SOCIETÀ

L'architettura senza ostacoli di Correa

“Per me l’architettura non è uno stile, ne è una moda, ma è basata su principi immutabili. La forma che ne consegue però produce cambiamenti che dipendono da componenti che sono invece mutevoli, come la cultura, la società, il clima. L’architettura è radicata nell’ambiente in cui nasce e si sviluppa”. Charles Correa, architetto, pensatore e urbanista indiano, riassume in poche parole il credo che lo ha accompagnato nei suoi 60 anni di attività. Lo fa di fronte a una platea di studenti di ingegneria civile e architettura che per un anno saranno chiamati a studiare e a confrontarsi con il patrimonio di architetture, riflessioni e scritti del maestro d’oriente. India’s greatest architect secondo il Royal Institute of British Architects, Correa ha sviluppato nella sua carriera un coerente, preciso e responsabile metodo progettuale che mette l’uomo, la società e l’ambiente al centro del progetto di architettura. 

Se i grandi progettisti a volte faticano a essere anche maestri, insegnanti, perché la loro opera è così singolare, il metodo così personale da non essere tramandabile, insegnabile, l’opera di Correa possiede una valenza didattica enorme. Il rapporto con la sua India, ma anche con ogni luogo con cui si è misurato, si è definito nel confronto, nella comprensione e nell’interpretazione di bisogni trasformati in risorse. “L’India è sempre stata amabile con me e con la mia generazione di architetti. L’india non ci ha stimolato offrendoci grandi progetti, ma dandoci l’opportunità di porci delle domande”.

E a quelle domande Correa ha cercato di rispondere attraverso la fedeltà all’assunto della sito-specificità, traducendolo con la prima delle sue massime: “La forma segue il clima”. Su questo assioma l’architetto ha costruito negli anni Sessanta la Tube house ad Ahmadabad: quella realizzata è una struttura economica a energia passiva, nella quale la brezza penetra nell’ambiente rinfrescandolo, mentre l’aria calda viene espulsa attraverso aperture tubolari sulla copertura. La ventilazione diventa dunque la componente essenziale di questa architettura, come anche di un’opera di poco successiva, come la Ramkrishna house. E nello stesso modo Correa lavora anche con il sole, la temperatura, l’umidità: non più ostacoli, questi elementi diventano opportunità per sperimentazioni progettuali.

Gli spazi creati da Charles Correa, nei quali scivola la brezza e s’insinua la luce, sono prima di tutto luoghi per le persone. Di conseguenza, il rispetto per le dimensioni, le volumetrie, i livelli, l’alternanza fra aperto e chiuso compongono una sintassi precisa. Il lavoro sulle dimensioni si fa fondamentale soprattutto nella progettazione di case a basso costo, come le abitazioni a schiera ad alta densità, ma a scala umana, realizzate in Perù. Su questo stesso tipo di opere si fa pure urgente la ricerca su flussi e movimenti attraverso spazi privati, semi privati, pubblici; i cortili diventano protagonisti. Succede così nelle abitazioni Belapur, realizzate negli anni Ottanta, dove “abbiamo assegnato a ciascuna abitazione un cortile delle stesse dimensioni. Una volta creati gli spazi, li abbiamo modificati e moltiplicati  creando un ordito organico e dando un tetto a circa 600 famiglie su di una superficie di 600 ettari”. Ma lo spazio a cielo aperto è al centro anche di progetti pubblici che, ispirandosi ad architetture della tradizione, come il tempio Modhera, si sviluppano in un ritmo di ambienti chiusi e aperti, di luoghi per il movimento e per il riposo. È la metafisica dello spazio a cielo aperto, sotto cui i grandi guru orientali insegnano, luogo di istruzione e illuminazione. Ed è infatti così concepito uno dei capolavori dell’architetto indiano, il Gandhi Memorial Museum ad Ahmedabad, costruito su moduli con o senza copertura che fanno crescere la struttura attraverso la ripetizione, dando vita a un museo dalla bellezza austera, eppure fruibile in modo personale dal visitatore, che si muove libero fra gli spazi. “Di proposito non abbiamo messo l’aria condizionata, cosicché anche la parte più povera della popolazione possa trovare qui un ambiente in cui sentirsi a proprio agio, non troppo lontano dalla propria realtà”.

Il riferimento alla tradizione, agli esempi del passato, all’architettura vernacolare e a come questa ha dialogato nel tempo con i luoghi e il clima, e il modo in cui Correa ha sviluppato queste riflessioni in un’architettura attenta all’uomo e al suo ambiente, fanno di questo architetto un  maestro nel senso più stringente del termine. Ne parla con ammirazione Edoardo Narne, ricercatore nel dipartimento di ingegneria civile e ambientale: “Tutta la produzione di Charles Correa, da quando stupì il mondo a 28 anni col suo museo memoriale per il Mahatma Gandhi ad Ahmadabad, fino all’ultimo lavoro, l’Ismaili Center a Toronto, inaugurato alcune settimane fa, è un susseguirsi di progetti fuori dal comune. In ogni circostanza ha sempre avuto il coraggio di mettersi in discussione e di operare con estrema onestà, mettendosi a disposizione di luoghi, culture, climi e gruppi di persone eterogenee”. Ai nostri futuri progettisti resta ora il compito di raccogliere i suoi insegnamenti. 

Chiara Mezzalira

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