SOCIETÀ

L’austerity tedesca? Colpa del suo passato

È indubbiamente chiara, a ogni europeo colto, la difficoltà di pensare alla storia d’Europa senza il ruolo, nel bene e nel male, della Germania. Questa affermazione vale soprattutto oggi, dopo l’accelerazione dell’89, ossia la caduta del muro di Berlino e la riunificazione delle due Germanie. Di fronte al colosso tedesco non pare possano darsi misure neutre: o il massimo del vilipendio (e un recente pamphlet uscito in Italia si intitola Quarto Reich), o l’altezza dell’ammirazione (il Modell Deutschland come soluzione dell’attuale crisi economica). Cuore tedesco, saggio di Angelo Bolaffi che ha recentemente avuto una nuova edizione, è un sobrio elogio dei tedeschi e della loro possibilità di diventare, ammesso che lo vogliano, non un pericolo come molti pensano ma un modello da imitare e una virtuosa potenza egemone per l'Unione europea. E per gli italiani le cose da imitare potrebbero essere tante: export di qualità, corruzione pubblica quasi inesistente, burocrazia efficiente ed essenziale. La Germania-modello del cosiddetto capitalismo renano che ha saputo evitare, a partire dagli anni Novanta, politiche di deregulation alla Thatcher ma anche un keynesismo sadico e, alla lunga, inefficiente, riuscendo a conservare un sistema di welfare efficace e compatibile con la riduzione della spesa pubblica. 

Il saggio del germanista italiano è un viaggio che parte dalla valorizzazione della Stimmung illuminista e democratica della cultura tedesca. Nella genealogia della coscienza tedesca esiste un'altra Germania, non quella autoritaria, antidemocratica e razzista (basti il rimando a un capolavoro come Il nastro bianco di Haneke) ma quella cosmopolita di Kant e di Lessing, la Germania della repubblica di Weimar e quella dell’emigrazione antinazista, la Germania di Adenauer e Willy Brandt. La Germania che ha compiuto la più radicale elaborazione, in nome della democrazia, della propria responsabilità storica rispetto a quella cesura epocale rappresentata dal nazismo e dalla Shoah: "la riunificazione della Germania e la nascita dello stato nazionale tedesco sono avvenute nel segno dell’Europa. Una Germania europea che oggi non aspira tanto a diventare il leader, o il tiranno, europeo quanto un modello da imitare per le altri nazione dell’Ue". 

Questa è la tesi di Bolaffi, certo. Ma qualcosa, di fronte ai titoli dei giornali che riportano continue richieste di "rigore" e "compiti da fare" all'indirizzo degli altri Paesi membri dell'Unione pare stridere. Sembra di sentire, fatte le dovute differenze, l’Atene della Guerra del Peloponneso, così come la racconta Tucidide: "E ora noi che siamo qui per provvedere alla nostra sicurezza, vediamo che quello che per noi è utile lo è anche per voi". Bisognerebbe chiederlo ai greci, di allora e di oggi... Tuttavia, scrive Bolaffi, è bene non scambiare le pratiche economiche di austerità della Bundesbank con quelle bieche e da cappio al collo dell’FMI.

Se c’è qualcosa che rimane implicito in questo saggio è probabilmente il fatto che, dopo aver dato la giusta enfasi al processo di riunificazione tedesca che sembrava anticipare quello europeo, si lasciano in ombra i costi sociali di tale riunificazione, messi in luce ad esempio da una ricerca bene informata come L’Anschluss di Vladimiro Giacchè. 

Il discorso di Bolaffi è tutto politico: non è interessato tanto a valutare la perfomance dell’economia tedesca più recente o l'evoluzione della sua società, quanto ad investire la Germania del ruolo di guida dell’Ue. Del resto, scorrendo i dati del PIL procapite 2013, si può scoprire che l’economia della Germania è meno solida di quanto generalmente si immagini: sopravanza il Regno Unito ma è dietro l’Austria e gli Stati Uniti, i tanto celebrati mini-job hanno generato una classe di lavoratori sottopagati e la politica del lavoro tiene costantemente compressi i salari, come racconta ad esempio il reportage di Philippe Legrain, ora tradotto su Internazionale

In generale, comunque, non si può non ammirare quel fenomeno peculiare tedesco di aver optato e portato avanti con coerenza scelte di politica economica che hanno permesso al Paese di uscire dalla grave crisi degli anni Novanta (basti ricordare le riforme di Schröder che ridefinivano, al ribasso, il Sozialstaat). Scelte più o meno consensuali o, comunque, negoziate tra sindacati, industrie e governo grazie alle quali i tedeschi hanno affrontato anche questi anni di crisi mondiale con costi sociali più sopportabili rispetto ad altre nazioni.

Le pagine più incisive di Cuore tedesco sono quelle in cui lo studioso analizza il fenomeno di una Germania che diventa partecipe del progetto unitario europeo e quelle in cui si cerca di rintracciare le ragioni storiche dell’austerity tedesca e della sua opposizione a qualsiasi politica comunitaria che intenda sganciarsi dai vincoli di controllo della spesa pubblica all'interno della Ue.

Infatti lo spettro drammatico dell’inflazione, che è il pericolo di ogni spesa pubblica incontrollata, è ancora presente tra i tedeschi e orienta nelle decisioni la Merkel e la Bundesbank. Tali ostilità e paure tedesche sono dovute a ragioni storiche e culturali prima che economiche. Il trauma dell’iperinflazione durante gli anni di Weimar, il nazismo, il fallimentare esperimento del socialismo della RDT sono gli antecedenti storici dello spirito antikeynesiano tanto diffuso fra i tedeschi.

Il ruolo della Germania per l’autore è dentro l'Unione: la stessa Germania per rispondere alle sfide poste dalla globalizzazione e all’emergere di nuove potenze, come la Cina o l’India, ha bisogno dell’Europa. 

Il libro di Bolaffi si chiude con un'idea di Europa come coesistere ragionevole delle diversità: "l’Europa dovrà dunque restare sempre una realtà plurale, refrattaria a ogni omologazione identitaria: ex pluribus plures è e resterà scritto sulla sua bandiera[…] tocca dunque alla Germania esercitare con saggezza e lungimiranza la leadership [...] quando Thomas Mann formulò la drammatica alternativa tra una Germania europea e una Europa tedesca aveva memoria delle tragedie della storia del vecchio continente. Oggi è possibile sostenere invece che l’Europa si germanizza proprio e nella misura in cui la Germania si è completamente e convintamente europeizzata".

Anche se, in realtà, che la Germania ambisca al ruolo di leader della Ue, a parte gli interdetti e i veti a livello di bilancio europeo, è tutto da dimostrare: soprattutto finché ci sarà al potere Angela Merkel, che non ha l’orizzonte ideale di un Willy Brandt o di un Helmut Schmidt.

Sebastiano Leotta

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