 29 Paesi presi in esame (27 Paesi dell’Ue, più Islanda e Norvegia), solo 15 non prevedono vaccinazioni obbligatorie mentre gli altri, all’interno del proprio piano sanitario, ne hanno almeno una o alternano vaccinazioni obbligatorie a raccomandate (anche se la Francia ha da poco annunciato che dal 2018 i vaccini raccomandati per la prima infanzia diventeranno obbligatori). Negli Stati Uniti e in Canada, invece, non sono previste sanzioni per la mancata vaccinazione, ma per l’ammissione a scuola è invece necessario un certificato di vaccinazione. “All’estero, è vero, prevale la raccomandazione. Ma bisogna capire cosa si intende con questa parola - continua Palù. In Italia, siamo tornati all’obbligatorietà e questo dipende soprattutto da un fattore sociologico e culturale. Nel nostro Paese, sottolinea lo scienziato, l’obbligo in qualche modo può aiutare, ma servirebbero anche politiche diverse. La poliomielite, ad esempio, è una malattia ancora endemica in Nigeria e Siria, Paesi da cui arrivano ogni giorno centinaia di persone in fuga e di cui, in ambito vaccinale, si sa poco se non nulla”. Il risveglio di un virus in un territorio in cui vi sia il passaggio di soggetti che provengano da aree in cui questo è ancora ‘attivo’, non è un fenomeno nuovo. È di pochi anni fa (2013) la campagna vaccinale di massa contro la poliomielite che ha interessato Israele, Paese in cui il virus non si presentava dal 2002, o la più recente nel 2016 nella Repubblica Democratica del Congo contro la febbre gialla.

“Se la vita media degli uomini oggi è più lunga, continua Palù, è anche perché abbiamo eliminato le malattie infettive con le vaccinazioni. I vaccini sono farmaci e vengono studiati e valutati come tutti gli altri, diversi studi ne trattano rischi e benefici, costi ed efficacia e ne valutano gli effetti indesiderati. Troppo spesso si parla del rapporto rischio-beneficio dei vaccini e non lo si fa per molti altri farmaci, perché in genere si assume un farmaco quando si ha una patologia in atto mentre si fanno le vaccinazioni per patologie non ancora manifeste, e questo per alcune persone è un processo che va ad incidere sul proprio concetto di libertà. Troppo spesso però si dimentica che i vaccini servono proprio a prevenire determinate patologie”.

Francesca Forzan

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